Ricominciare dalla Costituzione. Il Cile e l’inclusione sociale

Federico Nastasi esamina il processo costituente in atto in Cile, focalizzandosi sulla domanda di una maggiore uguaglianza sociale. Dopo aver ricordato luci ed ombre del modello neoliberale della costituzione del 1980 che ha garantito un processo di crescita sostenuta per quasi due decenni, Nastasi indica le cause – materiali ed immateriali – che hanno alimentato la protesta popolare del 2019 e sostiene che un nuovo modello può nascere solo a partire dal superamento delle profonde disuguaglianze che dividono il paese.

Il prossimo 11 aprile il Cile andrà alle urne per eleggere i padri e le madri costituenti incaricati di scrivere la nuova Costituzione. L’organismo, composto secondo un criterio di perfetta parità di genere, avrà il compito di scrivere la Magna Charta che sostituirà il testo imposto durante il regime militare di Pinochet nel 1980, fondamento del modello neoliberista cileno.

Quel testo, seppur con qualche modifica, ha accompagnato la straordinaria crescita economica degli ultimi trent’anni (il tasso medio di crescita del PIL negli anni ‘90 è stato del 7%), la riduzione dell’indice di disuguaglianza di Gini e il crollo della povertà estrema. Perché dunque le piazze si sono riempite fino ad ottenere un cambio del patto sociale che regge il paese?

Figura 1. Evoluzione del PIL pro capite, tasso di povertà e disuguaglianza; 1990=100, Fonte: Casen, elaborazione Andrea Repetto

La principale indiziata è, malgrado l’andamento dell’indice di Gini e di quello della povertà,  la disuguaglianza socioeconomica. Non solo nella distribuzione del reddito, dunque, ma anche di potere, di opportunità, di prospettive sul futuro.

Andiamo con ordine. Innanzitutto il contesto: il Cile, per lungo tempo considerato un caso di successo dell’America Latina, fa parte del club dei Paesi ricchi OCSE e ha un reddito pro-capite di circa 24.000$, la soglia attorno alla quale un Paese si considera di reddito medio- Le disuguaglianze, però, sono profonde: il 75% dei lavoratori guadagna meno di 700$ al mese e la pensione media è di 300$. Come mostrano i dati CEPAL, un quarto del totale della ricchezza è nelle mani dell’1% e il 66% in quelle del 10% più ricco. All’estremo opposto, la metà delle famiglie più povere detiene il 2% della ricchezza. “I cileni ricchi vivono come i ricchi in Germania, i poveri come in Mongolia” nota Branko Milanović, ex capo economista della Banca Mondiale.

Nell’esclusivo club dei paesi OCSE, il Cile mostra l’indice di Gini più alto sui redditi netti (cioè dopo le imposte e i trasferimenti) come indica la figura 2.

Figura 2. Gini pre e post imposte e trasferimenti; Fonte: OCSE 2015-2017, elaborazione Andrea Repetto

Disuguaglianza strutturale e percepita. La Costituzione del 1980 disegna un ruolo minimo per lo Stato, ancillare rispetto al privato in ogni campo, inclusi l’educazione, la salute, le pensioni, la gestione delle risorse naturali. L’accesso a questi servizi, affidato a un mercato costruito sulle disuguaglianze che dividono il paese, è tale che il gioco risulta falsato sin dall’inizio.

L’economista Jorge Katz che ha studiato in profondità il paese ha scritto che non esiste il Cile, esistono, invece, quattro paesi a diversi livelli di sviluppo economico. si va da quello più avanzato e innovativo a quello che vive di economia informale e illegalità. Esiste un Cile altamente produttivo, aperto al commercio estero (come, ad esempio, il settore delle miniere di rame e litio, o i settori in ascesa della viticoltura e salmonicoltura) e un Cile popolato da molte piccole e medie imprese (PMI) con scarsa produttività, come mostra la figura sottostante. Le PMI occupano il 65% della forza lavoro, ma contano solo il 15% delle vendite e il 2% delle esportazioni. La produttività del lavoro delle grandi aziende è cinque volte maggiore di quello delle PMI, benché tra il 2005 e il 2016 questo divario si sia leggermente ridotto.

