Politiche monetarie con tassi di interesse negativi come soluzione alla crisi?

Stefano Di Bucchianico e Riccardo Zolea discutono la proposta di affrontare la crisi mediante tassi di interesse negativi, come sostenuto di recente da Rogoff. Invece di soffermarsi sugli aspetti operativi riguardanti l’implementazione di tali politiche, i due autori spostano l’attenzione sui possibili rischi connessi a queste ultime e illustrano le ragioni per le quali considerano preferibile un’alternativa basata su politiche di spesa pubblica e istituti di credito pubblici.

Si discute molto ultimamente dell’opportunità di implementare politiche monetarie mediante tassi di interesse negativi (in inglese, negative interest rate policy o NIRP), sulla scorta della prassi introdotta da alcune banche centrali negli ultimi anni. Recentemente, si sono avuti diversi interventi sul tema, quali per esempio quelli di Rogoff, Lilley e Rogoff, o in Italia quello di Carlo D’Adda. Le analisi di questi economisti si concentrano principalmente sulla fattibilità di tali politiche, discutendone gli aspetti ‘operativi’. In questo articolo cercheremo di spostare l’attenzione sul fatto che l’implementazione di una politica monetaria con tassi di interesse negativi possa presentare anche notevoli rischi, rendendo desiderabili altre forme di intervento per combattere la crisi.

L’idea di ricorrere a tassi di interesse negativi rientra all’interno di quell’insieme di politiche monetarie spesso definite ‘non convenzionali’, quali per esempio il ‘quantitative easing’. Esse sono sempre più spesso utilizzate, studiate e discusse a causa degli straordinari sforzi che le Banche Centrali dei Paesi a capitalismo avanzato hanno messo in campo negli ultimi anni al fine di contrastare gli effetti della Grande Recessione e della stagnazione ‘secolare’ (quest’ultima ulteriormente aggravata dalla pandemia in corso).

Un siffatto corso straordinario della politica monetaria può ricorrere a tassi di interesse nominali negativi, come negli ultimi anni i casi (tra gli altri) di Svezia, Svizzera e dal 2014 dell’Eurozona dimostrano. Nel caso dell’Eurozona, in territorio negativo sono scesi i tassi di interesse sulla ‘deposit facility’ e l’‘Eonia’ (Figura 1). Il primo è il tasso d’interesse che le banche ricevono depositando presso la BCE sul mercato a brevissimo termine (‘overnight’), il secondo è un tasso di riferimento medio nelle operazioni ‘overnight’ nel mercato interbancario.

Figura 1 – L’andamento dei tassi sulla ‘deposit facility’ ed EONIA. Fonte: elaborazione propria su dati BCE ed Euribor rates.eu. Valori in percentuale.

Per diverso tempo si è pensato che il cosiddetto ‘zero lower bound’, un vincolo di natura monetaria che limita a zero la discesa dei tassi di interesse nominali, avrebbe impedito alle Banche Centrali di spingere in negativo tali tassi (Krugman P. in Brookings Papers on Economic Activity, 1998). Se infatti il tasso nominale dovesse diventare negativo, – così procedeva il ragionamento – tutti gli agenti semplicemente sceglierebbero di detenere moneta.

Successivamente, un ripensamento è iniziato con autori che hanno esplicitamente sostenuto l’eliminazione del contante, con la quale si sarebbe anche contestualmente eliminato il potenziale fondo di valore che gli individui potrebbero accumulare a fronte di tassi nominali negativi (tra i vari, Rogoff K. in Journal of Economic Perspectives, 2017). In più, la capacità delle Banche Centrali di spingere in negativo i tassi nominali ha ulteriormente facilitato il cambio di visione: le politiche con tassi negativi sono fattibili. Su questa scia, una possibile soluzione al problema della possibilità di accumulazione di contanti da parte delle banche e del pubblico, che richiederebbe un pesante intervento legislativo, è suggerita da Carlo D’Adda e prevede l’impossibilità di conservare ricchezza finanziaria liquida a costo nullo. Le riforme ipotizzate da D’Adda sembrano tuttavia piuttosto ingombranti sia per la vita dei cittadini (“ritiro delle banconote di grosso taglio”), sia per la sfera finanziaria (“vietare le emissioni obbligazionarie a scadenza breve”), con effetti non solo finanziari ma anche geopolitici (“escludere la possibilità di investire ricchezza in moneta estera emessa da paesi estranei al club delle banche centrali che adottano tassi negativi sui depositi”).

