Quanto è povera l’India?

Elisabetta Basile illustra le ragioni che sono alla base dell’incertezza nella stima della povertà nell’India contemporanea. Basile dopo aver ripercorso i numerosi cambiamenti nei metodi di stima intervenuti dal 1962, si sofferma sulla natura politica delle scelte del Governo indiano e ricorda che le stime del Governo relative al 2009/10 indicano che circa un terzo della popolazione indiana vive in condizioni di estrema deprivazione, un valore molto vicino a quello calcolato dalla Banca Mondiale

Come ha ammesso persino il Primo Ministro indiano Narendra Modi in un’intervista recente, la povertà è certamente la maggiore sfida dell’India contemporanea. Tuttavia, sebbene il problema sia rilevante e molto evidente, non è facile capire quanto povero sia il paese nel suo complesso e di quanto la povertà si sia ridotta negli ultimi decenni.

Su incarico del Governo indiano, la Planning Commission stima il numero dei poveri fin dal 1962, ma le stime sono sistematicamente contestate per ragioni che fanno riferimento alle metodologie di calcolo e all’idoneità dei dati utilizzati. Per effetto delle continue revisioni cui è stato obbligato il Governo per rispondere alle critiche, i confronti intertemporali e spaziali hanno poco senso; inoltre, il “grande dibattito” sulla povertà che accompagna da molti anni la pubblicazione delle stime ha rivelato che sulla questione è in atto nel paese un forte scontro ideologico e ha evidenziato la natura politica e strumentale delle scelte metodologiche alla base delle stime.

Informazioni alternative sul fenomeno sono ricavabili dalle stime della Banca Mondiale che hanno anche il vantaggio di consentire confronti internazionali e intertemporali. Ma la Banca Mondiale utilizza una metodologia diversa da quella impiegata dalla Planning Commission e i risultati delle due stime sono inevitabilmente diversi e talvolta anche tra loro nettamente contrastanti. Comunque, malgrado le differenze, il confronto fra le stime disponibili serve almeno a determinare l’ordine di grandezza del fenomeno. L’obiettivo di questa nota è fornire indicazioni a questo riguardo.

Le stime del Governo indiano. La Planning Commission stima la dimensione della povertà sulla base dei dati sui consumi delle famiglie rilevati con indagini campionarie condotte ogni 5 anni dalla National Sample Survey Organisation (NSSO), un’agenzia del Ministero delle Statistiche.

Le prime linee della povertà furono definite sulla base del livello di spesa necessario per una vita sana e attiva, fissato a 20 e 25 Rupie al mese per individuo, rispettivamente in campagna e in città (equivalenti a 4 e 5 $ dell’epoca, corrispondenti in dollari 2015 ad un livello intorno all’attuale linea internazionale della povertà di 1,25 $). Sebbene fossero ritenute troppo basse da molti osservatori, queste linee furono utilizzate per tutti gli anni 1960 e 1970. Solo nel 1979 fu introdotto il criterio del minimo introito calorico individuato in 2400 e 2100 calorie quotidiane per campagna e città (in termini monetari 49,09 e 56,64 Rupie al mese). Queste linee, aggiustate sulla base dell’aumento dei prezzi, furono utilizzate fino a quando nel 1993 la Commissione Lakdawala (dal nome del coordinatore), incaricata dell’aggiornamento dei metodi di stima, pur confermando la metodologia precedente, affermò la necessità di utilizzare linee della povertà distinte per Stato. La quota dei poveri sulla popolazione totale venne così calcolata come media ponderata della quota dei poveri in ogni Stato, mentre le linee della povertà furono aggiornate negli anni seguenti sulla base di un indice dei prezzi distinto per lavoratori agricoli e per lavoratori industriali.

