Politica, particolarismi e interesse generale

Riflessioni sui programmi elettorali

1. Chiedersi a cosa servano i programmi elettorali, anche nelle intenzioni di chi li redige, non è una domanda così futile come potrebbe apparire. E’ possibile più di una risposta e l’elettore responsabile dovrebbe considerare non irrilevante la questione, che è diversa da quella dei contenuti dei programmi. Provo a spiegarmi.

Leggendo il “programmino” della Casa delle Libertà si raggiunge ben presto la convinzione che esso sia stato scritto con lo scopo di catturare il voto di un elettore che desidera sentirsi rassicurato rispetto alla soddisfazione delle sue domande particolaristiche e che non è troppo esigente nel richiedere garanzie sulla realizzabilità di quello che gli viene promesso. Quell’agile programma sembra infatti imperniato su due essenziali pilastri, peraltro connessi. Il primo è rappresentare gli obiettivi, nel massimo grado possibile, come vantaggi particolaristici; il secondo è ricondurre, sempre nel massimo grado possibile, quei vantaggi a specifiche categorie, molto spesso richiamate esplicitamente per evitare che il vantaggio promesso passi inosservato. Del tutto estranea, anzi confliggente, con questa logica è un qualsivoglia accenno alla possibilità che l’azione di governo possa procurare svantaggi a qualcuno. Di perdenti non vi è traccia.

Per attenersi a questa regola di condotta occorre, naturalmente, evitare di misurarsi con le condizioni dalle quali dipende la reciproca compatibilità tra i vantaggi generosamente elencati. L’esito vorrebbe essere quello di elargire a tutti l’emozione di sentirsi proiettati verso un rassicurante Nirvana, che sarà tanto più intensa quanto meno si cederà alla debolezza di chiedersi cosa sia mai accaduto o stia per accadere che possa così repentinamente cancellare e rovesciare il piccolo inferno che molti si sentono alle spalle, e sulle spalle. Di interessante il programma della Casa delle Libertà ha, infatti, anche il tentativo di rappresentare il Nirvana che verrà come il logico completamento dei passi in direzione della felicità collettiva già compiuti –malgrado l’accanimento del caso.

Quello della Casa delle Libertà è, dunque, un buon esempio di programma elettorale che si rivolge, forse con qualche presunzione nelle proprie capacità persuasive, al particolarismo auto-interessato degli elettori. Generoso nelle promesse, parco nel rappresentare le strategie, estremamente riservato sui dettagli. Un esempio per tutti. Su un problema di certo non lieve come è quello del Mezzogiorno ecco tutto quanto viene detto: “Piano decennale straordinario per il superamento della questione meridionale 1. Potenziamento, completamento e realizzazione delle infrastrutture previste nel piano (porti, reti stradali e autostradali, Alta capacità ferroviaria, Ponte sullo stretto); 2. Federalismo fiscale solidale e misure di fiscalità di sviluppo (compensativa) a favore delle aree svantaggiate; 3. Zone e porti franchi; 4. Contrasto alla criminalità organizzata; 5. Sviluppo Banca del Sud”.

Trascurando i contenuti – ad esempio, vi sarebbe molto da dire sulla Banca del Sud nella quale, peraltro, il Ministro dell’Economia, come notava un amico storico, vorrebbe dare (avrà colto l’ironia? ) un ruolo di rilievo ad un Borbone – e reprimendo ogni altra curiosità non resta che apprezzare l’asciuttezza dello stile. Ma viene da chiedersi: un elettore responsabile davvero si affiderebbe a chi gli propone un simile programma? Se, immaginando un impossibile ma non irrilevante esperimento, gli elettori non avessero altre informazioni sui partiti e le coalizioni in competizione oltre ai loro programmi, chi sottoscriverebbe, sotto questo velo di ignoranza, un programma di questo tipo? Anche sulla capacità persuasiva del programma delle Case della Libertà si possono nutrire dubbi. Ma il punto che mi interessa di più è un altro: la possibilità che il programma elettorale sia animato da intenzioni diverse e svolga, anche rispetto all’eventuale futura attività di governo, una positiva, e non banale, funzione di supporto.