Nonostante il dibattito tra chi sostiene la possibilità che i tassi possano scendere molto al di sotto dello zero (Rogoff) e chi invece ritiene che i margini per tali manovre siano molto limitati (Pressman S. in Review of Keynesian Economics, 2019), ciò su cui vogliamo spostare l’attenzione è la questione della rischiosità di tali interventi, un tema che non sembra ricevere molta attenzione nelle proposte menzionate in apertura. L’utilizzo come strumento di politica monetaria di tassi d’interesse ‘moderatamente negativi’ ha infatti già mostrato delle criticità che potrebbero facilmente aggravarsi in caso di tassi ‘decisamente negativi’, come quelli proposti da Rogoff e D’Adda (si veda il Bollettino economico BCE, n. 3-2020  Tassi negativi e trasmissione della politica monetaria, a cura di Boucinha M. e Burlon L., pp. 66-71).

Vediamo alcuni possibili problemi legati all’implementazione di tassi negativi. Il primo è dovuto al fatto che, mentre la BCE può fissare con facilità tassi negativi sui depositi che le banche detengono presso di essa, questo non è vero per le singole banche che trovano difficoltà a porre tassi negativi sui depositi della clientela, in parte per paura di perdere clienti depositanti, in parte per vincoli a tutela di questi ultimi. Alcune banche europee hanno fatto dei tentativi in questo senso, scontrandosi spesso col legislatore e spingendo la BCE ad adottare un sistema di doppia remunerazione dei depositi detenuti dalle varie banche, il quale limita la quantità di depositi delle banche sottoposti al regime dei tassi negativi (Zolea, R. in Menabò di Etica ed Economia n. 118/2020). A questo proposito bisogna tenere conto del fatto che anche se i tassi sui depositi del pubblico sono positivi, ad essi bisogna aggiungere i costi di commissioni e provvigioni, con la conseguenza di “ottenere un rendimento nominale effettivo negativo anche sui depositi che non presentano un tasso di interesse negativo” (Bollettino economico BCE, n. 3-2020, p. 71). Inoltre, mentre in un primo tempo i tassi negativi erano posti solamente sui depositi superiori a 100.000 euro, sembra che questa prassi stia venendo meno. L’effetto è che non è chiaro su quali categorie incida realmente l’utilizzo di tassi negativi da parte della BCE (si veda, per esempio, questo articolo di The Guardian). Si apre così un ulteriore conflitto distributivo tra le banche, che vedono minacciata la propria profittabilità, le imprese e i lavoratori, dove questi ultimi, a meno di leggi a loro tutela, sono i più deboli.

Un secondo problema riguarda il fatto che lo scopo delle politiche monetarie ultra-espansive, come i tassi nominali, è permettere, e allo stesso tempo incentivare, le banche ad aumentare il volume del credito al fine di stimolare l’economia, in particolare mediante una crescita degli investimenti. Tuttavia, il volume del credito dipende dalla domanda e dal livello dell’attività economica (Levrero E. S., e Deleidi, M. in Metroeconomica, 2019) e il basso livello dei tassi d’interesse, cioè del prezzo del credito, non è l’unico (né il principale) elemento che influisce sulla domanda. Le condizioni economiche generali e le conseguenti aspettative di profitto hanno un impatto molto rilevante sulla domanda di credito. Dal lato dell’offerta poi bisogna ricordare che la concessione di credito è condizionata ad un accettabile livello di rischio del debitore. Spingere le banche ad aumentare il credito in ogni modo può portare ad un incremento del rischio dell’intero sistema bancario (Bollettino economico BCE, n. 3 – 2020, p. 70), facendo così aggravare la crisi (come sostenuto recentemente anche da Vincenzo Imperatore).

