Redditi da capitale e redditi da lavoro: quale influenza sulla disuguaglianza complessiva?

Teresa Barbieri e Francesco Bloise presentano alcuni risultati contenuti nel loro contributo al recente volume “Il mercato rende diseguali?”, pubblicato da Il Mulino e curato da M. Franzini e M. Raitano. Barbieri e Bloise analizzano l’importanza relativa delle diverse fonti di reddito - da capitale, da lavoro autonomo e da lavoro dipendente – nella spiegazione della complessiva disuguaglianza nei redditi di mercato, mettendo in luce sia importanti differenze tra paesi sia le tendenze in atto al loro interno.

Un aspetto non frequentemente analizzato dalla letteratura economica, se non inizialmente dagli economisti classici e nuovamente da alcuni studi recenti, è l’influenza dei redditi da capitale sul livello e sull’andamento della disuguaglianza. Il capitale, infatti, insieme al lavoro dipendente e autono­mo, costituisce una delle fonti da cui scaturiscono i redditi di mercato che affluiscono agli individui e alle famiglie.

Negli ultimi anni vari studiosi si sono posti l’obietti­vo di scomporre gli indicatori di disuguaglianza, ad esempio l’indice di Gini, allo scopo di individuare il contributo che le diverse fonti di reddito hanno dato all’incremento della disuguaglianza. I risultati variano da paese e paese, sebbene sia i salari sia il reddito da lavoro autonomo sembrano spiegare la quota maggiore di disuguaglianza  (A. Brandolini,, T.M. Smeeding, “Income inequality in richer and OECD countries”, in The Oxford handbook of economic inequality, a cura di W. Salverda, B. Nolan, T. Smeeding, Oxford University Press, 2009).

Il reddito da capitale ha contribuito quasi ovunque ad accrescere la disuguaglianza, ma il suo contributo è particolarmente rilevante in Francia, Italia e Regno Unito ( C. García Peñalosa, E. Orgiazzi, “Factor Components of Inequality: A Cross Country Study”, Review of Income and Wealth, 2013; M. Raitano, “Income Inequality in Europe Since the Crisis”, in Intereco­nomics, 2016).

Lo scopo di questo articolo è quello di mostrare dei risultati che abbiamo presentato nel volume: “Il mercato rende diseguali?”, ottenuti dall’analisi dell’influenza delle diverse fonti di reddito sul livello e sull’andamento della disuguaglianza tramite una tecnica di scomposizione per fattori proposta inizialmente da A.F. Shorrocks (“Inequality decomposition by factor components”, Econometrica, 1982) e S.P. Jenkins, (“Accounting for inequality trends: decomposition analyses for the UK, 1971-86”, Economica , 1995 ).

Seguendo Garcia-Penalosa e Orgiazzi [abbiamo scelto come indicatore di disuguaglianza la metà del quadrato del coefficiente di variazione (HSCV), che è preferibile quando ci si confronta anche con redditi che possono presentare valori pari, o inferiori, allo zero e, inoltre, rispetto all’indice di Gini, più sensibile a piccole variazioni della disuguaglianza.

L’analisi è effettuata considerando 8 Paesi europei: Svezia e della Norvegia, rappresentative dei paesi scandinavi; Germania e Francia (paesi continentali); Spagna e Italia (paesi mediterranei); Polonia e Regno Unito, rappresentativi, rispet­tivamente, dei paesi dell’Europa dell’Est e di quelli anglosassoni. Le elaborazioni sono state compiute basandosi sui dati delle waves 2007 e 2014 dell’indagine campionaria EU-SILC, ed escludendo gli individui in pensione.

La maggior parte degli studi recenti sulla disuguaglianza si concentra sui redditi disponibili. Nella nostra analisi prendiamo invece in considerazione i redditi equivalenti lordi di mercato, ottenuti come somma dei redditi da capitale (in cui sono inclusi le rendite delle proprietà immobiliari, ma non le rendite imputate dell’abitazione di residenza), da lavoro autonomo e da lavoro dipendente.

La figura 1 mostra il contributo che le diverse sotto­componenti del reddito di mercato danno alla disuguaglianza, evidenziando come questo contributo vari tra i Paesi e nel tem­po. In particolare, appare evidente come la quota nettamente prevalente della disuguaglianza di mercato sia spiegata dalla disuguaglianza dei redditi da lavoro dipendente che, peraltro, rappresentano la quota più importante dei redditi di mercato.

Non mancano però le differenze tra Paesi. Ad esem­pio, in Polonia, Francia e Spagna la percentuale di disuguaglianza associata al reddito da lavoro dipendente oscilla tra circa l’80 e il 90% nell’indagine del 2014, mentre in Italia la percentuale è circa il 55% ed è molto importante la quota di disuguaglianza associata al reddito da lavoro autonomo. Inoltre, in ben 6 degli 8 Paesi analizzati la disuguaglianza riconducibile al reddito da lavoro dipendente è aumentata nel corso del tempo.

