Reddito di Cittadinanza e Reddito di Emergenza: quale quadro di insieme? – Seconda parte

Giovanni Gallo e Michele Raitano dopo aver discusso, nella prima parte dell’articolo pubblicata nello scorso numero del Menabò, i limiti dell’architettura del Reddito di Cittadinanza (RdC), si occupano del Reddito di Emergenza (REM) richiamandone, prima, le caratteristiche e presentando, poi, una stima del numero di nuclei familiari potenzialmente tutelati dal REM e di quanti di questi sarebbero stati altresì garantiti da una riforma del RdC che avesse risolto i problemi relativi ai requisiti di residenza e alla scala di equivalenza.

Nella prima parte di quest’articolo ci siamo concentrati sulle caratteristiche del Reddito di Cittadinanza (RdC) e su alcuni suoi limiti, relativi all’arbitrarietà dei requisiti adottati per definire la platea dei beneficiari e alla scala di equivalenza adottata, che tende a svantaggiare i nuclei numerosi. Abbiamo quindi sottolineato che – sebbene l’introduzione del RdC abbia rappresentato un importante passo avanti nella strategia di lotta contro la povertà assoluta, come confermano i dati recentemente forniti dall’ISTAT – i requisiti di accesso al RdC tendono a escludere molti nuclei effettivamente bisognosi da una misura di sostegno; ciò vale, a maggior ragione, in seguito all’emergenza Covid-19 che ha comportato un’improvvisa riduzione (se non azzeramento) dei redditi da lavoro di molte famiglie.

Come detto, anziché correggere i limiti più macroscopici dell’impianto del RdC e prevedere, durante l’emergenza, meccanismi più rapidi di dichiarazione e controllo delle domande per accedere al beneficio, il Governo ha preferito non intervenire sul RdC (salvo sospendere temporaneamente i requisiti di condizionalità relativi agli obblighi di ricerca di lavoro) e col decreto “Rilancio” ha introdotto un nuovo strumento soggetto a prova dei mezzi, il Reddito d’Emergenza (REM), con l’intento di fornire un temporaneo sostegno ai nuclei esclusi dal RdC e dalle altre misure attivate per evitare cali troppo drastici dei redditi di lavoratori dipendenti ed autonomi, quali le varie forme di CIG e l’una tantum da 600 euro.

Di seguito, descriviamo le caratteristiche del REM, mettendo in luce similitudini e divergenze rispetto al RdC, e presentiamo i risultati di alcune simulazioni che misurano il numero di potenziali beneficiari della nuova misura e, soprattutto, quanti di questi sarebbero stati tutelati, e in modo non temporaneo, se il RdC fosse stato modificato secondo l’ipotesi delineata nello scorso numero del Menabò.

Il REM viene concesso sulla base di due tipologie di requisiti, uno riferito alla residenza e l’altro economico. Riguardo al primo, l’unica condizione è che il richiedente il REM sia residente in Italia al momento in cui presenta la domanda. I requisiti economici sono invece i seguenti:

  • un valore dell’ISEE (sempre al momento della presentazione della domanda) inferiore a 15.000 euro;
  • un valore del reddito familiare, nel mese di aprile 2020, inferiore alla soglia corrispondente all’ammontare del beneficio, che è pari a 400 euro per un single, incrementata di 0,4 o 0,2 per ogni altro componente del nucleo rispettivamente maggiorenne o minorenne, fino a un valore massimo di 800 euro (840 in presenza di un disabile nel nucleo);
  • un valore del patrimonio mobiliare familiare nel 2019 inferiore a 10.000 euro, elevato di 5.000 euro per ogni componente successivo al primo e fino a un massimo di 20.000 euro (soglia e massimale sono incrementati di 5.000 euro per ogni componente in disabile).

In aggiunta ai requisiti economici, si specifica che non possono essere beneficiari del REM i nuclei con componenti percettori di RdC, pensioni, indennità di disoccupazione e qualsiasi altra indennità introdotta dal decreto “Cura Italia” per far fronte all’emergenza Covid-19. Il REM è inoltre incompatibile con la presenza nel nucleo di titolari di rapporti di lavoro dipendente la cui retribuzione lorda complessiva sia superiore alla soglia massima di reddito richiamata in precedenza. Si noti che nel caso dei percettori di CIG la soglia si riferisce alla retribuzione teorica contrattuale e non a quanto si riceve effettivamente come trasferimento. È da notare anche che dal reddito familiare non si deduce l’eventuale affitto per la casa di residenza, con l’esito di penalizzare nell’accesso al REM i nuclei con reddito superiore alla soglia ma con stringenti vincoli di liquidità.

