Rilancio con lo scudo (a proposito della prima scheda di lavoro del piano Colao)

Stefano Giubboni si occupa della prima delle proposte per la ripartenza delle imprese e dell’occupazione presentata dal comitato di esperti in materia economica e sociale presieduto da Vittorio Colao, in cui si raccomanda l’esclusione della responsabilità penale per il contagio da Covid-19. Giubboni illustra le ragioni del suo giudizio negativo sulla proposta.

1. Il comitato di esperti in materia economica e sociale presieduto da Vittorio Colao ha finalmente concluso i suoi lavori e ha come noto presentato al Governo e al pubblico le sue proposte per la strategia di rilancio dell’Italia. Le proposte – articolate su sei aree tematiche (imprese e lavoro; infrastrutture e ambiente; turismo, arte e cultura; pubblica amministrazione; istruzione, ricerca e competenze; individui e famiglie) – vengono affidate a ben 102 schede tecniche (vaste programme, avrebbe detto qualcuno), in cui si tratteggia in poche righe il contesto e si raccomandano azioni specifiche, come si addice ad una cultura orientata al problem-solving.

Non ci addentreremo naturalmente in un così vasto e ambizioso orizzonte di azione modernizzatrice. Del resto il piano Colao, grazie alla vasta eco mediatica, sta ricevendo da giorni le attenzioni delle migliori intelligenze e sta per essere affidato al confronto degli stati generali convocati dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte con lo scopo di definire con il più ampio coinvolgimento delle forze vive del Paese il piano per la rinascita sociale ed economica italiana.

2. Qui vogliamo limitare la nostra attenzione alla prima delle proposte del piano Colao: quella per intenderci che figura nella scheda 1.i del primo capitolo (su imprese e lavoro), e che reca – testualmente – questo titolo: «Escludere il contagio COVID da responsabilità penale e ridurre temporaneamente il costo delle misure organizzative anti contagio». Al perentorio titolo seguono una breve – ma efficace – descrizione del contesto e la formulazione di specifiche linee di azione.

Questo il contesto (nel riportare di seguito il testo della scheda ci permettiamo di integrarlo con gli accenti richiesti dalla grammatica italiana): «Il possibile riconoscimento quale infortunio sul lavoro del contagio da COVID-19, anche nei settori non sanitari, pone un problema di eventuale responsabilità penale del datore di lavoro che, in molti casi, si può trasformare in un freno per la ripresa delle attività. D’altro canto, per il lavoratore che è esposto al rischio di contagio per il tragitto che deve fare per andare al lavoro e per il permanere a lungo nel luogo di lavoro, magari a contatto con il pubblico, il trattamento del contagio quale infortunio garantisce un livello di tutela, per sé ed i propri famigliari, ben maggiore del trattamento di semplice malattia. Si tratta quindi di individuare una soluzione di compromesso che salvaguardi le due esigenze. L’adozione di misure organizzative dirette ad attuare i protocolli di sicurezza, ed il principio del distanziamento, comporta un aumento del costo del lavoro (indennità di turni, maggiorazioni per lavoro festivo), cosi come gli eventuali straordinari necessari per recuperare le produzioni perdute. Si tratta di intervenire, in via temporanea, per evitare o minimizzare questo aumento del costo del lavoro, senza incidere sulle maggiorazioni spettanti da contratto ai lavoratori».

E queste le raccomandazioni: «a. Per quanto attiene al rischio di responsabilità penale, questo è fortemente ridotto laddove si preveda che l’adozione, e di poi l’osservanza, dei protocolli di sicurezza, predisposti dalle parti sociali (da quello nazionale del 24 aprile 2020, a quelli specificativi settoriali, ed eventualmente integrativi territoriali), costituisce adempimento integrale dell’obbligo di sicurezza di cui all’art. 2087 del codice civile. Si evidenzia che essendo la materia della sicurezza sul lavoro, intesa come contenuto dell’obbligo di sicurezza, e quella relativa ai contratti, di competenza Statale esclusiva, è la legislazione nazionale che deve prevedere questo meccanismo, a garanzia dell’uniformità su tutto il territorio nazionale di una disciplina prevenzionale. b. Il datore che adempie all’obbligo di sicurezza, nei termini di cui sopra, non andrebbe incontro né a responsabilità civile né a responsabilità penale, pur in presenza di un eventuale riconoscimento da parte dell’INAIL dell’infortunio su lavoro da contagio Covid-19. Peraltro si è già previsto che gli infortuni da contagio Covid-19 non vengano contabilizzati per l’azienda ai fini dell’andamento infortunistico, e quindi non hanno conseguenze sul piano dei premi assicurativi. Quindi il riconoscimento dell’infortunio sarebbe neutro per l’azienda. c. Per quanto riguarda l’aumento del costo del lavoro per le misure organizzative, o recupero di produzione, si tratterebbe di introdurre una defiscalizzazione temporanea delle maggiorazioni, previste dai contratti collettivi, per indennità di turni aggiuntivi e lavoro festivo o notturno, introdotte per adottare i protocolli di sicurezza ed attuare il distanziamento».

3. Confessiamo di aver provato un certo stupore nel leggere che la primissima proposta del piano Colao è niente di meno che quello scudo penale su cui praticamente da quando è esplosa la pandemia si sono concentrate le richieste pressanti di Confindustria.

