Risorse, valutazione e meccanismi di finanziamento dell’Università. Questioni da non confondere

Roberto Torrini osserva che il giudizio negativo sul calo drastico delle risorse destinate al sistema universitario non deve essere esteso al sistema di finanziamento e di valutazione introdotto di recente. Secondo Torrini costo standard e premialità danno trasparenza e fondamento logico ai meccanismi di finanziamento e forniscono giusti incentivi agli atenei, creando anche le condizioni per un diffuso miglioramento del sistema universitario. Perché quest’ultimo si manifesti sono, però, necessarie maggiori risorse

Il sistema universitario italiano dalla fine dello scorso decennio ha subito un calo drastico delle risorse accompagnato dall’introduzione di importanti novità nei meccanismi di finanziamento e di valutazione volti a incentivare la qualità della ricerca e migliorare la didattica degli atenei. Spesso nella discussione si sono confusi i piani, considerando questi processi come due lati della stesa medaglia. Al contrario, ritengo che il taglio delle risorse, oltre a mettere a rischio la tenuta del sistema, rallenti l’adozione dei nuovi meccanismi di finanziamento e ostacoli la valutazione e l’impegno al miglioramento che essa intende promuovere.

Come risulta dal Rapporto curato dall’ANVUR, dal biennio 2008-09 le risorse complessive dello Stato destinate al sistema, compreso il diritto allo studio, sono scese da circa 8,4 a 7,3 miliardi nel 2015. Tra il 2008 e il 2014, i bilanci delle università statali mostrano un calo delle entrate di quasi il 10% (21% in termini reali). La riduzione è stata resa possibile dal contemporaneo blocco del turnover e stipendiale, che ha determinato un calo del monte retributivo ancora più marcato. Il giudizio negativo sul calo delle risorse è ampiamente condiviso. Trovo invece fuorvianti le analisi che partono dal calo delle risorse per mettere in discussione quelli che a me sembrano indubbi progressi nel governo del sistema.

Con l’introduzione del costo standard e della quota premiale è stata data trasparenza ai criteri di finanziamento e sono stati forniti incentivi alle università per il miglioramento della ricerca e, solo parzialmente, della didattica. Il costo standard, che rappresenta la stima del costo medio per studente aggiustato per tenere conto della diversità nella capacità contributiva delle Regioni, definisce un ammontare di risorse da erogare per ogni studente per la durata regolare degli studi. Un ateneo in cui tutti gli studenti si laureino regolarmente riceve dallo Stato lo stesso ammontare di risorse di un ateneo in cui tutti impieghino il doppio del tempo previsto; quest’ultimo, tuttavia, viene premiato da un ammontare doppio di tasse studentesche a parità di crediti formativi erogati, con un vantaggio che non avrebbe senso premiare con risorse pubbliche aggiuntive. Non hanno quindi fondamento le critiche che vorrebbero l’inclusione dei fuoricorso nel computo, peraltro non possibile a legislazione vigente.

La componente premiale del finanziamento è invece allocata prevalentemente sulla base della Valutazione della Qualità della Ricerca (VQR; con una quota che incide per l’85%; 65% in base ai risultati complessivi e 20% in base ai risultati dei docenti reclutati o promossi), in parte minore sulla base di indicatori relativi alla didattica (con una quota che incide per il 15%). Gli atenei sono quindi incentivati dal costo standard e dalle tasse universitarie ad ampliare il numero degli studenti, anche se non a migliorarne la regolarità, e dalla quota premiale a migliorare ricerca e reclutamento.

Al momento, il costo standard pesa meno del 20% del Finanziamento Ordinario (FFO), mentre la componente premiale conta per il 21,5%. La quota storica, ossia i finanziamenti erogati sulla base delle spese storicamente effettuate, mantiene, dunque un peso prevalente, attorno al 58% dell’FFO. A regime, però, il riferimento alla spesa storica dovrebbe essere abbandonato e il costo standard pesare per il 70% e la quota premiale per il 30%.

La tab.1 fotografa, per area e tipo di ateneo, la situazione attuale del finanziamento distinto sulla base delle diverse componenti e la confronta con lo scenario a regime. Il superamento del costo storico avvantaggerebbe gli atenei più giovani, che traggono beneficio dal costo standard. Sarebbero inoltre premiati gli atenei del Nord, favoriti dal costo standard e dalla componente premiale, e quelli del Sud continentale, favoriti dal costo standard. A regime si ridurrebbe invece la quota per gli atenei del Centro, penalizzati dal costo standard, e per quelli delle Isole penalizzati da entrambi i fattori. I meccanismi di per sé non hanno quindi un impatto univoco sul territorio e in parte riflettono l’evoluzione e i livelli delle iscrizioni, correggendo un’allocazione storica non fondata su criteri espliciti.

Tab. 1 – Ripartizione FFO 2015 e ripartizione teorica a regime

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Dal 2008 le risorse sono state attribuite in misura maggiore alle aree dove il numero di studenti è cresciuto. Il Mezzogiorno dal 2008 ha subito un calo più forte della media. Tuttavia, in rapporto agli studenti e ancor più agli immatricolati, questa è l’unica area in cui le entrate, statali e complessive, non sono diminuite (Tab. 2). Al Centro il calo è stato simile, ma muovendo da livelli iniziali più elevati della media. Il Mezzogiorno soffre del calo delle immatricolazioni, in parte dovuto a un calo demografico, in parte a una crescita dell’incidenza delle migrazioni verso gli atenei del Centro-Nord, in parte a un calo diffuso su tutto il territorio che solo ora si è arrestato. Il Sud continentale è penalizzato da un’allocazione storica delle risorse che già nel 2008, prima delle riforme e del calo dei finanziamenti, gli riconosceva finanziamenti per studente inferiori alla media.