Nel 2005 un nuovo gruppo di esperti incaricati dal Governo (la Commissione Tendulkar) introdusse una serie di cambiamenti significativi nella metodologia di stima: i) fu adottato un criterio di definizione della linea della povertà basato sui risultati individuali in termini di nutrizione (e non sull’introito calorico); ii) si decise di distinguere i consumi di beni alimentari da quelli non alimentari (classificati in 5 categorie sulla base dei dati NSSO: abbigliamento, calzature, beni durevoli, istruzione e salute); e iii) fu utilizzato un unico paniere di beni per città e campagna. La metodologia Tendulkar portò alla definizione di linee della povertà pari a 673 Rupie (10 $ circa) per India rurale e 860 Rupie per India urbana (14 $ circa) diffusamente ritenute insufficienti ad assicurare un livello adeguato di consumi alimentari e non alimentari, incluse le spese per salute e istruzione. Le linee, utilizzate sui dati NSSO per il 2009/10 generarono delle stime da cui emergeva una forte riduzione della povertà e una marcata concentrazione dei poveri nelle aree rurali: da 37% della popolazione del 2004/5 a 30% per l’India nel complesso (corrispondenti a 21% nell’India urbana e 34% nell’India rurale).

La pubblicazione di queste stime suscitò forti reazioni che riempirono e continuano a riempire ancora oggi i quotidiani e le riviste specializzate. A fianco di critiche non nuove sulla scarsa comparabilità dei dati NSSO negli anni e sulla loro inadeguatezza per la stima della povertà, si sono aggiunte critiche specifiche al metodo Tendulkar, che secondo gli osservatori trascura il cambiamento negli stili di vita e le aspirazioni degli individui e sottostima il peso delle spese delle famiglie per beni e servizi non connessi all’alimentazione. Per conseguenza, la riduzione della povertà, nelle dimensioni segnalate dalle stime Tendulkar, è da molti considerata non corrispondente alla realtà.

Pressato dalle critiche, il Governo decide di nominare una nuova commissione (coordinata da Rangarajan) con l’incarico di definire una nuova metodologia di stima entro il 2014. Contemporaneamente indice anche una nuova indagine campionaria NSSO nel 2011/12 sulla base della considerazione che le indicazioni emerse da quella precedente sono viziate dal fatto che il 2009/10 è un anno di “cattivi monsoni”. In attesa della metodologia Rangarajan, i dati del 2011/12 sono elaborati con la metodologia Tendulkar, evidenziando una riduzione della povertà di oltre 15 punti percentuali per l’India nel suo complesso (dal 37% del 2004-5 al 22% del 2011/12 – e da 407 milioni a 269 milioni di individui). Le nuove stime inaspriscono lo scontro fra chi ribadisce l’inadeguatezza del metodo Tendulkar, poiché le stime contrastano marcatamente con l’evidenza della povertà nel paese, e coloro che ne sostengono la correttezza, sostenendo che la riduzione della povertà è una conseguenza della crescita del paese e che deve essere accettata anche da coloro che hanno un interesse ideologico a enfatizzare la persistenza di una diffusa deprivazione.

Quando le stime con il metodo Rangarajan vengono pubblicate nel giugno del 2014 l’India si scopre significativamente più povera. Il nuovo metodo poggia su livelli di consumo considerati “desiderabili” in termini di alimenti e di non alimenti (incluse le spese per istruzione e salute) e ripristina la distinzione fra panieri di beni per famiglie urbane e rurali. Esso genera linee della povertà nettamente più alte per il 2009/10 e per il 2011/12: rispettivamente, 801 Rupie mensili (13 $ circa) e 1198 Rupie mensili (17 $ circa) per campagna e città e 972 Rupie mensili (15 $ circa) e 1407 Rupie mensili (circa 20 $) per campagna e città. Con queste linee la povertà si riduce dal 38% nel 2009/10 al 29,5% del 2011% per l’India nel complesso (dal 40% al 31% per la campagna e dal 35% al 26% per la città).

Le stime della Banca Mondiale. Le stime della povertà della Banca Mondiale si differenziano da quelle della Planning Commission perché non usano linee della povertà specifiche per ogni paese, ma ricorrono invece alla linea internazionale della povertà, definita a 1,25 dollari al giorno per persona (misurata a prezzi 2005 e aggiustata sulla valuta locale con il fattore di conversione PPP – Parità di Potere d’Acquisto – stimato dalla Banca Mondiale), senza distinzione fra campagna e città e fra Stati. Inoltre, le stime si fermano al 2009/10.