Il fatto che la prima richiesta di Confindustria sia anche la prima proposta del comitato Colao, che è un importante uomo d’impresa, non è, però, e come ovvio, la ragione del nostro stupore. A provocare lo stupore non è evidentemente il fatto in sé della proposta – siamo sufficientemente smaliziati da considerarla persino scontata, dato il coté culturale di provenienza –, ma per così dire l’eccesso di zelo con cui essa è stata formulata facendole guadagnare, forse immeritatamente, il titolo di apertura del documento.

Per ragioni, come si direbbe, di opportunità o più semplicemente di bon ton comunicativo, ci si sarebbe infatti potuti aspettare di vederla più elegantemente collocata magari tra le schede più tecniche o specialistiche (come si è ad esempio scelto di fare per un’altra idée-force del piano, ispirata a ben vedere dallo stesso tipo di cultura pragmatica d’impresa, quella per intenderci della voluntary disclosure, alias condono – o scudo – fiscale: una idea non esattamente nuovissima, che il comitato ha sentito però il bisogno di rilanciare in un momento così cruciale per il Paese, come si addice ai classici della storia repubblicana).

4. Di fronte a quella proposta, il nostro è stato uno stupore, per così dire, più tecnico. Siamo infatti sobbalzati per due motivi molto specifici, di modesta e quasi pedestre natura tecnico-giuridica: l’unica competenza, peraltro, e lo diciamo s’intende con molto pudore, che ci autorizza a formulare questa piccola chiosa su un documento così ricco e articolato.

Il primo motivo è questo: il titolo della scheda è – lo si deve purtroppo dire – fuorviante e sbagliato. Se l’idea è quella di escludere la responsabilità penale (e civile) per il contagio da Covid-19, il contenuto della proposta che vi si formula – come abbiamo visto – non risulta coerente con il proposito. E giustamente, peraltro, perché il proposito – se quella, come temiamo, era l’idea o almeno l’aspirazione recondita (appunto di uno scudo o meglio di una immunità) – è semplicemente inammissibile sul piano dei principi costituzionali (cosa che non riteniamo abbisogni di particolare illustrazione, superflua in questa sede e finanche offensiva della intelligenza del lettore).

Meglio sarebbe stato allora intitolare più appropriatamente la scheda in termini positivi o, ancor meglio, viste le finalità del piano, dichiaratamente propostivi; del tipo: «Lavoro in sicurezza e responsabilità – magari sociale (formula sempre à la page) – delle imprese».

5. L’altro motivo tecnico di stupore è che l’azione specifica che viene raccomandata è già stata posta in essere (e sorprende che i componenti del comitato non se ne mostrino avvertiti). Per l’esattezza, è già legge dello Stato.

Anche in tal caso, per mera comodità del lettore, si riporta il testo della disposizione legislativa (articolo 29-bis della legge 5 giugno 2020, n. 40, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge n. 23, recante misure urgenti in materia di accesso al credito, di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali): «(Obblighi dei datori di lavoro per la tutela contro il rischio di contagio da COVID-19). – 1. Ai fini della tutela contro il rischio di contagio da COVID-19, i datori di lavoro pubblici e privati adempiono all’obbligo di cui all’articolo 2087 del codice civile mediante l’applicazione delle prescrizioni contenute nel protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del COVID-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 24 aprile 2020 tra il Governo e le parti sociali, e successive modificazioni e integrazioni, e negli altri protocolli e linee guida di cui all’articolo 1, comma 14, del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, nonché mediante l’adozione e il mantenimento delle misure ivi previste. Qualora non trovino applicazione le predette prescrizioni, rilevano le misure contenute nei protocolli o accordi di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale».

6. Chiariti – per tabulas – i motivi del nostro stupore, potremmo chiudere qui questa piccola chiosa al piano Colao.

Ma è forse opportuno aggiungere qualche spunto in più, per chiarire in primo luogo – ammesso che ve ne sia bisogno – il significato della disposizione di legge appena richiamata. Che non garantisce, naturalmente, in quanto non avrebbe potuto farlo senza violare la Costituzione, una esclusione di responsabilità penale (e civile) da infortunio da Covid-19, ma si limita a precisare che lo standard di sicurezza esigibile dall’imprenditore ai sensi dell’art. 2087 cod. civ. è quello – solo quello e tutto quello – che risulta tipizzato, allo stato delle conoscenze tecnico-scientifiche disponibili, dai summenzionati protocolli, onde ove questi siano puntualmente osservati e attuati l’eventuale contagio del lavoratore non potrà essere imputato alla responsabilità datoriale.

Una precisazione di per sé non necessaria – visto che a nostro avviso quello ora positivizzato dalla legge era, allo stato, l’unico esito interpretativo correttamente ricavabile già dall’art. 2087 cod. civ. –, ma che si spera possa finalmente placare le preoccupazioni e le ansie, largamente immotivate, di Confindustria.

E infine una piccola battuta, per così dire, di costume o di stile. Perché dedicare la prima scheda del piano allo scudo penale per il Covid-19 è stata (anche trascurando la già segnalata ignoranza del dato normativo vigente) una caduta di stile del comitato Colao. La quale è tuttavia rivelatrice di una forma mentis, di un abito mentale – è questa la nota finale di costume – che svela di colpo, come un tic, tutta l’arretratezza di una certa cultura d’impresa, purtroppo così radicata in Italia, che si rivela per quel che è, anche quando è chiamata a immaginare un futuro di rilancio e di nuovo sviluppo per il Paese.

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