Quali tutele per il lavoro autonomo professionale?

Andrea Buratti interviene nel dibattito suscitato dal progetto di legge elaborato dal Cnel in materia di tutele delle lavoratrici e dei lavoratori autonomi iscritti alla Gestione separata dell’INPS. Partendo da una rappresentazione della variegata composizione della platea di riferimento, Buratti sottolinea la necessità di un’estensione di forme di tutela per il comparto e, con riferimento alla proposta del Cnel, ne illustra i pregi e ne discute alcuni dettagli applicativi.

L’emergenza sanitaria in atto e la crisi economica che ne è derivata hanno ridato vita al dibattito sugli strumenti più idonei per un mercato del lavoro flessibile e resiliente. I piani Sure e Recovery Fund messi a punto dalle istituzioni europee, d’altronde, individuano questo obiettivo come prioritario, e destinano ingenti risorse allo scopo.

Diversi Paesi europei hanno da tempo riformato il proprio mercato del lavoro e il proprio sistema di welfare, investendo sulle risorse della partecipazione delle rappresentanze sociali, nonché su un corretto equilibrio tra politiche attive e sostegni di welfare. Altri Stati membri, tra cui l’Italia, solo più recentemente hanno avviato processi di riforma che necessitano di ulteriori revisioni e potenziamenti. La mancanza di una visione strategica di lungo periodo è d’altronde da sempre una lacuna delle politiche del lavoro nel nostro Paese, sovente fondate su logiche emergenziali ed esigenze contingenti.

Il dato nuovo dell’assetto occupazionale e produttivo della nostra economia è rappresentato dall’espansione dell’area del lavoro autonomo professionale, un settore in costante crescita in termini di lavoratori e di contributo al prodotto interno, che tuttavia racchiude al suo interno una costellazione variegata di realtà produttive e di livelli reddituali, anche in base a elementi quali l’età, il sesso, l’area geografica e la modalità organizzativa dell’attività economica, che spazia dallo studio individuale all’organizzazione complessa. Questa trasformazione del mercato del lavoro – che certamente discende dalla crisi di un modello novecentesco di produzione economica, ma che è anche figlia di nuovi stimoli e della creatività insita nel modello del lavoro autonomo professionale – pone un problema rilevantissimo nella costruzione di un sistema di tutele del lavoro ispirato a criteri di equità e di efficienza.

I Paesi europei, tutti coinvolti da questa transizione, sono dunque chiamati a porre mano al sistema delle tutele del lavoro nella prospettiva dell’universalità delle misure di sostegno al reddito. Non è un caso che il recente Regolamento europeo sul piano Sure abbia espressamente incluso anche i lavoratori autonomi tra i destinatari delle risorse per il sostegno al reddito in questa fase emergenziale. La sfida del welfare state nelle democrazie mature è oggi quella di garantire che tutti i lavoratori, a prescindere dalle modalità con cui svolgono l’attività lavorativa, siano essi autonomi o subordinati, dispongano di strumenti che li tutelino nei momenti di difficoltà.

Questo obiettivo si scontra, tuttavia, con alcune difficoltà, che vanno al di là delle resistenze di alcuni attori sociali: la principale è rappresentata dalla parcellizzazione del lavoro autonomo in una molteplicità di forme e attività, con la conseguente differenziazione reddituale al suo interno. Nella Gestione separata Inps – “residuale” per definizione – confluiscono lavoratori con storie e condizioni molto diverse: in questo insieme variegato, la componente della “falsa” partita Iva dietro cui si cela un rapporto sostanzialmente subordinato rappresenta una patologia, che l’ordinamento dovrebbe combattere, e che non dovrebbe compromettere la possibilità di indirizzare politiche di sostegno alla categoria del lavoro autonomo professionale.

La spinta propulsiva alla creazione di un ammortizzatore sociale dedicato ai lavoratori autonomi è stata l’esito di un rinnovato interesse delle istituzioni per il mondo del lavoro autonomo. Uno sforzo che ha raggiunto un primo risultato nel 2017 con l’adozione della legge n. 81. Un provvedimento quest’ultimo che, partendo dalle esigenze manifestate dal mondo associativo del lavoro autonomo, conteneva una serie di garanzie che andavano dalla tutela del lavoratore autonomo quale contraente debole nei confronti di committenti dotati di particolare forza contrattuale alla piena fruibilità dei fondi europei per un migliore posizionamento sul mercato. Un vero punto di svolta, da subito interpretato da quegli stessi rappresentanti come la prima tappa di un articolato percorso finalizzato alla creazione di un completo assetto di tutele per i lavoratori autonomi. Il dialogo e l’intesa tra le parti è divenuta così l’elemento strategico per l’elaborazione di nuove proposte di riforma. Una consapevolezza presente anche nella legge del 2017 che aveva previsto un tavolo permanente su lavoro autonomo e professioni da istituire presso il Ministero del Lavoro. Un intervento ancora da attuare che è rimasto al di fuori delle agende dei Ministri che si sono succeduti.

È stato invece il Cnel ad offrire una sede di confronto che permettesse di coinvolgere tutte le rappresentanze del mondo autonomo e professionale, unitamente alle organizzazioni sindacali rappresentate nel Consiglio, con la costituzione di una “Consulta del lavoro autonomo e professionale” il cui compito istituzionale è proprio l’individuazione di priorità e l’elaborazione di proposte ed iniziative per il settore.

