Povertà assoluta e consumi in periodi straordinari: riflessioni su una relazione complicata

Massimo Aprea e Michele Raitano riprendono i dati Istat sulla crescita della povertà assoluta nel corso del 2020 e ragionano sulla possibilità che essa possa in parte dipendere dai vincoli alla spesa derivanti dalla pandemia piuttosto che dal peggioramento delle condizioni economiche delle famiglie. A tal fine presentano un esercizio di simulazione, ipotizzando cause diverse per la riduzione di alcune componenti di spesa, utile a chiarire come la metodologia applicata dall’Istat possa condurre a sovrastimare il peggioramento del tenore di vita delle famiglie italiane nel corso del 2020.

Nelle scorse settimane grande preoccupazione ha destato la pubblicazione da parte dell’Istat dei dati preliminari sull’andamento della povertà assoluta in Italia: da tali dati, presentati in dettaglio anche sul Menabò, risulta che, in seguito alla pandemia, il numero di persone in povertà assoluta – ovvero con un livello di spesa inferiore ad una soglia minima prestabilita, definita in base alla composizione familiare e all’area di residenza – è cresciuto di oltre 1 milione di unità e l’incidenza della povertà assoluta (la quota di nuclei familiari poveri sul totale di quelli residenti) è aumentata dal 6,4% del 2019 al 7,7% del 2020.

Si tratta senz’altro di un dato molto preoccupante che riflette il chiaro peggioramento delle condizioni economiche di ampie fasce della popolazione, legato alle difficoltà reddituali e occupazionali indotte dalle norme sul distanziamento sociale e dalla recessione causata dalla pandemia. Tuttavia, il dato sopra riportato potrebbe risultare sovrastimato a causa di alcuni limiti che la metodologia di calcolo della povertà assoluta applicata dall’Istat potrebbe incontrare in periodi straordinari come quelli che stiamo vivendo da marzo 2020. In questa nota, che riprende alcune considerazioni presentate nell’Allegato alla relazione sul Benessere Equo e Sostenibile – BES curato dal Ministero dell’Economia e Finanze, riflettiamo su questi limiti sia da un punto di vista concettuale sia presentando un semplice esercizio di stima utile a chiarire le complicazioni che sorgono se il benessere socio-economico si misura sulla base della sola spesa per consumi in periodo pandemico.

In assenza di un adeguato livello di risparmio cui attingere e in presenza di eventi avversi, il calo dei redditi da lavoro può accompagnarsi a una riduzione della spesa per consumi delle famiglie che, come detto, è la grandezza che l’Istat prende in considerazione nella stima della povertà assoluta. In periodi ordinari – non caratterizzati dalle misure di distanziamento sociale che vietano o limitano alcune attività di produzione o consumo – i cali di spesa sono interpretabili come chiaro segnale di una riduzione del tenore di vita delle famiglie. Una riduzione della spesa viene infatti associata a una forma di “costrizione economica” dovuta all’assenza di reddito adeguato a sostenere una determinata spesa. Tuttavia, in periodi straordinari, come quello pandemico, una riduzione della spesa, può dipendere anche da altre forme di costrizione, quali la chiusura di specifiche attività di consumo (si pensi alle spese per mobilità, alberghi o ristoranti), il timore di assumere comportamenti di consumo che potrebbero esporre a rischi di contagio o, ancora, la scelta di aumentare il risparmio precauzionale data l’incertezza che permane sulle prospettive economiche personali e generali. Di tutto ciò si dovrebbe tenere conto analizzando i dati relativi al 2020 per cogliere con precisione la dinamica del benessere economico delle famiglie.

La povertà assoluta viene misurata dall’Istat comparando la spesa delle famiglie con il costo (che varia nel territorio italiano) di un paniere di beni e servizi essenziali suddiviso in tre macro-componenti (alimentare, abitativa e “residuale”; quest’ultima incorpora, ad esempio, una quota di spese per vestiario, trasporti e attività ricreative). La scelta della spesa per consumi come misura del benessere economico appare solida da un punto di vista teorico: pur essendo la spesa legata alle preferenze individuali – che, in tempi ordinari, incidono però di meno nel caso di bisogni primari come quelli considerati nella definizione del paniere su cui si basa la soglia di povertà assoluta –, si ritiene che i consumi forniscano indicazioni più precise sul tenore di vita perché dipendono anche dal risparmio accumulato e dalle attese sui guadagni futuri e quindi sono meno volatili dei redditi.

La spesa per consumi è, però, un indicatore più impreciso del livello del benessere in presenza di shock sistemici, che avranno effetti diversi sulle varie componenti di spesa a seconda delle preferenze individuali. Nel corso della pandemia la riduzione del reddito può aver determinato una riduzione delle spese ritenute meno necessarie; inoltre, le misure di distanziamento sociale e il timore di contagio possono aver ridotto alcune tipologie di consumi con effetti complessivi più marcati per le famiglie che, in base alle loro preferenze, destinavano a tali tipologie una quota rilevante del proprio bilancio. Se non compensato dall’aumento di altri consumi (ad esempio, quelli alimentari) il calo della spesa per la componente “residuale” si traduce in una riduzione della spesa familiare, eventualmente amplificata dal maggior risparmio precauzionale per far fronte a possibili futuri eventi avversi.

