Per diversi anni, la contrapposizione dualistica Nord-Sud ha rappresentato l’unica chiave di lettura dei divari di reddito e ricchezza presenti nel nostro Paese. Tuttavia, la tradizionale partizione tra Nord e Sud, è solo una delle possibili partizioni impiegabili e non necessariamente la più adatta a cogliere le caratteristiche territoriali della polarizzazione della ricchezza nel Paese.
La polarizzazione territoriale viene intesa come la concentrazione del prodotto pro-capite in gruppi di economie che sono geograficamente contigue. Il riferimento geografico, per intenderci, può essere a territori regionali o anche sub-regionali (province, sistemi locali etc.).
Un numero crescente di studi, superando la tradizionale interpretazione dei divari che frappone Nord e Sud del Paese, hanno dimostrano che è in atto un processo di redistribuzione disegualitaria del reddito pro-capite, alimentando fenomeni di sperequazione sociale a danno delle famiglie più povere e, nel contempo, dando vita alla nascita di nuove fasce di povertà tra la popolazione, prima considerate benestanti (i.e. le cosiddette famiglie a redditi medi).
Questi studi mostrano come all’interno di una stessa regione o tra regioni, il reddito abbia non solo una distribuzione territoriale disomogenea ma sia anche fortemente concentrata in alcune aree geografiche, producendo fenomeni di polarizzazione del reddito.
Una rappresentazione della disuguaglianza nella distribuzione del reddito ed insieme una misura della povertà, ci viene restituita da diversi indici, tra i quali i più noti sono l’indice di Gini e l’indice di disuguaglianza di Theil. In questo lavoro tuttavia non si intende dare una rappresentazione analitica e metodologica di tali indici[1]. In uno di questi studi, Iezzi (2006) utilizza l’indice di Theil per misurare la polarizzazione territoriale del reddito pro-capite in Italia tra il 1951 e il 2001, facendo uso di dati provinciali. Nel lavoro si dimostra in misura evidente che il fenomeno della polarizzazione territoriale del prodotto pro-capite non si riflette esclusivamente nel dualismo storico tra Nord e Sud del Paese, ma esiste un’accentuata disuguaglianza territoriale anche in ambito locale, a livello regionale, e tra macro aree.
Una delle conclusioni più rilevanti è che “la disuguaglianza territoriale riconducibile al dualismo Nord-Sud non risulta più intensa della disuguaglianza attribuibile alle difformità regionali” (Iezzi, 2006). In altre parole, ciò significa che l’aumento delle differenze regionali riscontrato negli anni è più forte del rafforzamento del processo di disuguaglianza che ha riguardato Nord e Sud del Paese.
Lo studio non da invece una risposta a quale sia la direzione di causalità tra i due fenomeni, vale a dire non chiarisce quale dei due fenomeni origina e rafforza l’altro.
L’analisi conferma la tendenza ad un aumento della polarizzazione territoriale del reddito pro-capite, laddove tale risultato è riscontrabile sia per l’analisi di lungo periodo 1951-2001, che per il decennio 1991-2001.
Si può affermare che il fenomeno della polarizzazione territoriale del reddito è un riflesso dell’aumento del livello di povertà che sta affliggendo ampie fasce di popolazione tra le famiglie italiane, incidendo negativamente sulle loro capacità di consumo e sul clima di fiducia, come rilevato da recenti studi ed indagini (i.e. ISAE, ISTAT).
I dati d’indagine della Banca d’Italia sui redditi delle famiglie mostrano che tra il 2000 ed il 2004 i redditi delle famiglie sono aumentati del 13,6 per cento in termini nominali e solo del 3,1 per cento in termini reali. Disaggregando per tipologia di reddito, i redditi dei lavoratori autonomi sono cresciuti di circa il 15 per cento in termini reali, mentre quelli dei lavoratori dipendenti sono diminuiti di quasi il 4 per cento.
Questi dati ci dicono in sostanza che è in atto un processo redistributivo della ricchezza nel Paese che ha connotati fortemente inegualitari, con fasce della popolazione che hanno subito una forte perdita del potere d’acquisto. Inoltre alcune dinamiche inflative hanno colpito in modo non uniforme la popolazione, per cui alcune famiglie hanno subito maggiormente l’aumento dei prezzi di alcune tipologie di beni e servizi. Infatti, a fronte di un’inflazione “media” abbastanza contenuta, i prezzi di alcuni servizi e soprattutto degli affitti hanno fatto registrare tassi di inflazione molto elevati, superiori ad esempio a quelli rilevati per i generi alimentari. Tra i servizi, poi, alcuni di essi (i.e. trasporti pubblici e servizi finanziari ed assicurativi) hanno visto crescere i prezzi in maniera più accentuata rispetto ad altri servizi soggetti ad un regime di maggiore concorrenzialità.
Di fronte ad una crescita molto limitata dei redditi per alcune fasce della popolazione (i.e. i redditi da lavoro dipendente), la dinamica dei prezzi ha colpito alcuni gruppi sociali più di altri, riducendo il reddito disponibile di alcune famiglie e portandole a ridefinire e contrarre il proprio paniere di beni di consumi.
Anche rispetto al confronto europeo, l’Italia si presenta come un paese con forti disuguaglianze relative. E ciò vale sia rispetto all’UE a 15 che a 25 paesi.
