Povertà transitoria e persistente: un’analisi delle disparità territoriali in Italia

Chiara Mussida e Dario Sciulli discutono dei differenziali territoriali di povertà in Italia utilizzando diversi indicatori enfatizzando l’importanza di distinguere tra povertà transitoria e povertà persistente. E’ noto che la povertà è maggiormente diffusa nelle regioni del Sud del nostro paese; forse meno noto è che in quelle stesse regioni la povertà si caratterizza anche per un maggior grado di persistenza, che finisce con l’aggravare i divari territoriali. Mussida e Sciulli mettono in luce questo aspetto e ritengono che esso renda necessari interventi mirati per le regioni meridionali.

L’Italia si caratterizza per forti e strutturali divari territoriali su molteplici dimensioni socio-economiche. Tra questi, l’eterogenea distribuzione della povertà costituisce un problema di lungo periodo rispetto al quale l’intervento pubblico appare spesso inadeguato nel fornire risposte in grado di mitigare i differenziali territoriali. In questo ambito, è stato rimarcato il ruolo fondamentale giocato dalle condizioni del mercato del lavoro, tra cui la scarsa partecipazione delle donne soprattutto nel Sud Italia, come pure l’inadeguatezza del sistema di welfare. La situazione che si delinea vede coesistere regioni del Nord con livelli di benessere o inclusione sociale relativamente elevati e analoghi a quelli di Paesi dell’Europa Settentrionale, e regioni del Sud con rischi di povertà o esclusione particolarmente forti. Le politiche sociali, e più in generale, il sistema di welfare, non riescono peraltro a contrastare i divari geografici, ed il Nord continua a destinare alla lotta alla povertà molte più risorse rispetto al Sud. I dati che annualmente l’ISTAT fornisce sulla diffusione della povertà relativa e assoluta, mostrano che il decennio 2010-2020, che negli obiettivi della Strategia Europa 2020 avrebbe dovuto condurre ad un ridimensionamento del fenomeno, sia stato in realtà avaro di soddisfazioni, in particolar modo nel nostro paese che già usciva (o quasi) provato dalla Grande Recessione, e proprio alla fine del decennio è stato colpito dalla crisi causata dalla pandemia COVID-19. Nel periodo menzionato, l’incidenza della povertà assoluta in Italia è aumentata passando da 4% nel 2010 a 7% nel 2018 e, dopo essersi ridotta nel 2019 a 6.4%, ha ripreso ad aumentare (causa pandemia) attestandosi al 7.7% nel 2020. In termini di povertà relativa, le famiglie sotto la soglia di povertà sono cresciute dal 9.6% del 2010 al 12.3% del 2017, per poi ridursi rimanendo però a livelli piuttosto elevati (ultimo dato 2020: 10.1%)

In questo contesto l’andamento dei divari territoriali non è da meno. Mentre la tendenza generale conferma un aumento del fenomeno della povertà in tutte le aree geografiche notiamo che al Sud i tassi si mantengono superiori rispetto al Centro, e soprattutto al Nord. In particolare, la povertà assoluta è pari a 5.1% nel 2010 (contro un 3.4% ed un 3.6% del Nord e del Centro) e supera il 10% nel 2013, una percentuale più che doppia rispetto a quelle registrate al Nord ed al Centro (4.4% e 4.9%, rispettivamente). Nell’ultimo anno considerato, il 2020, le differenze si affievoliscono a causa della pandemia che ha colpito tutto il Paese, ma si mantengono rilevanti (9.4% al Sud, 7.6% al Nord, e 5.4% al Centro). Le discrepanze si fanno ancor più marcate se si considera la povertà relativa: mediamente nel decennio il tasso del Sud è circa il triplo rispetto a quelli registrati nelle altre ripartizioni geografiche (ad esempio, dato 2020: 18.3% al Sud, contro tassi di poco superiori al 6% al Centro ed al Nord).

Analizzare le ragioni che stanno alla base di questi divari è importante, sia per comprenderne i meccanismi, sia per formulare risposte efficaci.

