Prezzi dei beni energetici, inflazione inattesa e salari *

Francesco D’Amuri ricorda che, sospinta dai beni energetici (+46 %), l’inflazione ha raggiunto il 6% annuo, come non accadeva dal 1991, e che da 10 anni le retribuzioni nominali crescono nel settore privato più dell’inflazione, anche tenendo conto della componente energetica importata, che è un parametro di riferimento per i rinnovi contrattuali. D’Amuri sostiene che la politica fiscale può attenuare l’impatto della vampata dei prezzi dell’energia su quelli interni e sui salari reali e può compensare le famiglie più colpite, che sono le più povere.

Dopo l’aumento costante fatto registrare a partire dall’autunno scorso, a febbraio l’inflazione su base annua ha superato il 6 per cento per la prima volta dal 1991; era poco al di sotto dell’1 per cento solo un anno prima e pari allo 0,6 per cento in media nei cinque anni precedenti. L’aumento dei prezzi è stato determinato quasi esclusivamente alla componente legata ai beni energetici (+46 per cento), che rappresenta circa un decimo della spesa della famiglia media.

La brusca – quanto inattesa – accelerazione dei prezzi ha riportato al centro del dibattito di politica economica la contrattazione collettiva e la relazione tra prezzi e salari. Il principale accordo interconfederale sul tema (il cd. “Patto per la Fabbrica” siglato nel 2018 da Confindustria e dai sindacati CGIL, CISL e UIL) lascia ampia libertà ai contratti collettivi nazionali di categoria (CCNL) nel determinare eventuali aggiustamenti dei minimi tabellari a fronte di livelli di inflazione diversi da quelli attesi al momento del rinnovo. Nella definizione degli accordi, è tuttora prassi consolidata fare riferimento all’accordo interconfederale del 2009 (non siglato dalla CGIL), che prevedeva l’utilizzo della previsione dell’indice dei prezzi al consumo al netto di quelli relativi ai beni energetici importati come parametro da utilizzare come riferimento per i rinnovi. L’accordo introduceva inoltre la possibilità di recuperare gli scostamenti tra le attese di inflazione disponibili alla data del rinnovo e il valore effettivo entro il periodo di vigenza del contratto.

Prima di passare alle considerazioni più strettamente legate alla congiuntura attuale, è opportuno descrivere brevemente gli aspetti principali che hanno caratterizzato finora il legame tra inflazione e salari nel settore privato:

  • La previsione dell’indice dei prezzi al consumo armonizzato (IPCA) al netto dei beni energetici importati disponibile al momento del rinnovo ha giocato un ruolo importante nel determinare l’entità degli incrementi retributivi. Tuttavia, per via dell’inatteso calo dell’inflazione nel decennio scorso, il valore previsto dell’indicatore è risultato essere costantemente maggiore rispetto a quello poi effettivamente realizzato (Figure 1a e 1b).

Figura 1
Fonte: elaborazione su dati ISAE e ISTAT.

  • Il recupero dello scarto fra inflazione prevista e realizzata ha raramente avuto luogo, per via delle difficoltà connesse con la riduzione dell’importo nominale della retribuzione. Il rinnovo nel 2016 dei CCNL dei metalmeccanici ha temporaneamente abbandonato l’utilizzo della previsione dell’IPCA come parametro per stabilire gli incrementi futuri, disponendo che gli aumenti della retribuzione fossero commisurati all’incremento dell’inflazione registrato nell’anno precedente. Nei successivi rinnovi si è tornati all’utilizzo della previsione dell’IPCA.
  • Il contenimento della dinamica dei salari è stato invece favorito attraverso il prolungamento dei periodi di vacanza contrattuale, durante i quali rimangono generalmente valide le pattuizioni economiche disposte dal contratto scaduto. Sebbene uno degli obiettivi degli accordi del 2009 fosse proprio quello di velocizzare i rinnovi, questa prassi negoziale ha portato all’aumento della durata delle vertenze e quindi della quota di dipendenti coperti da un CCNL scaduto (Figura 2); la conflittualità, misurata come quota dei dipendenti che dichiarano di aver ridotto l’orario di lavoro a causa di scioperi, è rimasta tuttavia su valori molto contenuti (Figura 3).

Figura 2

Elaborazioni su dati Istat (cambi di base nel 2005, 2010 e 2015).

 

Figura 3

Elaborazioni su dati Istat, Forze di lavoro.

  • Nel complesso, dal 2009 al 2021, nel settore privato le retribuzioni nominali sono cresciute più dell’inflazione (sia al netto sia al lordo della componente relativa ai beni energetici importati); le retribuzioni reali sono cresciute gradualmente (2,9 per cento; Figura 4), la quota dei redditi da lavoro sul valore aggiunto, aumentata durante la grande recessione, è tornata progressivamente sui valori di lungo periodo (Figura 5).

Figura 4Elaborazione su dati Istat.

 

Figura 5Elaborazioni su dati Istat; quota del lavoro corretta per includere i lavoratori indipendenti nel costo del lavoro.

Il brusco e marcato incremento dell’inflazione avviatosi nello scorso autunno potrà ora determinare una significativa erosione del salario reale, portandolo sui livelli prevalenti prima della grande recessione. Al tempo stesso, il tentativo di preservare il potere d’acquisto dei lavoratori attraverso un marcato aumento della dinamica salariale comporterebbe rischi da non sottovalutare. Le imprese – anch’esse gravate dall’aumento dei prezzi dei beni energetici – si troverebbero a fronteggiare un ulteriore aggravio di costi che potrebbe portare a ridurre la domanda di lavoro; quelle con potere di mercato potrebbero trasferire in parte tali maggiori costi sui prezzi, innescando rincorse tra prezzi e salari che possono alimentare rischi di disancoraggio delle aspettative di inflazione senza portare al ripristino del potere d’acquisto iniziale.

L’utilizzo dell’IPCA al netto degli energetici importati riduce il rischio che shock negativi alle ragioni di scambio inneschino una spirale tra prezzi e salari. In secondo luogo, va considerato che l’andamento dei prezzi dei beni energetici è storicamente molto volatile (Figura 6), e una politica retributiva che ne sterilizzi gli effetti sul potere d’acquisto genererebbe non solo repentini incrementi, ma anche cali, dei minimi contrattuali.

 

 Figura 6

Elaborazione su dati Istat.

 

Nel complesso, gli effetti dell’inatteso innalzamento dei prezzi dei beni energetici importati potranno essere compensati, ove possibile, dai bilanci pubblici (si veda l’intervento del Governatore Visco al 28° Congresso ASSIOM FOREX). La politica fiscale può da un lato cercare di attenuarne nei limiti del possibile l’impatto sui prezzi interni e dall’altro compensare i segmenti della popolazione più meritevoli di sostegno, considerato il fatto che i beni energetici tendono a rappresentare una quota maggiore dei consumi totali nelle famiglie più povere. Va infine sottolineato che, qualora il costo dei prodotti energetici dovesse rimanere su valori elevati anche oltre il breve periodo, il mantenimento dell’attuale tenore di vita potrebbe essere ottenuto solo attraverso un aumento della produttività, oltre che dall’implementazione di innovazioni tecnologiche in grado di ridurre il consumo di questo tipo di beni.

 

*L’articolo riflette esclusivamente le opinioni dell’autore, senza impegnare la responsabilità dell’Istituzione di appartenenza.

 

 

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