Nella tabella sottostante si riporta il dato relativo a due indici per l’ultimo anno disponibile, il 2005, da fonte Eurostat. Il primo indice (S80/S20) rappresenta una misura della disuguaglianza nella distribuzione del reddito tra i Paesi dell’area comunitaria europea, il secondo invece costituisce un vero e proprio tasso di povertà, indicando la quota di popolazione con un reddito disponibile, al netto dei trasferimenti sociali, al di sotto del 60 per cento del reddito nazionale disponibile medio (questa soglia viene equiparata ad una soglia di povertà relativa).
Disuguaglianze nei redditi e tassi di povertà in Europa<!–[if !supportFootnotes]–>[2]
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|
S80/S20* |
Tasso di povertà** |
EU 25 |
4,9 |
16 |
EU 15 |
4,8 |
16 |
Germania |
4,1 |
13 |
Spagna |
5,4 |
20 |
Francia |
4 |
13 |
Italia |
5,7 |
19 |
Regno Unito |
5,5 |
18 |
Fonte: Eurostat * Rapporto fra il reddito totale ricevuto dal 20% della popolazione con il più alto reddito e quello ricevuto dal 20% della popolazione con il più basso reddito. ** Quota di persone con un reddito disponibile pari al 60% del reddito nazionale disponibile medio (al netto dei trasferimenti sociali). |
Se analizziamo l’indice di disuguaglianza di distribuzione del reddito (dato dal rapporto tra il reddito ricevuto dal 20 per cento della popolazione più ricca ed il 20 per cento di quella più povera), l’Italia presenta un valore decisamente alto sia rispetto all’UE a 15 che a 25 Paesi. Inoltre, l’Italia è il Paese, tra quelli europei più avanzati, con l’indice più alto in assoluto. Per l’esattezza, l’indice ci dice che in Italia il quinto della popolazione più ricca dispone di circa sei volte il reddito del quinto della popolazione più povera.
Considerando invece il secondo indice, l’Italia ha un tasso di povertà che è nettamente superiore al dato medio europeo (sia EU a 15 che a 25), ed è superato unicamente dal dato della Spagna.
In generale, gli indicatori di disuguaglianza tendono ad essere positivamente correlati con quelli di povertà. Ciò viene confermato anche dalla nostra analisi (con la sola eccezione della Spagna, che presenta il dato massimo nella classifica della povertà, mentre il terzo valore più alto nella classifica della disuguaglianza).
Con riferimento al secondo indice, da sola, la percentuale di persone che si colloca al di sotto della linea di povertà non ci offre conoscenza di un altro dato, a mio avviso anche più interessante. Non ci dice, cioè, quante di queste persone sono immediatamente al di sotto della soglia, conservando quindi un tenore di vita migliore di chi invece è in condizioni di povertà assoluta. Per cogliere questa evidenza, si può ricorrere all’indice di intensità della povertà, definita come distanza dalla soglia di povertà (in percentuale della soglia stessa) del reddito del “povero mediano”, la persona, cioè, che sta esattamente in mezzo una volta ordinate in base al reddito tutte le persone a rischio di povertà.
Nel 2005 l’intensità di povertà è stata uguale sia per l’EU a 25 che a 15 paesi (22%), quindi si è avuto per Germania (20%), Spagna (25%), Francia (17%), Italia (24%), Regno Unito (21%). In sostanza, si conferma una correlazione positiva tra il dato riferito al tasso di povertà e quello riferito all’intensità di povertà, risultando in particolare i paesi aventi un maggiore tasso di povertà essere quelli in cui l’intensità è più alta (Spagna, Italia e Regno Unito).
I problemi relativi alla distribuzione diseguale della ricchezza prodotta all’interno di una società, costituiscono non solo una faccenda di natura economica, ma anche un problema di natura etica che attiene all’equità distributiva ed a cui gli economisti sono chiamati ad essere informati. Una buona policy infatti dovrebbe incorporare elementi che, anziché aumentare le disparità ne promuovano invece l’annullamento.
Bibliografia
Atkinson, A. B. e Brandolini, A., (2005) “The Panel-of-Countries Approach to Explaining Income Inequality: An Interdisciplinary Research Agenda”, in Morgan, S.L., Grusky, D.B. e Fields, G.S., Mobility and Inequality: Frontiers of Research from Sociology and Economics, Stanford, Stanford University Press.
Cannari, L. e D’Alessio, G. (2003), “La distribuzione del reddito e della ricchezza nelle regioni italiane”, Temi di discussione del Servizio Studi Banca d’Italia, Giugno, N. 482.
Iezzi, S. (2006), “La polarizzazione territoriale del prodotto pro-capite: un’analisi del caso italiano sulla base di dati provinciali”, Temi di discussione del Servizio Studi Banca d’Italia, Dicembre, N. 611.
Pizzuti, R. F. (a cura di), Rapporto sullo stato sociale 2006. Welfare state e crescita economica, 2006, UTET.
[1] Per una trattazione delle principali metodologie applicate agli studi sulla disuguaglianza nella distribuzione del reddito si veda Atkinson e Brandolini (2005).
[2] I dati rilevati sono riferiti all’anno 2005.