Quale ruolo per l’austerità dopo la crisi da Covid-19?

Stefano Di Bucchianico ricorda che le politiche di austerità fiscale possono peggiorare e non migliorare il rapporto debito/Pil e richiama le condizioni in presenza delle quali ciò può avvenire. Di Bucchianico sostiene, quindi, che la crisi originata dalla pandemia avrà l’effetto di creare quelle condizioni in un gran numero di paesi e da ciò trae la conclusione che politiche di austerità fiscale dovranno essere evitate non soltanto nell’immediato ma anche su un più lungo orizzonte temporale.

L’intera economia mondiale è in piena crisi a causa del forte rallentamento delle attività produttive e sociali dovuto al diffondersi della pandemia legata al Covid-19, come discusso anche sul Menabò. Lo scopo di questo articolo è mostrare come nei prossimi anni le misure di austerità saranno da evitare sia nell’Eurozona che negli altri principali Paesi industrializzati, pena un conflitto irrisolvibile tra gli obiettivi di riduzione dei rapporti debito/Pil e gli strumenti generalmente utilizzati per conseguirli. Ciò vale al di là dell’esito delle trattative in sede istituzionale europea sulle misure di stimolo da adottare a fronte dell’emergenza (discusse sul Menabò). Questo per ragioni legate al rapporto tra il tipo di crisi che stiamo sperimentando e l’efficacia delle misure di austerità. Misure come la sospensione del Patto di Stabilità dovrebbero avere natura permanente; ciò ovviamente non significa affermare che non vi siano questioni ulteriori da analizzare in relazione al conseguimento di un deficit, quali per esempio entità, origine o modo in cui viene utilizzato.

L’effetto deleterio che le misure di austerità hanno sul rapporto debito/Pil è un risultato che ormai ha acquisito una certa notorietà (Gechert et al., in Applied Economic Letters, 2016; Stockhammer et al., in Review of Keynesian Economics, 2019). Infatti, partendo da una situazione in cui non è prevista alcuna misura di aggiustamento fiscale, si può mostrare come tale rapporto cresca ogniqualvolta si effettui una misura di taglio della spesa pubblica e/o aumento delle tasse in presenza di un moltiplicatore fiscale di entità superiore a quella dell’inverso del rapporto stesso (Nuti, in Conference on Economic and Political Crises in Europe and the United States: Prospects for Policy Cooperation, 2013). Per isolare i fattori da considerare facciamo uso di una formula che illustra la seguente intuizione: variazioni della spesa pubblica e della tassazione (che si riflettono sul deficit) fanno variare sia il numeratore che il denominatore (via moltiplicatore del reddito) del rapporto debito/Pil. Quindi l’andamento del rapporto dipende dalle rispettive variazioni percentuali del debito e del Pil. La formula indica perciò da cosa dipende se il numeratore crescerà più o meno del denominatore. Si assume data la composizione del deficit (G e T) e si escludono eventuali effetti su altre componenti della domanda, in particolare gli investimenti.

dove la variazione ∆ del rapporto tra debito pubblico D e Pil Y è espressa come prodotto tra il rapporto debito/Pil di partenza d, il deficit pubblico (al lordo degli interessi sul debito pregresso) in percentuale del Pil %def, e il valore del moltiplicatore fiscale m. Dato d, il rapporto debito/Pil si riduce in due casi:

Il caso 1 indica che un’espansione fiscale finanziata in deficit riduce il rapporto debito/Pil quando il moltiplicatore fiscale è superiore all’inverso di tale rapporto. Il caso 2 indica che una restrizione fiscale che porti il deficit a diminuire riduce il rapporto debito/Pil quando il moltiplicatore è minore dell’inverso del rapporto stesso. Un metodo alternativo ma equivalente è quello di confrontare il valore effettivo del moltiplicatore fiscale con quello minimo richiesto per mantenere invariato il rapporto debito/Pil. Quest’ultimo è uguale a:

Quindi, se l’effetto moltiplicativo che possiamo ottenere da un euro in più di spesa pubblica è superiore a quello minimo, l’austerità farà aumentare il rapporto debito/Pil.

