Più voce alle donne economiste e non solo: il progetto “100esperte.it”

Luisella Seveso illustra il progetto “100esperte.it”, un database online di consultazione gratuita che contiene a tutt'oggi i nomi e i curricula di circa 200 professioniste italiane "eccellenti" nell’ambito delle discipline STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) e di quelle economiche e finanziarie. Scopo del progetto è rendere note, soprattutto ai media, le conoscenze e le competenze di professioniste di valore, troppo raramente interpellate in qualità di esperte e opinioniste, come risulta da un'autorevole ricerca europea.

A spiegare e interpretare il mondo c’è quasi sempre un punto di vista maschile. Eppure le donne esperte sono tante. E possono svecchiare una visione e un linguaggio che, ignorandole, trascura i segni del tempo e disconosce l’apporto delle donne in tutti gli ambiti, dalla scienza alla tecnologia, dall’economia alle scienze sociali. Valorizzare il loro lavoro vuol dire avere uno sguardo più ricco sul futuro, in cui una partecipazione femminile in linea con quella maschile significa più ricchezza per tutti.

Da queste considerazioni tre anni fa è nato un progetto, “100 esperte”, ideato da Monia Azzalini, responsabile del settore Media e Gender dell’Osservatorio di Pavia, Luisella Seveso e Giovanna Pezzuoli dell’associazione di giornaliste GiULiA (Giornaliste Unite Libere Autonome) e realizzato con il sostegno della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea e della Fondazione Bracco. Si tratta di una piattaforma online, che raccoglie nomi e CV di professioniste di grande prestigio e competenza, un’agenda ricchissima da usare come strumento di ricerca di fonti femminili eccellenti per giornaliste e giornalisti, ma anche come risorsa di voci prestigiose e autorevoli che possono contribuire al dibattito pubblico, dentro e fuori i media.

Dopo una prima fase (2016/17) dedicata alla selezione e inserimento di esperte del settore STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) nel 2018 il focus si è spostato su un altro ambito strategico, quello dell’economia e della finanza (utilizzando specifici criteri di selezione). A tutt’oggi, i nomi selezionati in entrambe le categorie sono circa 200, e altri se ne aggiungono periodicamente: l’elenco è aperto a segnalazioni e autocandidature, e ogni candidatura è sottoposta al vaglio di personalità autorevoli, sulla base di criteri di merito internazionali. Per quanto riguarda le STEM l’esame dei CV è stato affidato al Centro Genders dell’Università degli Studi di Milano, mentre le economiste sono state selezionate dalla professoressa Paola Profeta dell’Università Bocconi. Un’ulteriore e ultima verifica viene effettuata da due rispettivi comitati scientifici.

Al database si sono affiancati due libri, “100donne contro gli stereotipi per la scienza” e “100donne contro gli stereotipi per l’economia” (Egea) che inquadrano il fenomeno della presenza/assenza di voci femminili nelle varie discipline e raccolgono riflessioni e ricerche di studiosi e studiose. Una parte importante del testo è rappresentata dalla narrazione della storia personale, privata e lavorativa, di alcune tra le scienziate e economiste selezionate. Esperienze importanti, che raccontano le scelte, le rinunce, le discriminazioni e i successi di donne tenaci e brillanti.

Nel corso di questi pochi anni di vita, il progetto è stato presentato in tutta Italia all’interno di corsi di formazione per giornalisti, eventi mediatici e seminari ad hoc: la diffusione tra i rappresentanti dei mass media è fondamentale ai fini della riuscita dell’iniziativa, che nasce proprio per offrire alle donne una maggiore visibilità innanzitutto su giornali e in tv. A questo proposito si può già fare un primo bilancio positivo dell’iniziativa, perché fin qui sono state oltre 200 le interviste e le partecipazioni a programmi televisivi che hanno visto le “esperte” come protagoniste.

Il progetto “100 esperte” ha radici nella riflessione da tempo avviata a livello internazionale, e in particolare nell’ambito delle Nazioni Unite, sulle “azioni positive” che vanno intraprese per far progredire l’agenda dell’eguaglianza di genere. In particolare, la Piattaforma d’Azione con cui si era conclusa la Quarta Conferenza mondiale dell’ONU sulle donne, tenutasi a Pechino nel 1995, indicava l’ambito ‘Donne e Media’ come uno dei dodici settori strategici per il miglioramento della condizione femminile e il progresso delle pari opportunità. Due gli obiettivi fissati:

  1. accrescere la partecipazione delle donne e permettere loro di esprimersi e di accedere ai processi decisionali nei media e nelle nuove tecnologie di comunicazione;
  2. promuovere un’immagine equilibrata e non stereotipata delle donne nei media.