Le disuguaglianze della struttura produttiva si traducono in differenze nei salari, nella capacità di risparmio e nella costruzione della pensione. Vi è una vasta classe media impiegata in posti di lavoro informali e precari, con bassa protezione sociale e un reddito basso e instabile, esposta al rischio permanente di (ri)cadere in povertà.

Il pilastro del modello sociale costruito sul testo di Pinochet è il sistema pensionistico AFP – l’acronimo sta per “gestori di fondi pensione” -, un modello a capitalizzazione individuale che si pensò di importare in Italia ai tempi della riforma Fornero. Il sistema è perfetto da un punto di vista di bilancio, è sempre in equilibrio poiché ciascuno paga la propria pensione, ma ha un piccolo difetto: la metà delle pensioni erogate è inferiore ai 230 euro al mese. Pensioni così misere spingono gli anziani a continuare a lavorare, spesso in nero: la metà dei lavoratori over-65 è informale (INE, 2020).

Ma la disuguaglianza riguarda anche altre dimensioni e plasma le relazioni sociali. La disuguaglianza tra ricchi e poveri si riconosce anche dal diverso sguardo sul futuro. Le élite cilene hanno sempre a disposizione opportunità personali o di corporazione, mentre i ceti popolari senza aspirazioni collettive e gravati dal peso del debito sono spinti verso l’impoverimento. Il 36% dei giovani dice di essere stato discriminato per l’aspetto fisico, l’origine socioeconomica, il genere o il luogo di residenza (BID-EP-IDRC, 2018) (è assai comune in un primo scambio di battute tra persone che si stanno conoscendo, dichiarare o chiedere il quartiere in cui si risiede). Tra gli adulti, il 41% dice di aver vissuto abusi e maltrattamenti nel luogo di lavoro, per strada, nei trasporti o nei servizi pubblici (PNUD, 2017). I dati sulla salute sono ancora più chiari: per un intervento chirurgico si può aspettare fino a 479 giorni e aspettando muoiono 25mila persone ogni anno (MINSAL, 2018). La speranza di vita di una donna che vive nelle aree ricche del nord-est della capitale è fino a diciotto anni maggiore di quella di una donna che vive nella zona ovest.

Queste sono alcune delle ragioni che hanno dato vita al movimento popolare del 2019 e portato al risultato referendario del 25 ottobre, quando il 78% dei cittadini ha bocciato l’attuale Costituzione, come ben racconta il libro di Clelia Bartoli, Aqui se funda un pais. Viaggio nella ribellione cilena.

Veblen a Santiago, ovvero sogno e frustrazione. “A inizio anni 2000, si erano diffusi i Faundez, telefoni di legno o plastica, servivano a simulare un telefono cellulare autentico, per dare l’idea che si stesse davvero parlando con qualcuno. Negli stessi anni, durante le torride estati di Santiago, era comune vedere persone alla guida di automobili con i finestrini sollevati. E solo alcune avevano davvero l’aria condizionata in macchina” racconta divertita Claudia Heiss, direttrice del corso di Scienza Politica della Universidad de Chile descrivendo il modello di consumo delle classi popolari cilene. Classi popolari che vivono “tra annunci pubblicitari in cui si vede gente bionda, bianca e alta che corre sulla spiaggia, guida auto sportive e beve birra. Non c’è di che farsi venire i complessi?” si domanda lo scrittore Ibargüengoitia. Tali comportamenti si riflettono negli atteggiamenti delle élite cilene, e latinoamericane in generale, che modellano le loro scelte di consumo sui canoni europei o statunitensi, zone del mondo verso cui indirizzano una parte rilevante del reddito per importare beni di consumo che servono ad affermare il proprio status di élite. Ostentazione e imitazione, le due linee comportamentali di consumo descritte da Veblen, si riconoscono appieno nella società cilena.