Una importante distinzione risiede nella identificazione del grado di persistenza della povertà. Le cause e le conseguenze della povertà persistente e della povertà transitoria, infatti, possono essere molto diverse. Rimanere intrappolati nello stato di povertà per un lungo periodo, oltre a minare le condizioni economiche della famiglia, può influenzare negativamente altri aspetti della vita, come la condizione lavorativa e lo stato di salute, e compromettere il futuro dei più piccoli del nucleo familiare, attraverso, ad esempio, le maggiori difficoltà ad acquisire un capitale umano sufficientemente elevato.

Da un punto di vista tecnico, la persistenza nella povertà può dipendere da diversi fattori. Da un lato, possiamo annoverare la presenza di fattori non osservabili e osservabili (come il basso livello d’istruzione) che si associano più probabilmente a condizioni di basso reddito. Dall’altro lato, vi è il ruolo giocato dalla cosiddetta (vera) dipendenza di stato, vale a dire il ruolo che l’aver sperimentato la condizione di povertà in passato possa di per sé aumentare la probabilità di essere poveri in futuro. Di fatti, aver vissuto la condizione di povertà può determinare una modifica delle preferenze, dei vincoli e dei comportamenti degli individui (e delle famiglie), tale da rendere più probabile che la povertà diventi strutturale. L’identificazione della dipendenza di stato è importante nell’ottica di definire interventi di contrasto alla povertà. In questo caso, infatti, misure volte a impedire la caduta nella povertà potrebbero prevenire il verificarsi di tale condizione in futuro.

Studiare il ruolo della persistenza richiede una prospettiva longitudinale, in modo da poter valutare il ruolo della dipendenza di stato e degli effetti di lungo periodo legati all’aver sperimentato episodi di povertà in passato. Per questo motivo, la disponibilità di dati panel, possibilmente lunghi, è di notevole importanza per inquadrare il fenomeno nella sua complessità.

È utile rimarcare, inoltre, che l’approccio allo studio della povertà beneficia della prospettiva multidimensionale. L’utilizzo di più indicatori, permette, di fatti, di catturare le diverse sfaccettature di cui il fenomeno della povertà si compone.

Partendo da un nostro studio pubblicato su Economia Italiana, proviamo a fornire alcune riflessioni sull’importanza dei fenomeni della dipendenza di stato e, più in generale, del ruolo che la persistenza ha sulla determinazione della povertà in Italia e sui relativi divari territoriali. L’analisi empirica si basa sulla versione longitudinale dei dati EU-SILC per il periodo 2015-2018 e considera tre indicatori: oltre al rischio di povertà (at risk of poverty, AROP), si analizzano povertà soggettiva (SP) e deprivazione materiale severa (SMD). Il rischio di povertà e l’indicatore relativo alla deprivazione materiale severa sono i due indicatori più rilevanti per misurare l’esclusione sociale nell’ Unione Europea che però presentano importanti differenze: il primo è una misura relativa basata sul reddito familiare equivalente ed una soglia definita a livello nazionale, mentre si è in condizione di deprivazione materiale severa se non si svolgono almeno 4 attività considerate essenziali per raggiungere un adeguato standard/stile di vita ricomprese in una lista di 9. Tra di esse vi sono: pagare regolarmente le bollette o l’affitto; sostenere spese impreviste di limitato importo; fare una settimana di vacanza all’anno; assumere un pasto adeguato almeno ogni due giorni; riscaldare in modo adeguato l’abitazione, acquistare un’auto.

In questo caso il reddito non è direttamente considerato nella misurazione e la soglia non dipende da una mediana nazionale. Mentre AROP fa riferimento al reddito disponibile corrente, la deprivazione materiale assume un carattere più transitorio e materiale ed è meno associato al reddito. Per fornire un quadro esaustivo del fenomeno della povertà, consideriamo anche la povertà soggettiva, come definita nell’indagine EU-SILC (the ability of the household to make ends meet), che rappresenta una valutazione soggettiva della propria condizione economica, e che quindi potrebbe essere potenzialmente influenzata sia dal reddito, sia da aspetti ‘più materiali’, nonché da capitale sociale e da valutazioni in merito al contesto/ambiente circostante. Si tratta di indicatori alternativi, che cercano di cogliere sfumature differenti del fenomeno dell’esclusione sociale, ma ovviamente risultano fortemente correlati. Il cumularsi di episodi di deprivazione materiale è inevitabilmente associato a episodi di povertà. L’indicatore di povertà soggettiva, invece, fornisce una valutazione d’insieme da parte dell’individuo, che include sia l’aspetto reddituale (povertà) che quello materiale (deprivazione materiale).