I dati al momento a disposizione consentono di osservare unicamente la variazione della spesa, senza poter inferire nulla sulle diverse possibili cause di tale variazione. L’indicatore di povertà assoluta non discrimina tra queste ultime e può, dunque, sovrastimare la platea dei poveri assoluti nel 2020 perché considera tali anche quanti abbiano ridotto i consumi non per il peggioramento delle condizioni economiche ma per una delle ragioni ricordate in precedenza. E questo appare ancora più rilevante se si considera che la drammatica caduta della spesa per consumi registrata dall’Istat nel 2020 – oltre il 9% per la spesa totale e quasi il 20% per la componente residuale – si è accompagnata ad un importante aumento del risparmio delle famiglie.

Per comprendere meglio le implicazioni della metodologia di stima qui richiamata, si propone un semplice esercizio di simulazione che mostra come cambia la povertà assoluta al variare delle ipotesi sul grado di volontarietà della riduzione della spesa. Non disponendo dei microdati dell’Indagine sulle spese delle famiglie del 2020, si è fatto uso dei dati del 2019 e si è creato uno scenario controfattuale applicando alla spesa di ogni famiglia nel 2019 i tassi di variazione delle sue specifiche componenti osservati tra il 2019 e il 2020. In aggiunta, oltre a modificare la spesa delle famiglie, si è abbassata la soglia di povertà di riferimento, in modo da limitare il rischio di considerare povero chi avesse ridotto i consumi per una delle ragioni prima ricordate. Tale soglia è stata invece mantenuta costante dall’Istat (al netto della variazione dei prezzi) nel 2020, così assumendo implicitamente invariata la struttura della spesa necessaria per non essere considerati poveri.

In dettaglio, i passi seguiti nell’esercizio sono i seguenti:

  1. Si è suddivisa la spesa totale nel 2019 di ciascuna famiglia nelle tre componenti di spesa alimentare, abitativa e residuale e si è ottenuta la spesa simulata nel 2020 per ogni categoria di spesa, applicando i tassi di variazione, di fonte Istat, mostrati in rosso nella Tabella 1.
  2. Si sono poi costruiti quattro diversi scenari relativi alle variazioni delle soglie di povertà:
  • A. nessuna variazione della soglia, corrispondente all’idea che la variazione della spesa nella componente residuale sia interamente dettata da vincoli economici della famiglia; tale scenario costituisce, quindi, una sorta di limite superiore della stima della povertà;
  • B. variazione della soglia di riferimento di ciascuna famiglia di un ammontare pari alla riduzione della sua spesa nella componente residuale, corrispondente all’idea che la riduzione della spesa non sia dipesa da vincoli di disponibilità economica; tale scenario costituisce, quindi, una sorta di limite inferiore della stima della povertà;
  • C. variazione della soglia di riferimento di ciascuna famiglia di un ammontare pari alla metà della riduzione della sua spesa nella componente residuale, corrispondente all’idea per cui il 50% della riduzione della spesa nella componente residuale sia legato a ragioni indipendenti dal calo delle disponibilità economiche della famiglia;
  • D. variazione della soglia di un ammontare che varia per ogni area geografica in ragione dell’intensità delle restrizioni introdotte dal Governo in ogni settimana del 2020, con l’idea di misurare quanta riduzione della spesa sia attribuibile all’esposizione differenziata a tali misure di restrizione (i dettagli su tale scenario sono presentati nell’Allegato BES).

Nel far variare le soglie di povertà di riferimento si è assunto che l’aggiustamento non possa essere maggiore della componente residuale delle soglie stesse. Così facendo, si evita che una forte riduzione della spesa nella componente residuale possa tradursi in una variazione dei bisogni alimentari o abitativi. I risultati dell’esercizio sono riassunti nella Figura 1.

Tab. 1: Tassi di variazione per categorie di spesa e macroarea geografica (valori %)

Fig. 1: Incidenza della povertà assoluta familiare nei vari scenari relativi alla “volontarietà” della riduzione della spesa per la componente residuale

Va in primo luogo osservato che applicando alla spesa delle famiglie nel 2019 i tassi medi di variazione stimati dall’Istat e lasciando le soglie di povertà di riferimento invariate (scenario A) l’incidenza della povertà passa dal 6,44% al 7,66%, valore pressoché identico alla stima Istat per il 2020. Gli scenari in cui le soglie di povertà di riferimento vengono fatte variare contestualmente alla spesa per consumi forniscono per costruzione, stime inferiori della povertà assoluta. Come ci si attende, facendo variare soglie e spesa nella categoria residuale dello stesso ammontare (scenario B) l’incidenza della povertà non varia fra il 2019 e il 2020. Riducendo la soglia del 50% della diminuzione della spesa nella componente residuale (scenario C), la povertà si attesta al 6,94%, mentre facendo variare la soglia di una percentuale della spesa che dipende dal tipo di spesa e dall’intensità delle restrizioni (scenario D), la stima della povertà assoluta si attesta al 7,35%. Questi semplici scenari mostrano, quindi, quanto la misura della povertà assoluta sia sensibile alle ipotesi sulle determinanti della riduzione delle spese “residuali”.

In conclusione, è bene ribadire che l’esercizio proposto è una mera simulazione perché, non disponendo dei microdati 2020 sulla spesa per consumi, abbiamo ricostruito tale spesa, a partire da quella del 2019, sulla base di varie ipotesi, tutte discutibili. Tuttavia, questo esercizio metter in luce come, in tempi straordinari, l’indicatore di povertà assoluta, basandosi sulla spesa aggregata totale familiare e non discriminando le ragioni delle sue variazioni, andrebbe letto in combinazione con analisi complementari al fine di cogliere la complessità dei fenomeni in atto e valutare, più rigorosamente, quanto della riduzione della spesa sia dovuto al peggioramento delle condizioni socio-economiche delle famiglie.

 

 

 

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