Politica contro la povertà alla prova del COVID-19

Marcello Natili, osserva che la rappresentanza dei poveri costituisce una sfida nelle società democratiche odierne e riflette sulle dinamiche che hanno condotto alla introduzione del Reddito di Emergenza circa un anno dopo l’istituzionalizzazione di uno schema di reddito minimo come il Reddito di Cittadinanza. L’emergere di coalizioni sociali pro-attive costituisce un passo in avanti significativo, ma l’eccessiva frammentazione del welfare state all’italiana potrebbe ostacolare il percorso verso uno schema di reddito minimo più protettivo, equo ed inclusivo.

Gli schemi di reddito minimo presentano ben noti limiti – primo tra tutti, l’incapacità di raggiungere l’intera platea delle persone bisognose e un importo, nella maggioranza dei casi, inadeguato a garantire standard di vita dignitosi – che fanno sì che non siano in grado di eliminare (o ‘sconfiggere’) tout court la povertà, quanto piuttosto di contenerne diffusione e intensità. Si tratta oltretutto di strumenti disegnati per operare in un contesto ordinario, non per proteggere da un improvviso e inaspettato blocco dell’economia, come quello causato dal diffondersi della pandemia Covid-19. La presenza di criteri di eleggibilità di natura patrimoniale, oltre che reddituale, e di conseguenza di procedure di accesso complesse, lunghe e spesso dotate di elementi stigmatizzanti, oltre che di condizionalità legate alla partecipazione dei beneficiari a percorsi di ‘inclusione attiva’ evidentemente non attuabili in una fase di lockdown, limita fortemente la capacità di rispondere velocemente ed efficacemente a crisi di questa natura.

Per questo motivo, quasi in tutta Europa si è intervenuti per garantire in maniera rapida l’accesso al reddito, superando i numerosi ostacoli di carattere burocratico-amministrativo che in questa fase rendono difficile sostenere il reddito di chi ha di meno. Semplificando, due strade erano possibili: la prima era quella di rendere più inclusivi e protettivi gli schemi ordinari di reddito minimo, alleggerendo i criteri di eleggibilità e sospendendo (temporaneamente) i test di natura patrimoniale, come fatto ad esempio in Germania. L’altra era introdurre un nuovo strumento, specificamente rivolto a coprire i ‘buchi di copertura’ che, per loro natura, tutte le prestazioni selettive e sottoposte a prova dei mezzi hanno.

Come noto, il governo italiano ha preferito percorrere questa seconda strada, introducendo con il Decreto legge n. 34 del 19 maggio 2020 – il cosiddetto ‘Decreto Rilancio’ – il Reddito di Emergenza (REM). Le caratteristiche di questo strumento, nonché la sua capacità di proteggere le ampie fasce della popolazione non protette dallo strumento ordinario, il Reddito di Cittadinanza (RdC), sono state ben descritte sul Menabò da Gallo e Raitano. Rimandando a quelle pagine per un’analisi più dettagliata delle caratteristiche di policy, due punti preme qui sottolineare: da un lato, questo strumento corregge una delle principali storture del RdC, quella di escludere sistematicamente una quota rilevante di potenziali beneficiari, ovvero i poveri residenti in Italia ma che provengono da altri paesi, o più precisamente, coloro i quali possiedono la residenza italiana da meno di 10 anni, di cui gli ultimi due in via continuativa; dall’altro, l’introduzione e il disegno di un nuovo strumento – che comunque mantiene criteri d’accesso piuttosto stringenti sia di natura patrimoniale che reddituale – non ha consentito di rispondere velocemente a una situazione di improvviso bisogno. Nel migliore degli scenari possibili, questo strumento arriverà nelle tasche di chi ha bisogno ad agosto, a cinque mesi dal lockdown, un lasso di tempo davvero troppo lungo per una prestazione emergenziale prevista per chi è in maggiori difficoltà e possiede meno risparmi.

L’introduzione del REM consente, inoltre, di proporre alcune considerazioni sulle dinamiche di politics nel settore delle misure contro la povertà in Italia.

La prima, e più immediata, è che l’introduzione del REM, piuttosto che muovere verso un maggiore universalismo, aumenta la frammentazione del sistema di protezione del reddito italiano. Come noto, interventi frammentati e di natura categoriale tendono ad aumentare il rischio che i beneficiari in possesso di minori risorse politiche siano meno protetti rispetto ad altre categorie. Non è un caso che i beneficiari del REM accederanno a uno strumento meno generoso e di durata inferiore rispetto ad altre categorie di persone tutte ugualmente colpite dagli effetti economici della pandemia, come chi può accedere alla cassa integrazione ordinaria, agli strumenti in deroga, o agli stessi beneficiari del reddito di cittadinanza.