Per enfatizzare l’importanza della dimensione geografica, le analisi descrittiva ed econometrica sono condotte anche separatamente per area geografica. Dall’analisi descrittiva, volta anche ad esaminare la composizione del campione di riferimento, possiamo trarre spunti interessanti. Ad esempio, osservando la Figura 1, nella quale si evidenzia la composizione del campione in ‘never poor’, ‘temporary poor’, e ‘always poor’ per area geografica (e Italia), relativamente ai tre indicatori emerge che quasi il 30% degli italiani ha sperimentato la condizione di povertà relativa (indicatore AROP) almeno uno dei quattro anni considerati. Di questi oltre la metà è stato povero in modo persistente, cioè ha sperimentato la condizione di povertà relativa in tutti e quattro gli anni considerati nell’indagine.

È interessante rimarcare il divario territoriale. Le persone mai povere nel nord Italia superano l’80% mentre nel sud questo dato è inferiore al 60%. Inoltre una proporzione maggiore nelle regioni meridionali (oltre il 62%) ha sperimentato una condizione di povertà persistente, rispetto al nord (meno del 50%). Gli indicatori alternativi, forniscono un quadro differente nell’ampiezza e nel grado di transitorietà nel fenomeno, ma in qualche modo paragonabile rispetto ai divari territoriali. La povertà soggettiva (indicatore SP), riguarda quasi il 50% degli individui a livello nazionale, per almeno un anno. Di questi meno di 1/3 dichiara che questa condizione è persistente. Circa il 20% degli individui ha sperimentato almeno un anno di deprivazione materiale (indicatore SMD), di questi meno di 1/6 lo è stato in modo permanente. In altri termini, la povertà soggettiva e la condizione di deprivazione materiale, si presentano come fenomeni più transitori rispetto alla condizione di povertà monetaria. In questo contesto le regioni meridionali, confermano una condizione più grave rispetto al contesto nazionale. Circa 2/3 dei soggetti, di fatti ha dichiarato almeno un anno di povertà soggettiva e circa 1/3 una condizione di deprivazione materiale severa. Inoltre, il grado di persistenza sembra essere maggiore che nelle altre macroregioni.

 

Figura 1: Povertà transitoria e persistente in Italia e tra macro-regioni

Fonte: Mussida e Sciulli (2021), Economia Italiana Vol. 2021/3

 

Nell’analisi econometrica si stimano modelli probit dinamici ad effetti casuali correlati e con condizioni iniziali endogene. I risultati relativi alla dipendenza di stato e gli effetti di più lungo termine catturati dall’impatto della condizione iniziale di povertà, suggeriscono che il ruolo della persistenza sia rilevante nel definire il rischio di povertà corrente. Questo è vero soprattutto per il Sud dove la dipendenza di stato risulta pari a 8.3 punti percentuali, superando di ben 5.4 punti percentuali la dipendenza nel Nord Est del Paese. Il risultato sulla dipendenza di stato suggerisce che azioni di policy atte a prevenire la povertà potrebbero fungere da strumenti protettivi contro il rischio di povertà anche nel lungo periodo, vale a dire riducendo sia il rischio di povertà corrente che il rischio di povertà futura. Malgrado la dipendenza di stato sia un aspetto comune a tutte le macro regioni italiane, la sua eterogeneità a livello geografico suggerisce la maggiore urgenza di adottare misure preventive nelle regioni del Sud.

Da questi risultati, emerge una riflessione. Per avere un quadro completo del fenomeno complesso della povertà, sarebbe opportuno affiancare ai classici indicatori statici, quali il tasso di povertà annuale o la deprivazione materiale, indicatori di carattere dinamico, quali the persistent at risk of poverty rate dell’Eurostat. Questo da un lato permette di approfondire le determinazioni annuali degli indicatori statici, dall’altro aiuta a identificare la composizione del fenomeno ed eventualmente a disegnare delle politiche più adeguate.

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