La Consulta ha elaborato un progetto di legge “Tutele delle lavoratrici e dei lavoratori autonomie dei liberi professionisti iscritti alla Gestione separata Inps”, approvato dall’Assemblea del Cnel e attualmente all’esame del Senato. Nato con ampia condivisione delle organizzazioni presenti, oltre a portare a compimento due importanti obiettivi di tutela in materia di maternità e malattia già delineati dalla legge n. 81/2017, il progetto di legge del Cnel individua uno strumento di garanzia del reddito per i lavoratori autonomi iscritti alla Gestione Separata, denominata “Indennità straordinaria di continuità reddituale ed operativa – ISCRO”, il cui obiettivo consiste nel garantire una continuità reddituale a quei professionisti e lavoratori autonomi che, a causa di un evento legato alla propria vita personale e familiare o a condizioni economiche, rischino di interrompere l’attività e di abbandonarla definitivamente.

Nel precedente fascicolo di questa Rivista, Claudio Treves ha meritoriamente aperto il dibattito sul tema, illustrando gli aspetti salienti del progetto ed esprimendo alcune perplessità sui profili attuativi. Conviene allora tornare sui contenuti dell’istituto, affrontando le sollecitazioni proposte.

I cardini dell’istituto proposto sono:

  1. La previsione di una indennità calcolata sul dato oggettivo del calo del fatturato rispetto ad un periodo predeterminato (riduzione di almeno il 50% rispetto ai 3 anni precedenti), sebbene nei limiti di una soglia reddituale massima (8.145 euro) che esclude i percettori di redditi più alti. Come si vede, il sistema è pensato per basare la tutela sulla storia personale del lavoratore. L’ipotesi avanzata da Treves di condizionare l’accesso al beneficio a condizioni di crisi coinvolgenti l’intero settore produttivo, o comunque di parametrare la crisi reddituale rispetto all’andamento medio del settore, sembra essere prevalentemente focalizzata sulla condizione di quei lavoratori titolari di partita Iva che operino in regime di monocommittenza. Ma, come detto, la platea dei beneficiari del provvedimento racchiude al suo interno centinaia di migliaia di lavoratori autonomi liberi professionisti, inclusi una molteplicità di professionisti delle c.d. “nuove professioni” la cui classificazione in settori predeterminati può essere forse giustificata a fini statistici, ma è altamente distorcente in termini reali. Ecco perché convince la scelta della Consulta, di puntare l’obiettivo sul lavoratore, indipendentemente dalle vicende del settore in cui opera: nel lavoro autonomo, le “storie personali” contano enormemente e fanno la differenza, e l’obiettivo del progetto è proprio quello di ammortizzare i loro effetti rispetto alla continuità professionale.
  2. La previsione dell’erogazione dell’intervento nell’anno successivo a quello in cui si è verificata la decurtazione reddituale. L’articolo di Treves muove qui una critica ragionevole al sistema congegnato, legata al ritardo dell’erogazione del beneficio rispetto al verificarsi della crisi reddituale. Sul punto, la proposta della Consulta sembra essere stata guidata dalla convinzione che le vicende reddituali che giustificano l’intervento a beneficio dei singoli lavoratori possono essere ben valutate solamente dopo un congruo periodo di tempo, giacché per i lavoratori autonomi liberi professionisti gli incassi sono normalmente distanti nel tempo dall’attività svolta: rispetto a questo andamento tipico del rapporto tra committenza, svolgimento della prestazione e incasso, l’anticipo del contributo nel medesimo anno solare in cui si verifica la crisi reddituale può ingenerare rischi di restituzione del beneficio economico. D’altronde, si manifesta qui, ancora una volta, una differenza strutturale tra lavoro autonomo e lavoro dipendente: ed infatti, il lavoratore autonomo non basa le proprie aspettative reddituali sulla certezza di un incasso mensile, ma progetta i propri piani economici e professionali nella consapevolezza di fluttuazioni di cassa più discontinue. Ne deriva che il lavoratore che subisce una decurtazione reddituale può ben fondare i propri progetti futuri sulla aspettativa del sostegno a cui ha diritto, sebbene materialmente erogato a distanza di mesi.
  3. La previsione di un percorso di politica attiva per il beneficiario della misura da realizzare con l’ausilio delle istituzioni competenti. Si tratta di un elemento fondamentale della proposta di legge sostenuto fortemente dalle rappresentanze presenti nella Consulta. L’introduzione di forme di orientamento, formazione e sostegno alla occupazione, specialmente nei momenti di difficoltà, è un’esigenza particolarmente sentita dai lavoratori autonomi. Un primo intervento in questo senso era già stato recepito nella legge 81/2017 che aveva istituito gli sportelli del lavoro autonomo presso i centri per l’impiego rimanendo tuttavia inattuato.
  4. La previsione di una contribuzione, piuttosto contenuta, dello 0,28% per il finanziamento della misura, che in base a calcoli attuariali disposti dalla Consulta risulta ampiamente sostenibile. Peraltro, la coincidenza della proposta legislativa con la disponibilità delle risorse Sure – come detto destinate anche al sostegno del lavoro autonomo – invita a considerare l’utilizzo di questi fondi per consentire l’avvio dell’istituto senza ricorrere all’aggravio contributivo, per un periodo iniziale.

Questo progetto di legge, con tutti i limiti derivanti dalla costruzione di un ammortizzatore sociale per lavoratori la cui attività è soggetta a naturali fluttuazioni di mercato e i cui compensi sono difficilmente preventivabili, costituisce il risultato di un processo condiviso non soltanto da coloro che rappresentano il mondo del lavoro autonomo, ma anche dalle organizzazioni sindacali. Esso rappresenta dunque un punto di partenza per un più consapevole dibattito nell’opinione pubblica e per l’esame parlamentare in corso.

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