Prodi e il “suo” partito

Occorre riconoscere che il governo, dopo la rinnovata fiducia, si è mosso con impegno in diverse importanti direzioni. Ha detto con D’Alema no all’invio di nuove truppe in Afghanistan, invio sollecitato da un Blair sempre più solo nel suo ruolo di portavoce europeo di Bush; ha avviato con Vannino Chiti i contatti necessari con l’opposizione e con i partitini per giungere ad una nuova legge elettorale che restituisca agli elettori il diritto di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento. Ha preso con Bersani importanti provvedimenti per rompere corporazioni favorendo la concorrenza e la competitività sul mercato.Con l’intervento personale di Prodi, ha assunto precisi impegni per la difesa dell’ambiente aderendo alle proposte di Angela Merkel per ridurre entro il 2020 del 20% in Europa l’effetto serra, realizzare entro la stessa data il 20 per cento di risparmio energetico e accrescere del 20 per cento le fonti alternative di energia. Ha aperto positivi rapporti con il governo russo al fine di garantire l’approvvigionamento energetico ha assunto impegni per la riduzione delle tasse, pur se la prudenza di Padoa Schioppa non ha tradotto l’annuncio in dati e scadenze precise.

Ora toccherebbe a pensioni, precari, ricerca e pubblico impiego. Ma, a quanto sembra, l’on. Romano Prodi, pur non trascurando tali temi, sembra aver scelto, dopo la fiducia e gli impegni europei, altre priorità. E tra esse, al primo posto, quella di far risorgere al più presto (qualcuno parla della prossima estate) il partito dei democratici e ritornarne il capo. Ho usato il verbo “risorgere” non a caso: Prodi ha infatti fondato il partito dei democratici – con esplicito richiamo da una parte alla DC e, dall’altra, al partito democratico americano (il simbolo dell’asinello é legato a questo secondo richiamo) – il 27 febbraio 1999, tre mesi dopo che il suo primo governo era stato rovesciato e D’Alema aveva preso il posto di primo ministro. Costretto a lasciare la direzione del nuovo partito all’on. Parisi (il Sircana di allora) perché chiamato a presiedere la Commissione Europea, Prodi non ha tuttavia mai abbandonato il movimento, che raggruppava ex democristiani, soprattutto demitiani, e il clan del Mulino, anche se è stato l’on. Parisi, attuale ministro della Difesa, a guidarne la costruzione e il consolidamento. Il consolidamento avviene con l’assorbimento di parte del Movimento dei cento sindaci ( Rutelli, Del Bianco), della Rete di Orlando, dell’Unione democratica.

Alle elezioni europee del 13 giugno 1999 il partito dei democratici conquista il 7,7 per cento dei voti affermandosi come il quarto partito dopo Berlusconi ( 25,2), DS, (17,3) AN (8,5).

Incoraggiato dal risultato, Parisi si pone e pone, per il rientro di Prodi da Bruxelles, obiettivi più avanzati; nel 2001 forma un cartello elettorale che ingloba un altro pezzetto della ex DC e cioè il Partito popolare italiano nonché, in vista delle elezioni politiche, Rinnovamento Italiano di Lamberto Dini, entrato in politica come Ministro del Tesoro del primo governo Berlusconi. Ma Parisi sottovaluta i legami, soprattutto romani, tra gli ex democristiani e l’attento lavoro svolto nella coalizione da Francesco Rutelli e così, al momento di trasformare l’aggregazione per cui ha lavorato nel partito della Margherita si trova defenestrato: nel congresso costituivo il 25 marzo 2002 Rutelli viene eletto Presidente e il tessitore Parisi se ne torna a Bologna. Rifiuta la carica di vicepresidente, accusa gli ex d.c. di avere distorto lo spirito istitutivo del nuovo partito e inutilmente spera in un atto di riconciliazione di Rutelli.

Un gran lavoro è stato comunque compiuto da chi si prefigge di ricostruire i partiti invece di distruggerli; alle elezioni amministrative, nell’ambito dell’incontro elettorale con i DS sotto il simbolo dell’Ulivo, la Margherita sale al 9,6 per cento con oltre l’11 per cento dei seggi mentre i DS scendono formalmente al 10,4 e (tenendo conto delle varie alleanze locali nonché dei seggi ) confermano sostanzialmente il 26 e rotti per cento delle elezioni politiche.

Ora il partito che Prodi voleva trovare al suo ritorno, c’è. Ma non è il partito di Prodi. E’ il partito di Rutelli, trasformatosi da radicale in un attivo cattolico che dialoga con il card. Ruini. E allora Prodi riprende in prima persona il lavoro rivolgendosi all’unica altra forza che è rimasta, sia pure malconcia, in piedi e cioè ai DS. Il discorso è all’inizio prudente: Si parla di alleanza, poi di federazione dei due partiti per il 2008 ma infine, vista la piena disponibilità di Fassino a un ingresso a pieno titolo nei “ democratici” del partito che fu di Berlinguer, le date si fanno via via più stringenti e il professore bolognese ottiene l’impegno per la fine dei DS e il loro ingresso nei PD , se possibile, già all’estate del 2007.