Il problema non è nei meccanismi allocativi, ma nell’ammontare dei fondi. Il solo costo standard ammonta a 6,5 miliardi contro i 6,3 miliardi comprensivi della componente premiale ripartiti nel 2015. Con un aumento adeguato, il costo standard coprirebbe i costi base e la componente premiale potrebbe incentivare gli atenei con i risultati migliori, permettendo di assorbire senza traumi gli effetti redistributivi tra atenei della transizione al nuovo regime. Occorrerebbe inoltre stabilire quanta parte dei costi debba essere coperta dalla contribuzione studentesca e in che misura occorra compensare gli atenei per il diverso grado di sviluppo e capacità contributiva dei territori. Si può discutere dell’adeguatezza della quota redistributiva già inclusa nel costo standard, ma ciò dovrebbe avvenire salvaguardando i meccanismi virtuosi che costo standard e premialità garantiscono, distinguendo tra finalità allocative e redistributive. È necessario, infine, mantenere lo stretto legame tra entrate e spese che negli ultimi anni ha garantito il miglioramento della gestione economica degli atenei. Mentre nel 2008 la spesa per il personale superava in alcuni casi il 100% di FFO e entrate contributive, oggi tutti gli atenei presentano buoni indicatori di sostenibilità. Se è vero che gli atenei devono poter reclutare nuovi docenti e garantire loro adeguate possibilità di sviluppo professionale e di ricerca, ciò può avvenire solo accrescendo le risorse, la cui inadeguatezza è stata da ultimo sottolineata anche dalla Commissione Europea nel country report sull’Italia.

Tab. 2 – Entrate atenei statali per area territoriale

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Il secondo aspetto considerato in questa nota si riferisce, come detto, agli aspetti della valutazione della ricerca e della didattica. In questi anni la nascita dell’ANVUR, nonostante una dotazione di personale estremamente ridotta nel confronto internazionale e in rapporto alle funzioni, ha permesso l’introduzione della valutazione della ricerca e di un sistema di assicurazione della qualità della didattica, monitorato attraverso le visite presso gli atenei. Per la didattica si è colmato un ritardo quasi decennale rispetto altri paesi europei, che ormai da tempo prevedono meccanismi analoghi, in linea con gli accordi sottoscritti nell’ambito del Processo di Bologna. Per la ricerca, l’ANVUR svolge una valutazione della produzione scientifica ispirata al modello inglese. Come nel caso britannico, neozelandese e di Hong Kong si valuta un numero limitato di prodotti per singolo docente. Come nel caso australiano e di Hong Kong l’esercizio riguarda tutti i docenti delle istituzioni valutate. In Italia si fa ricorso a indicatori bibliometrici nelle aree scientifiche come nel caso australiano, mentre in altri paesi la bibliometria è utilizzata solamente come guida per la valutazione degli esperti. La valutazione dei prodotti di ricerca è organizzata per aree disciplinari e i punteggi sono assegnati in termini relativi all’interno di ciascuna area, evitando il confronto tra aree eterogenee, e soprattutto tra aree in cui prevale il metro bibliometrico e aree in cui si utilizza esclusivamente la revisione tra pari. Si tratta di un modello di valutazione con punti di similarità e distinzione rispetto ad altri, ma allineato alle migliori prassi internazionali.

In queste attività e nelle numerose altre attribuitele, l’ANVUR ha potuto contare, nonostante i tagli, su una partecipazione ampia dei docenti e degli atenei, a dimostrazione di una diffusa consapevolezza della necessità della valutazione in un sistema universitario di massa.

L’Università ha tuttavia bisogno di maggiori risorse. Risorse da destinare alla ricerca e al reclutamento, ma anche a un miglioramento e ampliamento dell’offerta formativa, con percorsi professionalizzanti da affiancare ai tradizionali, che possano ridurre gli abbandoni e aumentare l’attrattività per gli studenti con più debole background formativo. Nei paesi con tassi di laurea più elevati tale tipo di corsi è ovunque presente. In Italia, il tasso di abbandono tra gli studenti universitari è di circa il 40%. Il maggior tasso di abbandono spiega circa un terzo del ritardo italiano dalla media OCSE nella quota dei laureati (24% contro 41% tra i 24 e 34 anni). I tempi eccessivi nel completamento degli studi, inoltre, ritardano l’inserimento professionale dei laureati, accrescendo i costi degli studi e frenando le immatricolazioni.

In conclusione, è necessaria una riflessione che segni la direzione di sviluppo del sistema universitario e soprattutto definisca le risorse necessarie. La possibilità di un loro significativo ampliamento dipenderà anche dalla capacità dell’università di valorizzare e rivendicare presso l’opinione pubblica e i policy maker i progressi compiuti nella valutazione, nella gestione, e nella trasparenza dei meccanismi di finanziamento e di reclutamento, testimonianza di una chiara volontà di miglioramento. Sarebbe pertanto un errore confondere il giudizio sul calo delle risorse con quello da dare sulle importanti innovazioni introdotte in questi anni nel governo del sistema.

* I contenuti di questa nota attingono in parte a contributi che saranno presentati nel prossimo Rapporto sullo Stato del Sistema Universitario e della Ricerca dell’ANVUR a cui ho collaborato. Ovviamente la responsabilità per il contenuto e le opinioni espresse è solo mia e non coinvolgono né l’ANVUR né la Banca d’Italia.

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