Ritorno a Keynes

L’ultima opera di Skidelsky “The Return of the Master*” dà una nuova chiave di lettura ai suoi precedenti lavori riguardanti J. M. Keynes. In questa nuova luce studia le teorie keynesiane non più nel contesto storico nelle quali sono state elaborate, ma le utilizza per spiegare e cercare di dare soluzioni all’economia moderna.
Quest’opera rappresenta quasi una denuncia verso il nuovo sistema delle teorie economiche che, secondo l’autore, hanno perso di vista l’importanza dell’incertezza e hanno dato troppo valore al denaro, non considerando altri valori come l’etica e la morale.
Lo spunto per questo nuovo lavoro è stata la crisi del 2008. 
Questo libro evidenzia che se si fossero utilizzate le teorie keynesiane per analizzare l’economia moderna, questa crisi non si sarebbe comunque potuta prevedere. Infatti Keynes era un fervido sostenitore dell’imprevedibilità degli eventi, ma avrebbe sicuramente teorizzato la possibilità di un collasso finanziario e quindi creato delle linee teoriche per evitarlo.
…l’economia si sta sbriciolando, e le politiche atte a stimolarla stanno fallendo. La guerra è sempre stata un ottimo strumento di spinta economica, ma ora abbiamo bisogno di nuove politiche. La crisi del 2008 ha portato alla ribalta un altro concetto keynesiano, le problematiche del comportamento umano e del giudizio morale in economia. Quanto detto sottolinea come il declino economico di questi anni dà l’opportunità di riportare l’economia verso valori più giusti, sensibili ed equi.
Secondo le teorie economiche tradizionali, questa crisi non sarebbe dovuta accadere. Tale convinzione si basava sul fatto che la piena flessibilità dei prezzi e dei salari avrebbero portato autonomamente l’economia nel suo punto di pieno impiego. Inoltre la perfetta informazione non avrebbe permesso un dissesto economico. Secondo l’autore le teorie keynesiane sono da considerarsi fondamentali, in quanto sono state proprio le errate teorie economiche a legittimare la deregolamentazione della finanza, portando gli agenti economici a credere a realtà non vere, e come la finanza e la crescita economica non potessero avere limiti.
L’incertezza sul futuro rappresenta il fulcro delle teorie keynesiane. Gli economisti non possono avere aspettative certe sul futuro, soprattutto in un periodo di crisi. Questo rappresenta la chiave di abbandono dell’economia tradizionale fondata su modelli di analisi delle aspettative, per tornare ad una economia vista come scienza morale e non naturale.
Una crisi economica è un fatto inaspettato e non prevedibile, è un “Black Swan” secondo la teoria di N. Taleb. I “Black Swans” sono fatti isolati, creano un forte impatto e sono giudicabili solo a posteriori. La teoria di N. Taleb mostra come si debba sbarazzarci di tutto quello che abbiamo imparato per abbracciare la “Teoria dell’Incertezza”. Per natura si apprende dall’esperienza e dalla ripetizione. Ci concentriamo solo su cose che conosciamo per seguire sentieri già battuti, mentre perdiamo di vista nuove opportunità.. Le teorie di N. Taleb non sono comunque keynesiane, perché propongono un modello statistico per individuare gli eventi chiamati “Black Swans”.
Nonostante la crisi del 2008 abbia caratteri molto forti, secondo l’autore, avrà una durata inferiore rispetto a quella del 1929. Quanto affermato si basa sull’esistenza di una cooperazione internazionale che nel 1929 non esisteva e dall’utilizzo delle idee di Keynes, non ascoltate durante  la Grande Depressione.
L’abbattimento dei tassi di interesse è una mossa classica in presenza di crisi economica, ma questo non può essere una soluzione. Prima di tutto le banche possono prestare a tassi diversi da quelli imposti dalle banche centrali ed inoltre gli investimenti dipendono soprattutto positivamente dalle aspettative di profitto. In mancanza di quest’ultime è inutile abbattere i tassi di interesse. L’importanza delle aspettative di profitto è l’eredità di Keynes. Skidelsky sottolinea nella sua opera come i neo classici ed i neo keynesiani abbiano tradito l’eredità lasciata da Keynes. Si sono soffermati troppo su dati ed elaborati statistici che si basavano sulle informazioni presenti e passate non considerando le asimmetrie informative e l’incertezza. Molti autori sostenevano che la curva gaussiana presentasse dei problemi nell’interpretazione degli shocks, ma non sono stati ascoltati. Un dibattito molto interessante è quello che coinvolge due premi Nobel dell’Economia R. Krugman e G. Becker. Krugman è sempre stato un sostenitore della politica fiscale espansiva tramite incremento di spesa pubblica, per risanare l’incertezza della politica monetaria. Il problema dato dal deficit pubblico dovrebbe essere messo in secondo piano rispetto al risanamento dell’economia. Lo stato dovrebbe avere come obiettivo principale quello di intervenire con sussidi alla disoccupazione, aiuti alle amministrazioni pubbliche, sostegno alle famiglie e creazione di nuove infrastrutture che possano creare nuovo sviluppo. Krugman sottolinea come nel New Deal Roosevelt non abbia esattamente seguito le indicazioni di Keynes, facendo piani di sostegno troppo timidi. Quindi, secondo l’economista, il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama dovrebbe imparare dagli errori del passato comprendendo meglio quelli che sono i veri bisogni del paese, facendo una politica di espansione della spesa pubblica mirata a creare nuovo sviluppo. La politica fiscale espansiva auspicata non è quella di uno sgravio fiscale, perché questa si tradurrebbe solo in un aumento del risparmio e non in sviluppo. Becker, economista appartenente alla corrente “freshwater”, contesta le teorie di Krugman, in quanto sostiene che una politica di spesa pubblica fatta al mero scopo di risanare l’economia possa avere effetti nefasti. Molti autori appartenenti alla stessa scuola di Becker sostengono che una tale politica avrebbe solo l’effetto di paralizzare il sistema privato. Di conseguenza la teoria di questo gruppo di economisti per la risoluzione della crisi è determinata da un aiuto concreto alle imprese. Incentivare quindi l’offerta e non la domanda.
G. Soros sostiene che la crisi economica è un fallimento del sistema del mercato. Questa è stata creata dal ruolo speculativo delle banche, dalla mancanza di teorie economiche che allertassero i governanti sul rischio della deregolamentazione del mercato finanziario ed infine da un sistema fondato solo dal valore che non considera le problematiche relative alla misurazione del benessere. Quest’ultimo punto può essere ricollegato al pensiero di Keynes riguardante la “società armoniosa”.

Secondo l’autore, i governi di oggi devono operare per incentivare la circolazione delle informazioni e devono anche dare maggiore importanza all’incertezza dei mercati. Infatti l’incertezza è presente in tutti quei mercati che influenzano maggiormente la stabilità e la crescita di una economia. È proprio l’incertezza che causa stati di boom e di recessione.
La conclusione di quest’opera rappresenta un augurio ed una raccomandazione dell’autore agli economisti futuri. Questi dovrebbero essere uomini di cultura generale, più attenti allo studio delle materie sociali che a quelle scientifiche.

* Keynes. The Return of the Master, Allen Lane, Penguin Books, 2009

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