Siamo dunque alla vigilia o previgilia di un nuovo sommovimento politico destinato nelle intenzioni a spezzare ogni legame con il passato ed aprire una nuova fase anomale in Italia. Da Paese che aveva il maggior partito di sinistra in Europa, l’Italia si troverebbe, qualora con si producessero fatti nuovi, a dover scegliere tra un centro democratico (che potrebbe allargarsi all’on. Casini e diventare ancora meno laico) ed una destra populista. Un centro presieduto da un manager, passato indenne e con piena assoluzione attraverso una serie di bufere finanziarie e relativi processi e una destra presieduta da un altro manager, passato anche lui attraverso una serie di bufere finanziarie e relativi processi da cui non è ancora uscito indenne.
Il problema che si pone a questo punto è se può esistere – in un mondo attraversato da contraddizioni sempre più profonde, che saranno aggravate a livello di sistema dal declino sempre più manifesto degli Stati Uniti – un paese senza sinistra e senza gli ideali, i valori e l’etica di cui la sinistra e il socialismo sono portatori. Sappiamo che il problema che tormenta l’on Prodi non è questo; è semmai quello più immediato di far sopravvivere il governo alle turbolenze che seguiranno al Congresso di morte dei DS. Ma il problema esiste ed esiste tanto più quanto più vanno aggravandosi disuguaglianze, economiche e non economiche, e ingiustizie pagate a caro prezzo non più soltanto dalla classe operaia e da ciò che rimane dei contadini, ma da tutto il ceto medio. Per quanto tempo potrà andare avanti un modello in cui il 10 per cento della popolazione si appropria del 90 per cento di ciò che viene prodotto e il 90 per cento deve dividersi il misero 10 per cento che rimane? E per quanto tempo ancora, in un multilateralismo che avanza – gli effetti della caduta delle borse di tutto il mondo a seguito della caduta della borsa di Shanghai non hanno insegnato nulla ?´- sarà il Presidente degli Stati Uniti a dire al mondo ciò che è bene e ciò che è male? Gli spettacoli, i concerti nelle piazze al posto delle orchestre mandate a casa, le campagne mediatiche ossessive hanno finora distratto da questi problemi e sopito gli animi. Ma per quanto tempo milioni di famiglie italiane potranno campare – meccanico o ricercatore o insegnante – con poco più di mille euro al mese? Ci si scandalizza delle convivenze, della diminuzione dei matrimoni, della caduta del tasso di natalità, ma come si fa’ a non vedere e cercare di capire l’origine di tutto ciò? E’ questo il modernismo? E’ questa l’etica laica che deve unire la società ? E’ questo il nuovo balzo dei diritti che sembrava volere essere segnato dai Di.Co con un disegno di legge approvato e poi di fatto abbandonato a se stesso dall’on. Prodi alla prima reprimenda del card. Ruini e soprattutto dopo una sorta di scomunica del Pontefice?

Una sinistra dunque rinascerà, piaccia o non piaccia a Prodi, Rutelli e Veltroni, per partecipare e guidare sul piano politico le battaglie del mondo del lavoro e, più in generale per difendere e affermare tutti i diritti proclamati dalla nostra Costituzione e i valori del socialismo nel contesto nuovo, europeo e mondiale, in cui oggi viviamo. Il come e il quando sono difficili da prevedere per chi come noi vuole e deve tenersi al di fuori dalle sempre più complicate tattiche politiche elaborate da gruppi dirigenti sempre più ristretti. Non sottovalutiamo, tuttavia, i contatti già in corso e le aperture sia di Rifondazione comunista sia dei Comunisti Italiani e dei partiti eredi del PSI per un partito ancorato al PSE e deciso a portare un contributo di ricerca, sulla base della nostra esperienza storica per un socialismo all’altezza dei compiti che il terzo millennio pone.

Da questa esperienza – ci sembra – fatta di errori e di meriti – vengono alcune preziose lezioni: l’impegno costante in difesa delle libertà e dei diritti previsti dalla Costituzione, la difesa della pace e dell’uguaglianza di tutte le persone umane al di là delle differenze di sesso e di scelte filosofiche e/o religiose; l’affermazione del dovere dello Stato di farsi garante della quantità e qualità dei servizi essenziali per i cittadini senza i quali i diritti di cittadinanza si riducono a mera proclamazione; il valore da attribuire all’istruzione pubblica laica al fine di aprire a tutte e a tutti le vie di conquiste scientifiche, culturali, professionali e la possibilità di contribuire al progresso di un Paese che si ponga come obiettivo la felicità dei cittadini ( wellbee) e non la mera crescita del PIL ; l’importanza di socializzare la politica e di lavorare perché il partito sia un partito di massa – e non di dirigenti e loro stipendiati – nel quale i cittadini iscritti possano partecipare alla costruzione delle decisioni e non solo ratificarle con primarie o referendum; l’urgenza di avere un sindacato forte capace di far sentire la propria voce in un libero mercato globalizzato senza il peso di dover supplire alle carenze dei partiti; la piena accettazione del mercato, distinguendolo dal modo di produzione proprio di ciascun paese; il valore da attribuire a tutte le comunità territoriali capaci di esprimere sul mercato bisogni e consumi collettivi, contrastando in una libera competizione la pressione di oligopoli e monopoli per l’esaltazione di un superfluo sperperatore di risorse limitate; la necessità di difendere le risorse della terra per la nostra e per le nuove generazioni favorendo ogni innovazione risparmiatrice di tali risorse e ogni misura in difesa dell’ambiente e del paesaggio.

Non abbiamo nessuna pretesa di aver redatto un elenco completo, ma crediamo di avere ricordato i più importanti diritti universali di cittadinanza che l’ultimo secolo ci ha consegnato, grazie in primo luogo al socialismo, collegandole, tuttavia, ad una rivisitazione critica della scarsa attenzione che, in passato, il PCI e le forze socialiste hanno prestato ai problemi del funzionamento del mercato.

Il passato non ci ha consegnato solo errori o crimini, ma importanti conquiste immateriali e materiali da perfezionare e sviluppare e lotte da condurre in nome della traduzione in realtà di diritti e doveri di solidarietà, antichi e nuovi. Sembra difficile che scompaia la forza politica che può e deve farlo.

Luciano Barca

Schede e storico autori