A distanza di vent’anni, le ricerche prodotte in ambito nazionale e internazionale dimostrano però che siamo ancora molto lontani dagli obiettivi di Pechino. Secondo i risultati del Global Monitoring Project 2015, il più ampio e longevo progetto di ricerca sulla visibilità delle donne nei media, i mezzi d’informazione italiani danno molta più visibilità agli uomini che alle donne, il cui “peso” è soltanto del 21%. In particolare, tra gli esperti le fonti femminili sono soltanto il 18%!

Negli ultimi tre anni le cose non sono molto cambiate, eppure non c’è un motivo plausibile per il permanere di questa discriminazione. È convinzione ormai condivisa da molte studiose e ricercatrici che un cambiamento possa (e debba) derivare da un maggiore impegno da parte di chi lavora nel mondo dei media (in primis giornaliste e giornalisti) a dare più spazio alle donne, in particolare interpellandole come fonti di sapere ed esperienza, in modo da riconoscerne pubblicamente talento e competenza.

Una rappresentazione mediatica che ignora il valore delle donne influisce negativamente sulle aspirazioni delle giovani generazioni, per le quali contano molto i modelli veicolati dai media. Una maggiore presenza di opinion leader donne, capaci di cambiare le regole e offrire un’immagine vincente e positiva mostrando che il famoso tetto di cristallo si può frantumare, avrebbe effetti positivi sulle scelte di carriera delle ragazze, e ai fini della loro affermazione nel mondo del lavoro. Nonostante le donne siano in media più istruite e preparate (su 10 laureati solo 4 sono uomini e hanno voti inferiori alle donne), le donne lavorano meno degli uomini e, quando occupate, faticano a raggiungere posizioni apicali. Non siamo davanti a un problema italiano ma globale, anche se in questa come in altre classifiche purtroppo l’Italia è un fanalino di coda. Mediamente, nell’UE, solo un terzo dei manager (33%) è donna, e l’Italia con il 26% si colloca addirittura al quint’ultimo posto. I motivi di questa discriminazione sono molteplici, e affondano le loro radici in una secolare cultura discriminatoria e nelle modalità di accesso ai ruoli più elevati che si basano su pratiche standardizzate, plasmate su modelli di leadership maschile.

E il futuro all’orizzonte non appare roseo. Mario Monti, autore della prefazione al libro “100donne contro gli stereotipi per l’economia”, mentre sottolinea l’enorme importanza che il merito e le competenze femminili rivestono ai fini della crescita economica, rileva la diffusione di un nuovo preoccupante fenomeno, ovvero una forte riduzione del numero delle donne che si dedicano agli studi di economia nel mondo anglosassone (in Italia invece non c’è ancora evidenza di un trend analogo). Questo passo indietro è legato alle troppe difficoltà di accesso ai livelli più alti della carriera: nel Regno Unito la percentuale di donne che studiano economia si è ridotta dal 30 al 26% dal 2000 ad oggi. Analogo trend viene rilevato negli Stati Uniti. Elinor Ostrom, unica donna premio Nobel per le Scienze economiche – tra le 48 donne premiate dal 1901 ad oggi – nel 2009 parlava di una realtà soltanto “slowly changing”, e forse è un giudizio ottimistico. Tuttora secondo un recente report della London School of Economics le accademiche dell’ateneo, a parità di anzianità e produttività scientifica, guadagnano in media l’11% in meno dei colleghi maschi. Secondo Oriana Bandiera, che insegna alla London School of Economics, una delle nostre intervistate che ha partecipato al report, il gap sale addirittura al 30% se consideriamo gli accademici ai vertici. Analogamente la Bce, nella sua recente analisi sul progress on gender target rileva che la percentuale di donne nel senior management si ferma al 17%, lontana dall’obiettivo del 24%, fissato per il 2019. È chiaro dunque che restano in atto meccanismi discriminatori sia nella progressione di carriera sia nella contrattazione dei compensi.

Il problema è che la scarsa presenza femminile nelle posizioni di vertice, e la mortificazione dei loro talenti, si traducono nella quasi totale assenza di un punto di vista femminile nel dialogo dell’economia con la politica e con i decisori pubblici. Pregiudizi e discriminazioni sulle donne hanno un costo importante: secondo un rapporto dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse) nei prossimi 8 anni il Pil mondiale aumenterebbe di 2 punti percentuali se fosse dimezzato il gap di partecipazione delle donne all’economia.

Dar voce e visibilità alle scienziate, alle economiste e alle donne competenti significa non soltanto far giustizia alle donne, ma anche contribuire alla crescita economica e sociale della società nel suo insieme. Sono questi, appunto, gli obiettivi che hanno ispirato e danno ragion d’essere al progetto 100esperte.

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