Cruciale al fine di decidere il segno della politica fiscale è quindi la relazione che sussiste tra inverso del rapporto debito/Pil e moltiplicatore fiscale, oppure tra moltiplicatore effettivo e moltiplicatore ‘minimo’.

Notiamo alcune cose. Primo, questi risultati segnalano una questione apparentemente paradossale: a parità di moltiplicatore, i Paesi che dovrebbero evitare misure di austerità sono quelli che hanno il rapporto debito/Pil più alto. Un alto rapporto riduce infatti il valore soglia 1/d o, equivalentemente, il moltiplicatore minimo mmin sufficiente a rendere controproducente una restrizione di bilancio. Secondo, è importante notare come il valore del moltiplicatore fiscale non sia indipendente rispetto alla composizione della spesa e l’entità delle tasse: a fronte di un identico ammontare complessivo del deficit, manovre con differente composizione possono dar vita a impatti moltiplicativi molto diversi tra loro. Terzo, il valore del moltiplicatore fiscale (e l’effetto sulla variazione del rapporto debito/Pil) varia col ciclo, ed è generalmente più elevato in fasi di recessione (Auerbach e Gorodnichenko, in Fiscal policy after the financial crisis, 2012).

Per avere qualche indicazione utile al fine di capire quale sia stato in generale il rapporto tra misure di austerità fiscale e rapporto debito/Pil abbiamo però bisogno di indicazioni sotto un profilo empirico. Come detto, recenti studi indicano come le misure di austerità siano state deleterie per molti Paesi industrializzati (Gechert et al., in Applied Economic Letters, 2016; Stockhammer et al., in Review of Keynesian Economics, 2019). In particolare, per i Paesi tacciati di essere PIGS (ossia Portogallo, Italia, Grecia e Spagna, accusati di essere inclini a comportamenti fiscalmente irresponsabili), si può vedere come questo tipo di misure siano state sistematicamente dannose; l’Italia non fa eccezione. Prendendo come esempio quei Paesi, ci chiediamo: qual è stato negli anni precedenti alla crisi da Covid-19 il valore minimo del moltiplicatore fiscale mmin tale che una misura di austerità causasse un aumento del rapporto debito/Pil? Tale valore ci serve come termine di paragone: se il moltiplicatore reale è superiore, allora l’austerità è controproducente. Di seguito in tabella troviamo delle stime dei possibili valori mmin da prendere come riferimento.

A questo punto, per trarre delle conclusioni, ci manca un moltiplicatore che faccia da controfattuale, indicandoci quale valore ci possiamo attendere che m abbia nella realtà. Prendiamo da una estesa meta-analisi un valore medio piuttosto prudente di m = 0.88, valido in periodi di normale attività economica per voci di spesa generiche, non disaggregate (Gechert e Rannenberg, in Journal of Economic Surveys, 2018). Notiamo, tuttavia, che in generale è lecito attendersi valori molto più alti per i moltiplicatori rispetto a questa supposizione molto prudente (Deleidi et al., in Structural Change and Economic Dynamics, 2020). Da un raffronto tra il nostro valore medio prescelto di 0.88 e quello dei moltiplicatori riportati in tabella, si può verificare come 59 casi su 84 (il 70%) siano ascrivibili alla categoria ‘keynesiana’: essendo il valore del moltiplicatore atteso maggiore di quello ‘minimo’, le misure di austerità sono state tendenzialmente deleterie. L’analisi dei dati in tabella, così come la costruzione dettagliata dell’esercizio teorico ed empirico, sono disponibili in Di Bucchianico, Bulletin of Political Economy, 2019.