Un programma elettorale può rivolgersi agli elettori non soltanto in quanto portatori di interessi particolaristici ma anche come cittadini variamente interessati alle caratteristiche complessive e generali della società in cui vivranno. In altri termini, un programma può proporsi di descrivere nel suo insieme la società che si intende costruire, indicando anche i passi che si compieranno per muoversi in quella direzione. La differenza non è di poco conto. Rivolgersi ai cittadini o ai portatori di interessi implica scelte radicalmente diverse nella riflessione da compiere nella redazione del programma. Occorre parlare di problemi, analizzarne le cause, proporre soluzioni indicando anche chi potrà esserne danneggiato nei suoi interessi particolaristici. E questo non serve soltanto nella campagna elettorale.

Nel programma integrale dell’Unione si può senz’altro cogliere, al di là di alcuni evidenti limiti, proprio questa intenzione. Le varie questioni, soprattutto quelle economiche, sono, in generale, affrontate nel quadro di analisi approfondite delle loro origini (meritoriamente, non sempre e soltanto ricondotte alle responsabilità del governo uscente) e vi è un chiaro impegno, coronato però da diseguale successo, a rendere visibili le connessioni tra gli obiettivi da raggiungere e le soluzioni proposte. Per fare tutto questo è inevitabile eccedere il limite di pagine che gli esperti di comunicazione – forse troppo inclini a rappresentare i nostri elettori come concentrati di pigrizia, superficialità e particolarismo – sembrano considerare ottimale.

Ma leggendo quelle pagine si ha almeno la sensazione che al lettore-elettore si voglia trasmettere, da un lato, un’idea di società verso la quale muovere e, dall’altro, la consapevolezza – anche se talvolta soltanto accennata – che per realizzare quell’idea occorre anche sopportare costi. Nel programma dell’Unione vi sono dei “perdenti”, indicati anche piuttosto precisamente: sono coloro che perderanno i benefici derivanti da forme di protezione dalla concorrenza che l’Unione ritiene di non poter più tollerare (farmacisti, tassisti, immobiliaristi, ecc.), sono coloro che dovranno smettere di avvantaggiarsi di forme intollerabili di evasione fiscale e così via. Al di là delle questioni specifiche e della loro singola accettabilità, quel che conta è che ciascuno possa valutare la congruenza tra i peggioramenti previsti per alcuni segmenti della società e la desiderabilità del modello di società per la realizzazione del quale questi sacrifici vengono richiesti. E sarebbe particolarmente importante che questa valutazione venisse fatta anche da chi è direttamente danneggiato, in qualcuna delle sue dimensioni di cittadino.

Sfortunatamente, le regole da noi vigenti nella comunicazione, soprattutto televisiva, sembrano fatte apposta per trasformare in un insanabile difetto questo aspetto, invece pregevole, del programma dell’Unione. Di tutte le sue caratteristiche quella di gran lunga più conosciuta – e, amaramente, meno apprezzata – è senza alcun dubbio la lunghezza. Non è un caso, e forse non è neanche una notizia troppo bella, che del programma integrale sia stata successivamente prodotta quella che viene chiamata una sintesi, ma che in realtà sintesi non è perché costituisce tutt’al più un elenco di brevi, non casuali e necessariamente poco connessi, passi estratti da quel programma.

Non è facile rinunciare all’idea che in un mondo ideale i programmi dovrebbero proporre nelle linee essenziali, e con la necessaria chiarezza, sia l’idea di società che si intende realizzare sia il percorso che si seguirà per realizzarla. In assenza di ciò i cittadini, anche se fossero diversamente motivati, non potrebbero che scegliere sulla base di convenienze particolaristiche. Dunque, impegnarsi a redigere programmi che promettono di più a tutti ha un effetto molto negativo: legittimare, già nel momento istituzionalmente importantissimo della competizione democratica, la superiorità del punto di vista individuale su quello collettivo. Non solo, ma nel nostro caso, l’implicito riconoscimento delle difficoltà della politica a farsi garante di una qualche idea di interesse generale lascia di per se stessa molto poco tranquilli sul futuro di un paese che di individualismo, familismo, lobbyismo e clientelismo è già copiosamente dotato.