Per chi soddisfa le condizioni elencate, l’importo del REM è in somma fissa e il suo importo mensile è uguale alla soglia prestabilita in base alla composizione familiare (400 euro per i single, fino a un massimo di 800 euro per i nuclei numerosi e 840 se in presenza anche di un disabile). Va quindi sottolineato che mentre il RdC (e altre misure assistenziali previste nel nostro ordinamento, come l’assegno sociale) è una misura di integrazione del reddito con un importo commisurato alla differenza fra il reddito familiare e la soglia prevista, il REM viene concesso con importo pieno a tutti coloro che soddisfano il requisito. Ciò implica, ad esempio, che due single, uno con reddito zero e l’altro con reddito 399, percepiscano entrambi un REM di 400 euro.

In caso di accoglimento della domanda, il REM viene erogato per due mensilità a decorrere dal mese di presentazione della domanda. L’importo nel bimestre del REM varia, dunque, fra 800 e 1680 euro, a seconda della composizione del nucleo. Al momento, è stabilito che il REM possa essere richiesto fino al 31 luglio 2020.

In confronto con il RdC i requisiti di accesso al REM sono generalmente più laschi, in coerenza con uno schema diretto a tutelare chi non rispetta i molteplici requisiti del RdC né ha diritto alle altre indennità. In primo luogo, come principale aspetto positivo, per essere beneficiari del REM non si richiede una durata minima di permanenza in Italia, laddove, come noto, nel caso del RdC si richiede una residenza di 10 anni in Italia, di cui gli ultimi 2 continuativi. Per quanto riguarda i requisiti economici, sia la soglia sull’ISEE che sul patrimonio mobiliare sono superiori a quelle stabilite per il RdC, mentre il confronto fra requisito reddituale di REM e RdC varia a seconda della dimensione del nucleo. Inoltre, a differenza che per il RdC, nel caso del REM non sono previsti ulteriori vincoli relativi al patrimonio immobiliare (che entra comunque nel calcolo dell’ISEE), al possesso di alcune tipologie di beni durevoli e al modo di utilizzare le somme ricevute, né meccanismi di condizionalità al lavoro per i beneficiari. Va altresì osservato che per graduare soglie reddituali e importi anche nel caso del REM si fa ricorso alla stessa, molto discutibile, scala d’equivalenza adottata per il RdC, resa addirittura meno generosa dato che si è stabilito un valore massimo di 2 (2,1 con disabili nel nucleo) laddove nel caso del RdC i massimali sono pari, rispettivamente, a 2,1 e 2,2.

Il REM è stato, dunque, immaginato come un intervento residuale rispetto alle altre misure introdotte per far fronte all’emergenza Covid-19 con un’architettura che per alcuni versi ricalca quella del RdC (scala di equivalenza, molteplicità dei requisiti e soprattutto ricorso all’ISEE, che può rappresentare un forte vincolo a effettuare la domanda e ricevere tempestivamente il trasferimento, come segnalato dal Forum Disuguaglianze e Diversità), mentre per altri se ne discosta sensibilmente (requisiti di residenza, valore di quelli economici, metodo di calcolo della prestazione).

Il REM offre quindi un sostegno, limitato nel tempo e nell’importo, ad alcuni nuclei che non rispettano i requisiti del RdC, in particolare quelli di residenza e quelli patrimoniali (basati, peraltro, su una ricchezza immobiliare che poteva essere stata erosa in conseguenza del lockdown), o che, per varie ragioni – in primis, mancanza di volontà di chi lavora in nero o “grigio” di “manifestarsi” sottoponendosi ai vincoli di condizionalità – non risultano beneficiari del RdC. A tale proposito, come ricordato nella prima parte dell’articolo, molte stime segnalano che il numero dei beneficiari effettivi del RdC rispetto a chi soddisfa i requisiti (il cosiddetto take-up rate) è all’incirca del 70%.

Facendo uso di un modello costruito a partire dai microdati dell’indagine IT-SILC dell’ISTAT, abbiamo pertanto simulato quanti sono i potenziali beneficiari del REM sulla base di diverse ipotesi sul take-up del RdC e ipotizzando anche una riforma del RdC che elimini i requisiti di residenza e adotti esclusivamente la scala di equivalenza ISEE (Tabella 1).

Il numero di effettivi nuovi beneficiari, in eccesso rispetto a quelli che avrebbero diritto a ricevere il RdC, è mostrato nella simulazione con take-up al 100%, mentre con take-up inferiore il REM sarebbe richiesto anche da chi è potenzialmente beneficiario del RdC.

