Reddito di cittadinanza: chi lo riceve ha una carriera contributiva “povera”

Giuseppe Pio Dachille, Maria De Paola e Paolo Naticchioni analizzano i percettori del Reddito di Cittadinanza e trovano che soltanto un terzo dei percettori in età da lavoro ha maturato contributi previdenziali nel corso degli ultimi due anni. I restanti due terzi sono, invece, rimasti esclusi dal mercato del lavoro formale e quindi anche dalle connesse prestazioni di sostegno .

Reddito di cittadinanza e lavoro. L’identikit dei beneficiari di reddito di cittadinanza (Rdc) è un tema centrale nel dibattito sul targeting della misura. Non a caso, sono molteplici i contributi che cercano di identificare, sotto più angolature, le condizioni socioeconomiche (qui) dei percettori e il loro grado di attaccamento al mercato del lavoro. In particolare, dagli due ultimi rapporti Cnel sul mercato del lavoro (qui e qui) emerge che oltre un terzo degli individui aderenti ai Patti per il lavoro non risulta essere mai stato occupato. E se a costoro si sommano gli individui con una posizione lavorativa lontana oltre tre anni dal momento di percezione del beneficio (16 per cento), il quadro sull’appetibilità sul mercato del lavoro dei beneficiari di Rdc si fa ancora più preoccupante.

Allo scopo di comprendere le caratteristiche in termini di carriere lavorative dell’intera popolazione dei percettori di reddito di cittadinanza, e non solo degli aderenti ai Patti (i beneficiari “presi in carico” sono pari al 39 per cento del totale), abbiamo incrociato i dati dei percettori, da aprile 2019 ad aprile 2021, di età compresa tra i 18 e i 64 con gli estratti conto contributivi Inps nel 2018 e nel 2019 (dunque l’anno precedente e, per buona parte dei nuclei familiari, l’anno di richiesta del Rdc).

Gli estratti conto contributivi, infatti, costituiscono la banca dati più adatta a questo tipo di analisi poiché descrivono in maniera esaustiva la storia contributiva dei lavoratori italiani: dipendenti, autonomi, domestici, agricoli e relative contribuzioni afferenti a periodi di non-lavoro (cassa integrazione guadagni, indennità di disoccupazione, contribuzione per maternità o per malattia).

Soltanto il 33 per cento dei beneficiari della misura ha maturato qualche contributo nel periodo considerato, mentre i due terzi sono stati estranei al mercato del lavoro formale e alle prestazioni di sostegno connesse (per un analisi più estesa si veda rapporto Inps). Ciò significa che la larga maggioranza dei percettori di Rdc era non occupata prima dell’introduzione della misura e continua a esserlo dopo.

Nella figura 1 viene rappresentata la composizione del 33 per cento di beneficiari che hanno maturato almeno una settimana di contribuzione (per macro-categorie) nel 2018 e nel 2019. Il 50 per cento degli individui con almeno una settimana contribuita nel 2019 (e il 49 per cento nel 2018) risulta essere un lavoratore dipendente; se a costoro si somma il 22 per cento (23 per cento nel 2018) di individui che riportano settimane contribuite rispettivamente in Naspi e in Cig si rileva che quasi i tre quarti delle settimane contribuite dai percettori di Rdc afferiscono al mondo del lavoro dipendente, più o meno precario (si tratta del 2,8 per cento dei lavoratori dipendenti totali). La restante parte della distribuzione è composta per un 10 per cento dalle contribuzioni legate a malattia e maternità e un 18 per cento dal mondo dei lavoratori agricoli, dei domestici e degli autonomi (il 14 per cento del totale dei lavoratori agricoli autonomi o dipendenti presenti in Italia).

Nota: la distribuzione è relativa all’evento “almeno una settimana contribuita”, e non al mero conteggio dei lavoratori; è possibile, ad esempio, che uno stesso lavoratore possa avere nel medesimo anno almeno una settimana contribuita nell’area “lavoratore dipendente” che in quella “Cig” o “maternità”.

Lavoratori molto precari. La nostra analisi mostra inoltre che complessivamente, tra il 2018 e il 2019, solo il 20,7 per cento dei percettori sembra aver lavorato per più di tre mesi in uno dei due anni. Inoltre, gli occupati sono in maggioranza a tempo determinato e concentrati principalmente in occupazioni a bassa qualifica.

Nella tabella 1 mostriamo, per i percettori Rdc, la distribuzione per stato occupazionale e settore, per tipologia di contratto (determinato o indeterminato) e riportiamo l’ammontare medio del reddito imponibile (in media, pari a 4.148 euro). Rispettivamente il 4,8 per cento e il 4,1 per cento dei percettori risultano lavoratori nel settore della ristorazione/alberghi e società di noleggio. Tra questi ultimi, poco meno di un terzo sono a tempo indeterminato e, per quanto riportino un reddito imponibile sensibilmente più elevato rispetto alle loro controparti “precarie”, quello da lavoro annuo lordo risulta comunque assai ridotto (5.358 € e 6.095 euro).

 

Il quadro complessivo che emerge da questa analisi è che il Rdc ha funzionato come rete di salvaguardia dalla povertà anche per i cosiddetti lavoratori poveri (oltre che coinvolti in settori maggiormente colpiti dalla pandemia). Come aiutarli ad avere carriere lavorative più stabili e meglio retribuite è una questione ancora del tutto aperta ed è una sfida particolarmente importante soprattutto per quei soggetti che sono nel pieno dell’età lavorativa.

 

*Questo articolo esce in contemporanea anche su lavoce.info (www.lavoce.info)

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