Una terza questione riguarda l’impatto in senso più ampio che tassi negativi possono avere sul sistema finanziario. Ad esempio, nel caso dei tassi negativi implementati in Svizzera, si è osservato, oltre a una propensione maggiore del settore finanziario a intraprendere modelli di business più rischiosi, anche un aumento degli investimenti dei privati nel settore immobiliare, con conseguente forte aumento dei valori di mercato. Tale situazione potrebbero sfociare in una crisi del settore immobiliare (Rossi, S. in Review of Keynesian Economics, 2019). Da un punto di vista più generale, nell’ambito degli studi sui tassi negativi, è stato anche recentemente proposto il concetto di ‘reversal interest rate’ (Brunnermeier, M. K. e Koby, Y. in NBER, 2018). I due autori evidenziano infatti come ci possa essere un limite inferiore per il tasso di interesse nominale (anche più basso dello ‘zero lower bound’) al di sotto del quale ulteriori abbassamenti diventano causa di una contrazione dell’attività economica invece che fonte di ulteriore stimolo.

In via ancora più generale, poi, è stata anche messa in discussione l’efficacia stessa della politica monetaria in quanto tale in contesti di stagnazione ‘secolare’, negando la possibilità di benefici sostanziali derivanti da riduzioni del tasso di interesse (Bertocco, G. e Kalajzić, A. in Italian Economic Journal, 2018; Di Bucchianico, S. in Structural Change and Economic Dynamics, 2020).

Quale strada può dunque configurarsi come alternativa rispetto a quella di tassi di interesse nominali fortemente negativi? Una possibile soluzione può essere l’utilizzo di istituti di credito pubblici, come sta avvenendo in Germania (OECD, ELS Policy Brief on the Policy Response to the COVID-19 Crisis, 2020, in Overview table: “La Germania ha protetto le imprese con misure di liquidità, autorizzando la banca statale KfW a prestare 610 miliardi di euro alle aziende per attutire gli effetti del coronavirus.” [traduzione propria]), tenendo però presente che questi enti pubblici di credito effettuerebbero dei prestiti e non elargirebbero aiuti a fondo perduto. Tali enti si comporterebbero come le banche private, ma con delle differenze fondamentali. Una banca pubblica potrebbe agire senza vincoli di profittabilità, permettendo quindi un credito a condizioni agevolate, e potrebbe perseguire altri scopi come un controllo ‘di qualità sociale’ sull’azienda che richiede il prestito. Si potrebbe per tale via creare un sistema di incentivi tramite tassi minori e condizioni migliori per aziende che perseguono determinati fini, premiando per esempio l’uso di tecnologie ‘green’ o disincentivando le delocalizzazioni fiscali. Inoltre, lo Stato potrebbe gestire le eventuali sofferenze sui crediti in base all’interesse generale (tenendo conto per esempio delle ricadute occupazionali) e non all’obiettivo del profitto. Anche la gestione del rischio potrebbe essere più efficace, sia per una maggiore trasparenza e pubblicità nella gestione da parte del pubblico, sia perché si potrebbero evitare in toto rischiose speculazioni finanziarie, venuto meno l’obiettivo di ottenere maggiori profitti.

In più, alla luce del fatto che le politiche monetarie basate su tassi negativi sono effettuate per tentare di uscire da una situazione di stagnazione, la soluzione migliore per rilanciare l’economia in simili frangenti è il ricorso a politiche fiscali espansive (Di Bucchianico, S. in Menabò di Etica ed Economia n. 127/2020), come suggerito ai governi anche da alcune Banche Centrali. È infatti ormai generalmente riconosciuta l’efficacia della spesa in deficit, i cui moltiplicatori aumentano considerevolmente quando la Banca Centrale tiene i tassi prossimi allo zero (Woodford, M. in American Economic Journal: Macroeconomics, 2011).

Se perciò si cerca una soluzione alla stagnazione senza fine che le economie avanzate vivono ormai da anni, non c’è ragione di farlo implementando politiche monetarie con tassi decisamente negativi, che come abbiamo visto possono comportare notevoli rischi. Al loro posto, l’uso di istituti di credito pubblici, unito a politiche fiscali espansive, può costituire una valida alternativa.

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