Tali risultati ci delineano un quadro di riferimento nel quale ci aspettiamo che le misure di austerità siano generalmente dannose per la crescita e l’abbassamento del rapporto debito/Pil. A questo punto cerchiamo però di capire come la crisi innescata dalla diffusione del Covid-19 possa intervenire in questo quadro. Solitamente, nelle discussioni sull’austerità ciò che si guarda è il ruolo dei deficit conseguiti, degli interessi da pagare sul debito pregresso e il valore del moltiplicatore. Il punto importante all’interno di questa analisi è invece un altro. Ci troviamo oggi di fronte a quello che può a tutti gli effetti essere considerato uno shock esogeno che impatta prima di tutto sul Pil, determinandone una caduta drammatica in tutte le economie colpite. Ovviamente tale shock genera anche un effetto al rialzo sia per i deficit discrezionali diretti a contrastare la caduta del Pil, sia per quelle spese che derivano dai cosiddetti ‘stabilizzatori automatici’ (minore raccolta di tasse e maggiori trasferimenti dovuti alla fase avversa). Queste due conseguenze faranno fortemente aumentare i rapporti debito/Pil, abbassando perciò il loro reciproco 1/d. Per avere una idea dell’entità di questo shock, prendiamo delle proiezioni sul rapporto debito/Pil dal Fondo Monetario Internazionale per il 2020.

Il secondo effetto è quello che si ha sui valori di m: come visto, vi è in letteratura evidenza per sostenere che i moltiplicatori siano sensibilmente più elevati in periodi di recessione. Questa considerazione si aggiunge alla recente riscoperta anche in sede europea dell’utilità della politica fiscale e di valori non trascurabili per i moltiplicatori, questioni discusse sul Menabò qui e qui. Teniamo conto dell’esplicita differenziazione dei moltiplicatori in base anche ai regimi di operatività dell’economia, come evidenziato nella meta-analisi di Gechert e Rannenberg. Infatti, quando vi è in corso una recessione i moltiplicatori sono sostanzialmente rivisti al rialzo. In questo caso, il moltiplicatore medio per una spesa pubblica generica in fase di recessione è m = 1.8.

Con i dati sinora raccolti dal Fondo Monetario Internazionale per quanto riguarda i rapporti debito/Pil, e da Gechert e Rannenberg per il moltiplicatore, effettuiamo il raffronto tra 1/d e m.

Come possiamo vedere, la contemporanea crescita dei rapporti debito/Pil e la revisione al rialzo del moltiplicatore atteso (date le gravi condizioni di recessione) fa sì che tutti i casi riguardanti le maggiori economie industrializzate siano ‘keynesiani’. È qui che torna quindi utile la considerazione legata alla apparentemente paradossale necessità di evitare le misure di austerità soprattutto in quei Paesi che hanno accumulato un elevato rapporto tra debito e Pil. Lo shock da Covid-19 contribuisce ad aumentare il rapporto nei Paesi ad alto debito, ma rende ad alto debito anche molti Paesi che prima non lo erano. È così che la necessità di evitare l’austerità si diffonde sempre più nel capitalismo avanzato. In più, tale risultato ha tutte le carte in regola per essere valido anche oltre la fase acuta della crisi. A meno di non immaginare un rapido ritorno alla crescita del Pil che non sia dovuto a sostenuti e prolungati piani di spesa in deficit, il forte shock che spinge in alto i rapporti debito/Pil rende di fatto il fattore 1/d strutturalmente più basso, estendendo questa prospettiva nel tempo.

In conclusione, nessuno sembra invocare politiche di austerità nell’immediato. Ciò che si è sostenuto in queste note è che esse dovranno però essere accantonate anche nel più lungo periodo e non soltanto laddove hanno trovato frequente applicazione, come nei Paesi dell’Eurozona. Infatti, la crisi che stiamo sperimentando contribuirà a far crescere molto il rapporto debito/Pil in numerosi altri Paesi, facendoli entrare nella cerchia di quelli che devono evitare il ricorso all’austerità.

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