Replica a Seravalli

Ringrazio per il commento il prof. Seravalli, che anche nel tentativo di dare una risposta asciutta e breve, la stessa forse diviene troppo semplicistica. Infatti  da questo testo si potrebbe quasi dedurre che, da parte delle forze “economico-sociali” sia fin troppo facile cedere alla lamentazione, dopo avere “goduto” della situazione per così tanto tempo cercata e abbracciata.

Personalmente posso dire che non essendo un’attivista politico, l’unico strumento che ho utilizzato in questi anni per contrastare l’involuzione di cui parla il prof. Seravalli, è stato il voto alle urne. Certamente i miei sforzi in quel senso, non sono stati profusi nella stessa direzione di quelli fatti dalla stragrande maggioranza dei lavoratori anche (e sopratutto) dipendenti nel nord-est del paese,  i quali hanno largamente contribuito a eleggere la classe dirigente attiva nell’ultimo decennio, quindi  la stessa che come affermato dal prof. Seravalli ha causato lo scempio. 

Forse perché ero troppo occupato a produrre e a competere, non ricordo esattamente quando gli imprenditori e le loro organizzazione collettive hanno chiesto “a gran voce lo smantellamento del diritto del lavoro”, ma per contro sono certamente favorevole a una chiara distribuzione dei ruoli e delle responsabilità.
Questo è il principio, il principio della responsabilità personale, dovrebbe regolare tutti i cittadini, e gli amministratori in primis.

E’ evidente che in un contesto come quello esistente il ruolo, lo scopo ultimo dell’azienda è quello di fornire continuità, ergo produrre utili, e questa necessità diverrà ancora più ineluttabile con l’avvento di Basilea 3, norma che modifica in modo sostanziale (giustamente, viste le conseguenze delle gestioni “allegre” come concause della crisi economico/finanziaria in atto) le modalità di come potevano essere affrontati i problemi finanziari fino a non molto tempo fa.
Dunque la “performance” aziendale, responsabilità dell’imprenditore, sarà condizionante nella possibilità dell’accesso al credito e del costo dello stesso, mettendo quindi in discussione la vita stessa dell’impresa.

La responsabilità del collaboratore è legata evidentemente alla qualità della collaborazione che fornisce che è dunque il contributo allo scopo aziendale. La qualità del lavoro fornito dal collaboratore è oggi, a causa dell’aumento della concorrenza ovunque, in misura molto più evidente di decenni indietro, un elemento imprescindibile per il risultato e la vita dell’azienda stessa.

Questo principio stride con l’assunto dato dalla legge che regola le assunzioni in Italia, e che stabilisce che dopo 5 settimane di prova l’azienda si deve fare carico di un dipendente “vita professionale natural durante” senza possibilità di appello. Chiunque è sposato o è stato  sposato sa che in un contesto ristretto come quello matrimoniale, anche se rafforzato da interessi certamente comuni, molte volte lo sforzo di mediazione non è sufficiente a garantire la continuità del rapporto stesso.

Certo, l’uso indiscriminato dei contratti a tempo determinato è di fatto un problema, ma non è lo strumento in sé a causare precarizzazione. Come sempre, il rispetto delle regole  impedisce che un contratto a tempo determinato venga bellamente rinnovato ad oltranza, causando abusi. Questo problema si riallaccia guarda caso, sempre e comunque alla qualità e alla professionalità dei politici ed amministratori che tutti i cittadini di questo paese profumatamente stipendiano, per quello che non fanno, così mi sì è concessa un’ennesima lamentazione.

Penso che la “via bassa”, che il prof. Seravalli ha rilevato, non sia stata una scelta ponderata da chicchessia e adottata per la riduzione del costo del lavoro (io non ho visto riduzione del costo del lavoro e lei sì?), ma più propriamente la riduzione della ricchezza disponibile, sia l’effetto negativo di un meccanismo causato dal “principio dei vasi comunicanti” generato dalla globalizzazione, che ha innescato l’inizio della crescita del reddito per miliardi di persone nei paesi in via di sviluppo (oramai in via di sviluppo, sembra un termine alquanto riduttivo) e di conseguenza la diminuzione, o meglio il non aumento, dei redditi nei paesi industrializzati, questa è una realtà con la quale dobbiamo ancora fare i conti, che saranno probabilmente salati.

Quando si parla della “via alta”, di innovazione, la faccenda si complica ulteriormente. Fare innovazione nel campo dei microchip,  microprocessori o fotovoltaico pare più semplice e fattibile, ma come il caso dei ricercatori di Milano che stanno restando senza lavoro, a causa del nuovo orientamento al mercato del far-east delle grandissime aziende che producono tecnologia, nulla è così scontato. Fare innovazione parlando di mobili imbottiti, dove la componente manodopera è così determinante appare un pochino velleitario, se non a livello di prototipazione e ingegnerizzazione del prodotto.

Certo serve innovazione, e serve sia orientata al portafoglio con il quale dobbiamo fare i conti ogni giorno, a partire da ieri e in futuro. Gli stipendi non aumenteranno a causa del “principio dei vasi comunicanti” e sicuramente non nella misura di quanto eravamo abituati in passato.
Abbiamo bisogno di prodotti di qualità, che non vadano a creare cumuli di immondizia e altri costi dopo un anno dall’acquisto, abbiamo bisogno di prodotti che siano fabbricati in Italia in Europa, che rispettino le norme e l’ambiente, e che non consumino 300 kg di nafta per fare 9000 miglia in mare, confezionati da personale in regola, che versi i contributi, e spenda il denaro in Italia. Credo anche che l’ottimo Paretiano che regge (reggeva) il sistema distributivo italiano ed europeo, sia venuto meno, quindi la vera innovazione, almeno per quanto riguarda il settore manifatturiero sia la necessaria riduzione della catena distributiva, fonte primaria di costi che non risultano più sostenibili, visto che la “decrescita” riguarda anche il contenuto del nostro portafoglio.

E torniamo all’inizio, a uno dei problemi-padre, soprattutto nelle situazioni più difficili, gli amministratori preposti all’amministrazione della polis, devono certamente fare il loro mestiere, con lungimiranza ed intelligenza, ma se non ne sono capaci devono andare a casa, e pagare le conseguenze di quello che fanno di sbagliato assumendosene la responsabilità personale, perché la responsabilità collettiva, è una bella parola, ma si traduce in: colpa di tutti uguale colpa di nessuno.

Schede e storico autori