Il sogno, per quanto distorto, ha funzionato finché la crescita lo ha permesso. Con il rallentamento della crescita, tra il 2% e il 3% negli ultimi 7 anni, il sogno si è trasformato in frustrazione. Frustrazione di una classe media che a un certo punto aveva potuto accedere a veri telefoni cellulari e vere automobili con impianti di climatizzazione, grazie a un sistema di credito al consumo, il quale permette di acquistare tutto a rate. Sono nati i cittadini carta di credito, secondo la definizione del sociologo cileno Tomás Moulian. Milioni di nuovi consumatori che hanno potuto realizzare i propri sogni di consumo e status, fino ad ipotecare il 75% del reddito familiare per pagare i debiti.

La frustrazione è forte soprattutto nei giovani professionisti, cresciuti con la democrazia, che non hanno conosciuto né la povertà né la dittatura, e hanno creduto alla promessa della meritocrazia. Sono “l’eroe sconfitto del paese. Lavorano in cose diverse da quelle per cui hanno studiato, si sono rassegnati a un futuro più piccolo di quello che avevano sognato”, come li descrive il sociologo Manuel Canales. C’è una canzone che risuona spesso nelle manifestazioni degli ultimi anni e racconta la delusione delle promesse tradite:

Da bambini ci dicevano/‘giocate a studiare, gli uomini sono fratelli e insieme devono lavorare’/ ascoltavo quei consigli/ E non fu tanto vero, perché alla fine alcuni terminarono con allori e futuro / e i miei amici prendendo a calci le pietre. / Ad alcuni insegnarono segreti che a te no/ad altri diedero questa cosa chiamata educazione chiedevano sforzo e dedizione / E perché? / Per finire a ballare e prendere a calci le pietre. (El baile de los que sobran, Los Prisoneros).

“I giovani professionisti frustrati sono la coscienza sociale del movimento popolare del 2019” continua Caneles, che ha promosso dei taller di ricerca su questo segmento di popolazione. Hanno studiato, affogano nei debiti per pagarsi la laurea, ma è grazie all’educazione se parlano il linguaggio della scienza e della legge, grazie all’educazione hanno preso coscienza dell’ingiustizia di una società dove le relazioni contano più di titoli di studio e sacrifici. E con la protesta del 2019 hanno appreso che il loro malessere non è un fallimento individuale, ma un fatto collettivo. La protesta li ha liberati dal senso di colpa, da debitori sono diventati creditori, chiedono indietro le promesse tradite. “Abbiamo aperto gli occhi”, “ci siamo tolti la benda” spiegano al gruppo di ricerca di Caneles. La teoria neoliberista, di cui è impregnata la Costituzione vigente e la società, non è stata sostituita da un’ideologia diversa. Ma qualcosa è cambiato, si è liberata un’energia, una forza di cooperazione, come nel caso delle ollas comunes, i pasti organizzati dai vicini durante la quarantena. C’è rabbia e c’è speranza in questi giovani professionisti, conclude la ricerca di Canales.

Il futuro. Per chi segue le vicende cilene, lo sguardo adesso è puntato ai risultati delle elezioni del prossimo 11 aprile e alla composizione che avrà l’Assemblea costituente. La domanda di una nuova Costituzione sottende la riscrittura di un patto sociale fondato su una maggiore uguaglianza, economica, di potere, di opportunità. Il movimento popolare, finora, ha dimostrato la sua forza nella pars destruens, abbattendo il totem della Costituzione del 1980 che sembrava insuperabile. Ma adesso, entrati nel vivo della pars construenes, ad essere messa alla prova è la maturità del movimento popolare nel definire le priorità per un paese attraversato da profonde divisioni che gli hanno impedito di progredire in maniera coesa.

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