Dalla simulazione con take-up al 100% si ricava che il numero di nuclei familiari che ha visto crescere grazie al REM il grado di copertura è pari a circa 289.000 famiglie (520.000 individui) e, di questi, ben il 44,1% è composto da stranieri, a conferma del fatto che il principale limite del RdC consiste nella scarsa tutela offerta agli stranieri. Sulla base dell’attuale RdC e ipotizzando un take-up completo i nuclei di cittadini italiani beneficiari del REM in virtù dei requisiti economici meno stringenti di quelli previsti per il RdC sarebbero, dunque, circa 160.000. D’altro canto, una quota non irrilevante dei nuclei che si devono “accontentare” del REM non avendo diritto al RdC (a causa di requisiti economici o di residenza) sarebbe coperta dal RdC riformato: con take-up al 100%, il 39% dei beneficiari del REM sarebbe tutelato dal RdC riformato e i nuclei beneficiari della nuova misura si ridurrebbero a circa 177.000.

Il numero di beneficiari del REM cresce, ovviamente, quando si ipotizzano take-up rate più bassi, dato che a richiedere il REM sarebbe, come detto, anche una quota non irrilevante di beneficiari potenziali del RdC. Con un take-up in linea con quello che emergeva prima del Covid-19, il REM sarebbe potenzialmente richiesto da 530.000 nuclei – per esborso complessivo per il bilancio pubblico di poco meno di 550 milioni di euro – e il numero di beneficiari si sarebbe ridotto solo del 14% anche in caso di riforma del RdC. Una riflessione approfondita sul take-up rate del RdC appare, dunque, necessaria, fermo restando che la propensione a richiedere il RdC potrebbe essere aumentata considerevolmente in seguito agli effetti dell’attuale recessione.

Prima di concludere possiamo provare a dare risposta alla domanda da cui eravamo inizialmente partiti nella prima parte dell’articolo: c’era bisogno del REM o si doveva prioritariamente riformare il RdC? La riflessione condotta e le evidenze mostrate portano a una risposta incerta: da una parte, anche una riforma del RdC, che comunque ci appare necessaria, lascerebbe inevitabilmente scoperti nuclei certamente bisognosi di supporto economico anche in una fase non emergenziale; dall’altra, come discusso, l’impianto del REM non appare scevro da difetti e incoerenze con lo stesso RdC. Appare ad esempio necessario riflettere su come andranno tutelati nei mesi a venire, quando la misura emergenziale sarà scaduta e, presumibilmente, il quadro macroeconomico sarà ancora negativo, quei nuclei che l’impianto del REM ha individuato come bisognosi ma che non vengono tutelati dal nostro sistema di protezione sociale.

A tale proposito riteniamo che se, da un lato, la scelta di tutelare i nuclei di stranieri solo mediante una misura estemporanea anziché includerli nello strumento universale appare dettata da tristi calcoli politici, dall’altro, non aver approfittato (ancora) dell’emergenza per avviare un processo di inclusione dei nuclei che per impossibilità o per scelta non avevano richiesto il RdC appare miope. Sfruttando la sospensione temporanea della condizionalità, e cercando un difficile equilibrio con la necessità di definire una misura tempestiva e semplice dal punto di vista amministrativo, si sarebbe, ad esempio, potuta immaginare una forma di accesso rapido al RdC che avrebbe reso conveniente richiederlo anche agli occupati in nero e che – se accompagnata da adeguate misure di politica attiva e dall’intervento dei servizi sociali – avrebbe potuto far rientrare buona parte di questi ultimi nell’economia formale al termine dell’emergenza.

Ma, a nostro avviso, il punto principale da segnalare è che, scegliendo di non ricorrere al RdC e a una sua ridefinizione (eventualmente anche solo temporanea) per far fronte all’emergenza, il Governo potrebbe aver mandato un segnale di mancata legittimazione di uno strumento che, a pochi mesi dalla sua introduzione, e in seguito all’aspro dibattito che ne aveva accompagnato l’avvio, necessitava, a nostro avviso, di un maggior supporto politico in modo da togliere spazio, nel dibattito, a quelle posizioni che considerano “uno spreco” dare sostegno economico ai nuclei bisognosi. Nella quasi totalità degli altri paesi europei durante la crisi sono stati allentati i requisiti economici e velocizzate le procedure per ottenere i trasferimenti di reddito minimo già esistenti; da noi, invece, si è scelto di introdurre uno strumento ad hoc con il rischio che parte della popolazione potrebbe desumerne che il RdC, da un lato, non è sufficientemente flessibile per affrontare crisi improvvise – e quindi non è così fondamentale nel nostro welfare – e , dall’altro, che il suo impianto non è modificabile.

Una volta usciti dalla fase più acuta dell’emergenza, si potrà verificare se questa scelta avrà condizionato il supporto di partiti e elettorato verso il RdC e verso quelle modifiche migliorative del suo impianto che, prima del lockdown, erano ritenute auspicabili dalle principali associazioni del terzo settore e da molti membri dell’attuale maggioranza di governo.

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