Ecco perché gli elettori dovrebbero preoccuparsi oltre che dei contenuti dei programmi, delle intenzioni con le quali vengono redatti. Persuadere con le sirene del particolarismo è cosa ben diversa che invitare a riflettere sulla società realizzabile. E sarebbe sbagliato assumere che agli elettori interessi sempre e soltanto la prima cosa.

2. Inaugurando la campagna elettorale Prodi ha detto: “In un programma di governo non basta elencare provvedimenti cari agli interessi di singole categorie. Abbiamo già visto quanto sia facile e al tempo stesso vano l’esercizio delle mirabolanti promesse di risolvere i problemi di tutti e di ciascuno. Noi dobbiamo perciò rendere chiaramente leggibile il filo rosso che lega le diverse idee e le trasforma in un coerente progetto di governo. E questo filo rosso è per noi l’equità e la giustizia.”

Devo confessare che, in base alla mia lettura del programma, trovo riduttivo, ancorchè pertinente, il solo riferimento all’equità. Non posso escludere errori ma io avrei detto che quel programma è fondamentalmente, e non senza oscillazioni, animato dal desiderio di costruire una società che sappia promuovere lo sviluppo (dunque non la mera crescita economica) distribuendo i suoi frutti ( benessere, non solo reddito) soprattutto a chi, per diversi motivi, si trova nelle posizioni più svantaggiate. Mi spiacerebbe aver letto male perché a questa idea di società, pur nella sua insufficiente specificazione, non siamo in pochi a essere interessati. Ma forse non ho letto male se penso all’attenzione dedicata sia ai fattori considerati cruciali per la crescita (innovazione, ricerca, credito) sia all’enfasi sull’equità (fisco, welfare state e così via) sia a un problema cruciale per lo sviluppo come quello ambientale, che viceversa sembra essere stato completamente rimosso dalla Casa delle Libertà.

Come pensa l’Unione di avvicinarsi a questo obiettivo? Il programma è, sotto questo difficile profilo, un alternarsi di luci e ombre. Rispetto ad alcuni problemi la prosa è fluida e i contenuti concreti; rispetto ad altri, troppo viene concesso alla verbosità e si fatica a comprendere come si intenda in concreto procedere. Numerosi commentatori, non sempre disinteressati, hanno osservato che la mancanza di riferimenti alle compatibilità finanziarie costituisce il limite principale delle proposte formulate e delle vie indicate per perseguirle. Se non si intende il programma di governo come una Legge Finanziaria questo rilievo appare piuttosto ingeneroso. I vincoli contro i quali rischia di infrangersi il programma sono altri; sono vincoli relativi alla difficoltà di disegnare e condurre politiche che, nelle concrete determinazioni del nostro sistema economico-politico-sociale, possano effettivamente rimuovere gli ostacoli alla realizzazione di quel tipo di società.

Si tratta, in primo luogo, dei limiti che la politica potrebbe incontrare a vincere le resistenze dei “perdenti” – i quali, peraltro, non sempre meritano di essere lasciati al proprio destino. Ma a questo riguardo può solo essere di aiuto chiarire la questione fin dal programma elettorale. In secondo luogo, e principalmente, su un gran numero di questioni, apparentemente cruciali, non è facile concepire interventi semplici, efficaci e, soprattutto, idonei a mettere in modo processi virtuosi (e coerenti con lo scopo) che possano camminare con le proprie gambe, liberando la politica dal gravoso, e largamente insostenibile, compito di una permanente assistenza. Bisognerebbe afferrare il bandolo, ma in troppi casi non è facile individuarlo e forse non esiste neppure. Farò un paio di esempi.