In secondo luogo, il processo di policy-making durante la crisi pandemica ha mostrato come si stia sempre più strutturando in Italia una domanda socio-politica a favore di prestazioni di reddito minimo. Come ben sottolineato da Gori, l’introduzione del REM è dovuta (anche) all’azione di pressione svolta da una coalizione sociale formata da alleanze di organizzazioni della società civile (Asvis e il Forum Disuguaglianze Diversità) e da un esperto esterno (Gori stesso). Il formarsi di tali coalizioni sociali in grado di dotare di voce e peso politico un gruppo sociale eterogeneo e dotato di scarse risorse politiche, come i poveri, costituisce senz’altro uno degli avvenimenti più positivi degli ultimi anni, laddove per lungo tempo in Italia si è sottolineato come quella contro la povertà fosse una battaglia che pochi erano interessati a combattere. In effetti, fuor di metafora, al di là di alcuni esperti, nell’arena politica italiana sono sovente mancati attori sociali e politici che si facessero portavoce delle istanze dei poveri e che proponessero con forza l’introduzione di una misura universalistica di sostegno alla povertà. Oggi per fortuna non è più così. Proprio per l’importanza di questo avvenimento è importante sottolineare come un welfare frammentato renda tuttavia più difficile la formazione di alleanze inclusive, facilitando il formarsi di gruppi di interesse specificatamente rivolti alla protezione e/o al rafforzamento di specifici strumenti, e rendendo più evidenti le contrapposizioni tra diverse categorie di beneficiari. Oltretutto, un sistema di protezione sociale che differenzi puntigliosamente i diritti delle varie categorie rende particolarmente difficile il lavoro di rappresentanza delle fasce più deboli per un attore cruciale: il sindacato. La ricerca politologica in questo settore mostra come siano in genere i sindacati a svolgere un ruolo fondamentale perché la pressione esercitata da tali coalizioni diventi davvero efficace; allo stesso tempo, mostra anche come la presenza di micro-interventi categoriali renda più arduo sostenere gli interventi non esclusivamente rivolti ai lavoratori per organizzazioni sindacali già duramente messe alla prova dalla presenza di un mercato del lavoro ancor più segmentato e differenziato che in passato. Se, quindi, sostenere tali coalizioni è fondamentale per garantire accesso all’arena politica anche dei più poveri, è importante fare in modo che gli schemi di reddito minimo ordinari siano più generosi, inclusivi e in grado di proteggere anche le fasce più deboli sul mercato del lavoro, anche per facilitare l’azione di aggregazione degli interessi e il sostegno delle organizzazioni dei lavoratori.

Il processo di policy-making durante la pandemia consente di fare un’ultima considerazione. Ancora oggi è difficile promuovere un dibattito oggettivo sul Reddito di Cittadinanza, una misura fortemente connotata normativamente e considerata dai più la misura simbolo del Movimento 5 Stelle. In altri termini, il futuro del reddito minimo in Italia rischia di pagare caro il (brutto) dibattito che ha portato alla sua introduzione. Diviene così difficile sottolineare – e in effetti, è una considerazione quasi del tutto assente nel dibattito pubblico – che se la pandemia fosse scoppiata solo due anni fa gli effetti in Italia sarebbero stati disastrosi e che il Reddito di Cittadinanza, con tutti i suoi difetti, ha permesso a quasi due milioni e mezzo di persone di contare su un sostegno economico – che in chiave comparata è abbastanza generoso – in una fase molto difficile. Al contrario, i media sono sempre molto attenti a sottolineare e ad enfatizzare i casi di frodi ed abusi, e non mancano reportage e titoli sui (pochi, sul totale) beneficiari coinvolti in inchieste giudiziarie. Le campagne mediatiche sull’undeservingness di alcuni sottogruppi di richiedenti e/o l’enfasi data ai casi di frode, è potente nel filtrare e in qualche modo modellare la percezione pubblica della povertà, delle sue cause e dei possibili rimedi. In the Rise and Fall of Social Cohesion, Larsen (2013) mostra come i media statunitensi e britannici siano pieni di storie negative riguardanti casi di abuso e frode nel settore delle prestazioni e servizi di assistenza sociale, che sono quasi totalmente assenti nei media danesi e svedesi.

Tali considerazioni sono vieppiù importanti se si considera che, a fianco delle voci più forti che in passato a sostegno di prestazioni per le fasce più deboli della popolazione, cui abbiamo in precedenza accennato, esiste una opposizione politica a tali strumenti più strutturata in Italia che in altri paesi. L’introduzione del REM ha portato con sé nuovi richiami a un ‘ritorno all’assistenzialismo’ in Italia, già sentiti nei giorni dell’introduzione del Reddito di Cittadinanza. Confindustria, politicamente molto attiva durante la pandemia, non manca di sottolineare i suoi dubbi nei confronti di questi strumenti, e nella prima intervista concessa a seguito della sua elezione, il nuovo presidente Bonomi ha tuonato contro l’utilizzo dei ‘soldi a pioggia’ con evidenti richiami al dibattito sulla possibile introduzione del REM. Nel governo non sono mancate fibrillazioni su questi temi, e le ricostruzioni giornalistiche – su cui sarebbe tuttavia necessario una più approfondita ricerca – segnalano come all’interno della coalizione di governo siano emerse divisioni, e l’intervento di Italia Viva ha fatto sì che venisse ridotto l’investimento nei confronti del REM, che nelle ipotesi iniziali del governo doveva essere tre volte superiore e garantire ai beneficiari una mensilità aggiuntiva (tre mesi invece che due).

In altri termini, se la domanda di prestazioni anti-povertà pare essere divenuta ben più strutturata che in passato, anche l’opposizione a questi strumenti sembra essere ben organizzata. Più ancora che il ruolo degli esperti, le dinamiche di competizione politica, pur mutate rispetto al passato, sono ancora decisamente rilevanti per comprendere le caratteristiche degli interventi emergenziali, così come la futura direzione delle misure contro la povertà in Italia.

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