Secondo la Banca nel 2009/10 il 33% della popolazione indiana era povero (il 34% nell’India rurale e il 29% nell’India urbana); si tratta di una stima intermedia rispetto a quelle di Tendulkar e Rangarajan. Sebbene le stime siano significativamente diverse, questo risultato conferma che in India intorno al 30% della popolazione vive in condizioni di deprivazione e che l’incidenza del fenomeno è nettamente superiore nell’India rurale che nell’India urbana.

Ma il ricorso alle stime della Banca Mondiale è utile anche perché rende possibile un’analisi delle dinamiche temporali e consente di comparare l’evoluzione della povertà in India con i trend mondiali. Come le stime del Governo, anche quelle della Banca Mondiale testimoniano che la povertà si è molto ridotta nel paese, passando dal 66% della popolazione nel 1977 al 42% nel 2004/5, al 33% del 2009/2010. Ma ci mostrano anche che i progressi compiuti dall’India nella lotta contro la povertà sono molto limitati in confronto con quelli di altri paesi in via di sviluppo ed emergenti, e in particolare con la maggior parte dei paesi asiatici, sia grandi sia piccoli.

I dati della Banca mostrano che sebbene il numero dei poveri si sia ridotto di oltre 700.000 unità negli ultimi tre decenni, la povertà continua a essere un fenomeno di notevole entità e oltre un miliardo e 200 milioni di persone nel mondo vivono ancora con meno di 1,25 dollari al giorno. Il contributo maggiore alla riduzione è stato dato dalla Cina, dove i poveri sono passati da 835 milioni nel 1981 (43% dei poveri totali) a 155 milioni nel 2010 (13%). In India il numero dei poveri si è ridotto solo di 34 milioni di unità, e nel paese nel 2009/10 era localizzato il 33% della povertà totale (contro il 22% del 1981). Peraltro la quota di poveri concentrata in India è cresciuta ed è oggi comparabile a quella dell’Africa Sub-Sahariana, dove vive il 34% dei poveri del mondo.

Va inoltre sottolineato che, sebbene la linea della povertà utilizzata dalla Banca Mondiale sia superiore a quelle utilizzate dal Governo indiano fino al 2009/10 (ma non di quella definita dalla Commissione Rangarajan per il 2011/2012), la soglia di 1,25 dollari al giorno consente solo di contare i poveri estremi poiché corrisponde a un livello di consumo appena sufficiente ad assicurare la sussistenza, come peraltro la stessa Banca Mondiale ammette. Al contrario, una linea della povertà più alta a 2 dollari al giorno consente di individuare l’insieme delle persone che si trovano in condizioni di forte deprivazione, anche se non a rischio immediato di sopravvivenza. Ebbene, se si misurasse la dimensione della povertà in India utilizzando una linea della povertà a 2 dollari al giorno, la quota percentuale dei poveri sul totale della popolazione indiana passerebbe dall’ 89% nel 1977 al 68% nel 2009/10. Anche in questo caso la diminuzione è certamente rilevante, ma il numero delle persone escluse dai progressi dell’economia resta altissimo.

L’uso congiunto delle stime della Planning Commission e della Banca Mondiale è dunque utile. Anche se non risolve i nostri dubbi sul reale numero di poveri in India, esso conferma che la povertà sta diminuendo, seppure con un ritmo che appare molto ridotto in confronto con quello osservato in altri paesi poveri dell’Asia e dell’Africa. Al di là delle differenze metodologiche, dalle stime risulta che un terzo della popolazione dell’India vive in condizioni di estrema povertà: questo numero, però, raddoppia se si alza anche di poco (fino a 2 dollari al giorno) la linea della povertà. Una così alta dimensione della deprivazione fornisce un’evidenza inconfutabile che il modello di sviluppo indiano non è inclusivo. Questa situazione, in un paese che ha registrato nell’ultimo decennio tassi di crescita del PIL sempre superiori al 5% (con punte di oltre il 9%), è molto preoccupante perché può compromettere le prospettive di sviluppo sostenibile e inclusivo dell’India nel medio-lungo periodo.

Alle condizioni dello sviluppo umano in India sarà dedicato un ulteriore articolo che verrà a breve pubblicato sul Menabò.

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