Giustamente, nel programma si esclude che gli obiettivi da raggiungere, in termini di sviluppo equo, siano alla portata delle sole politiche di liberalizzazione dei mercati e di ulteriore flessibilità del mercato del lavoro, come invece sostengono molti , anche dall’interno della coalizione di centro-sinistra: vi sono ostacoli che difficilmente potrebbero essere rimossi con le politiche sopra ricordate. Rispetto al problema di avviare un percorso di crescita basato sulle innovazioni e sull’impiego di capitale umano il programma afferma che le piccole dimensioni aziendali e la nostra struttura produttiva costituiscono un serio impedimento. Per rimuovere questo ostacolo non basta liberalizzare e “flessibilizzare” attendendo la virtuosa reazione automatica. Occorre, viceversa, una dose massiccia, e chissà quando persistente, di politica molto selettiva e mirata. Dunque, pericolosa e difficile da realizzare. Se si avessero dubbi che questo è un problema, si legga il programma dell’Unione nelle parti dedicate alla necessità di incidere sulla struttura produttiva del Mezzogiorno.

Un esempio diverso di queste difficoltà si coglie in relazione ai problemi posti dalle diverse autonomie presenti nel sistema istituzionale. Definire obiettivi e strategie comuni in presenza di queste autonomie può essere contraddittorio e dare luogo ad imbarazzi. Si legga come possibile prova la parte del programma dedicata ai problemi della scuola, ove la limitata concretezza sembra largamente dovuta alla tensione, non risolvibile adesso, tra riconoscimento dell’autonomia e enunciazione programmatica degli obiettivi di governo. Anche qui è richiesto un grande impegno, per coordinare e contemperare.

3. Dunque, per costruire una società che si sviluppi nell’equità occorre “tanta” politica e proprio questo appare a molti un’irrimediabile debolezza. Pur riconoscendo il problema, si può, fortunatamente, dissentire: abbiamo qualche esperienza positiva di “tanta” politica e buona, nel nostro paese e fuori di esso. Ma il compito, occorre riconoscerlo, è gravoso.

L’inadeguatezza della politica e dell’amministrazione ha numerosissime conseguenze negative. Una di queste è il contributo che essa dà alla perdita di coesione sociale, alla diffusione nella sfiducia nel funzionamento del pubblico e alla stessa disponibilità a riconoscere un interesse generale distinto dagli interessi particolari. Tutto questo fa arretrare la frontiera delle realizzazioni possibili. E’ in questa ottica, io credo, che l’Unione, se sarà al governo, dovrà porsi il problema delle priorità.

Piuttosto che in base soltanto alla urgenza dei bisogni (se questo fosse il criterio dovremmo oggi stilare un elenco di priorità di ingestibile lunghezza) le priorità dovrebbero essere fissate in relazione alla loro duplice capacità di contribuire direttamente allo sviluppo e/o all’equità e, indirettamente, alla articolazione di una rinnovata presenza pubblica che valga anche a rivitalizzare il declinante senso collettivo. Credo che questa rivitalizzazione permetterebbe di ampliare enormemente lo spettro delle realizzazioni successivamente possibili e ciò chiarisce perché azioni con le caratteristiche indicate debbano essere considerate priorità. Ecco allora un breve elenco, non commentato, di possibili, ma non uniche, misure prioritarie prescelte anche in base alla loro complementarità. Quasi tutte sono presenti nel programma dell’Unione.

Sono priorità: debellare la criminalità nel Mezzogiorno; alleviare il problema della casa e realizzare finalmente l’adeguamento del sistema di protezione sociale con la riforma degli ammortizzatori e con l’introduzione di misure di sostegno agli anziani non autosufficienti. E’ prioritario intervenire selettivamente sulle infrastrutture dei trasporti, in particolare sul problema del trasporto urbano, e avviare efficaci piani di recupero dell’evasione fiscale, anche tenendo conto delle reazioni che potranno aversi. Ancora, e infine, è prioritario ristabilire il sistema della giustizia civile e rilanciare il sistema universitario e della ricerca.

Per fare tutto questo è indispensabile poter contare su una classe dirigente competente e responsabile. Forse la principale priorità è proprio questa: saper selezionare una classe dirigente all’altezza del progetto di società verso cui si vuole tendere. Auguri sinceri.

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