Guardare alla quota di disuguaglianza associata alle varie fonti di reddito non fornisce un quadro esaustivo dell’importanza relativa di ognuna di esse, dal momento che il peso di ogni fonte, rispetto al reddito totale, varia sensibilmente. Dalla tabella 1 si può, infatti, osservare come il reddito da lavoro dipendente sia la componente principale del reddito di mercato in tutti i Paesi, con quote che oscillano tra il 70% in Italia e il 94% in Svezia. Si noti come, in quasi tutti i Paesi, con l’eccezione di Germania e Francia, tale quota sia rimasta sostanzialmente stabile nel periodo considerato.

Il maggior contributo che il reddito da lavoro dipendente dà alla disuguaglianza totale nella wave del 2014 rispetto alla wave del 2007, evidenziato nella figura 1, potrebbe essere quindi dovuto ad un aumento della disuguaglianza salariale avvenuto negli ultimi anni. Invece, tra la wave del 2007 e quella del 2014 si è verifi­cata una diminuzione generale della quota di reddito da lavoro autonomo sul totale (con l’eccezione della Polonia), a vantaggio del reddito da capitale, la cui quota è cresciuta in tutti i Paesi, ad eccezione di Germania, Svezia e Regno Unito.

Particolarmente rilevante è stato l’aumento della quota di reddito da capitale in Francia che è passata dal 3,3% nell’indagine del 2007 al 7,4% nell’indagine del 2014. Si noti, infine, come la quota di reddito da lavoro au­tonomo sia estremamente più elevata in Italia rispetto agli altri Paesi con una percentuale di circa il 25% nella wave del 2014.

Un modo per valutare come la disuguaglianza interna alle singole sotto-componenti sia associata alla disuguaglianza generale è analizzare il rapporto tra la quota di disuguaglianza spiegata da una specifica sottocomponente e la quota di quest’ultima sul reddito totale. La figura 2 mostra che questo rapporto è estremamente più elevato per i redditi da capitale che sono molto più concentrati dei salari e, nella maggior parte dei casi, anche dei redditi da lavoro autonomo.

Ad esempio, in Norvegia, Svezia e Polonia il contributo alla disuguaglianza totale dei redditi da capitale dipende molto dall’alta concentrazione del capitale, più che dalla sua quota sul reddito di mercato. Tuttavia, mentre in Polonia e in Svezia il contributo alla disuguaglianza associata all’alta concentrazione dei redditi da capi­tale è diminuito tra la wave del 2007 e quella del 2014, in Norvegia il rapporto è aumentato raggiungendo il valore più alto tra i Paesi analizzati. Infine, per quanto riguarda la Francia, l’aumento del rap­porto tra quota di disuguaglianza spiegata e quota sul reddito totale dei redditi da lavoro dipendente è la causa principale dell’aumento della disuguaglianza dei redditi di mercato.

Un ultimo aspetto interessante riguarda le quote delle diverse sottocomponenti di reddito con esclusivo riferimento al 10% più ricco della popolazione (in termini di redditi di mercato). La tabella 2 mostra che nel 2014 le quote di reddito da capitale e da lavoro autonomo erano più elevate nel top 10% che rispetto alla popolazione generale; più precisamente, nella wave del 2014 la quota di reddito da capitale oscillava tra l’1,0% della Polonia e il 7,4% della Francia considerando tutta la popolazione, e tra il 2,4 e il 14,3% nel top 10%. Simmetricamente, il reddito da lavoro dipendente rappresenta una quota significativamente più bassa del reddito complessivo del top 10%: 78% fra i più ricchi contro 85% nella popolazione complessiva.

L’effetto di quanto si è detto è che la quota di disuguaglianza associata ai redditi da capitale e da lavoro autonomo generalmente aumenta quando ci si concentra sulla coda alta della distribu­zione (fig. 3). Ciò vale, in particolare, per Italia, Germania e Norvegia. In Italia la quota di disuguaglianza associata al reddito da capitale e da lavoro autonomo passa da circa il 45% quan­do ci si riferisce alla popolazione totale, a circa il 65% quando si considera, invece, soltanto il top 10%. Inoltre, il 58% della disuguaglianza nella coda alta della distribuzione è associato al reddito da lavoro autonomo.

Risultati molto simili si hanno per la Germania dove i redditi da capitale e da lavoro autonomo sono associati alla disuguaglianza di tutta la popolazione per circa il 30% e a quella del top 10% per circa il 65%; i corrispondenti valori in Norvegia sono 40 e 75% circa. In questo paese è de­cisivo il reddito da capitale, che risulta associato a circa il 55% della disuguaglianza al top della distribuzione. Soltanto in Francia e in Polonia la quota di disuguaglianza associata ai redditi da capitale e da lavoro autonomo non è più alta nel top 10% rispetto alla popolazione complessiva.

In conclusione, la disuguaglianza associata al reddito da lavoro dipendente è aumentata. Al contempo, la quota di reddito da capitale è cresciuta in molti Paesi ed è più elevata se si analizza soltanto la coda alta della distribuzione. Abbiamo dunque un’indicazione di quali sono i fattori alla base della crescente disuguaglianza nei redditi di mercato. Da un lato, un mercato del lavoro, divenuto un luogo in cui si possono formare forti disuguaglianze; dall’altro la cre­scita di importanza di una componente (il reddito da capitale) che è distribuita in modo molto diseguale ed è concentrata soprattutto al top.

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