Più o meno equo? Il sistema fiscale dopo la detassazione dei premi di produttività e dei fringe benefit

Ruggero Paladini si occupa delle agevolazioni fiscali previste dalla legge di stabilità per i premi di produttività e per i fringe benefit. Dopo avere illustrato queste agevolazioni, Paladini ne esamina le conseguenze, sostenendo che esse favoriranno soprattutto i datori di lavoro privati e che nel complesso il sistema fiscale diverrà meno equo. Paladini conclude indicando un metodo alternativo per raggiungere l’obiettivo di sottrarre specifiche forme di retribuzione alle alte aliquote marginali.

La legge di stabilità 2016 ha reintrodotto la tassazione agevolata al 10% dei premi di produttività (o partecipazione agli utili), che era stata sospesa l’anno scorso. Si tratta di un ulteriore passo in avanti nell’opera di distorsione del sistema fiscale, progressivamente piegato a logiche agevolative, se non puramente elettorali.

La storia delle agevolazioni ai premi di produttività comincia nel 2008, inizialmente rivolta agli straordinari. Ricordo che all’epoca un funzionario della CGIL mi telefonò per pormi una domanda non banale: come mai viene data la scelta al lavoratore tra la tassazione separata al 10% o quella normale in Irpef, visto che l’aliquota al 10% è nettamente più bassa di quella del primo scaglione? La mia risposta fu che poteva benissimo esserci il caso di un lavoratore con un’aliquota media più bassa del 10%, per via di un reddito modesto e della somma di detrazioni da lavoro, per familiari a carico o per spese fiscalmente riconosciute (un quarto circa dei contribuenti sono ad Irpef zero). In questo caso la scelta dell’aliquota “agevolata” lo avrebbe in realtà penalizzato. Questo discorso è valido anche oggi.

L’ammontare massimo delle somme erogabili è diminuito; in precedenza potevano arrivare a 6.000 euro, mentre ora ci si limita a 2.000, o 2.500 nel caso in cui i lavoratori siano coinvolti nella gestione produttiva. In compenso la platea si è allargata, perché la remunerazione massima dei lavoratori agevolati è salita fino a 50.000 euro, per estendere l’agevolazione anche a impiegati e quadri.

E’ chiaro che i veri beneficiari dell’agevolazione sono i datori di lavoro del settore privato (come è noto sono esclusi i dipendenti pubblici, vuoi per l’impossibilità di misurare la produttività, vuoi perché ritenuti strutturalmente lavativi). Attualmente le detrazioni da lavoro subordinato, che si riducono al crescere del reddito, determinano aliquote marginali del 27,51% fino a 15.000 euro, del 31,51% fino a 28.000, e del 41,51% fino a 55.000. Se un datore di lavoro vuole mettere in busta paga 1.000 euro netti al dipendente, con le somme che finiscono in Irpef, dovrebbe erogare da un minimo di 1.380 euro (primo scaglione) ad un massimo di 1.713. Così invece se la cava con 1.111 euro.

Inoltre l’agevolazione attenua il pasticcio dovuto ai famosi 80 euro renziani. Infatti dai 24.000 ai 26.000 euro di imponibile Irpef i 960 euro annui scendono a zero (un’aliquota implicita del 48%, che si aggiunge a quella del 31,51%). Ora in quella fascia di reddito ci sono circa un milione e mezzo di lavoratori, in maggioranza privati; l’elargizione di somme fuori Irpef permette loro di godere, in tutto o in parte, degli 80 euro. Ovviamente il professore di scuola (dipendente pubblico) che accetta di far parte di una commissione di esami – così incrementando il suo imponibile – rischia di perdere l’80% del compenso.

Ma c’è di più: la legge ha stabilito un’ agevolazione ancora più corposa per i fringe benefit di cui all’art. 51 del TUIR, che vengono completamente esclusi dalla tassazione, se sono il frutto di contratti aziendali o territoriali. Si tratta di ampia gamma d’interventi che riguardano l’istruzione, l’assistenza (asili nido, borse di studio a familiari, ecc…), i prodotti dell’azienda, i contributi ad assicurazioni e i fondi pensione. Tutti questi interventi, non soltanto godranno della totale detassazione, ma non andranno neppure conteggiati – come anche i premi di produttività – nel calcolo dell’ISEE. Istituto, quest’ultimo, che era stato da poco rivisto, per impulso soprattutto di Cecilia Guerra, con l’idea di farvi rientrare tutte le diverse entrate, a qualunque titolo, che affluiscono al budget familiare.

C’è da dire che per questa misura sono stati stanziati 430 milioni per il 2016 e 589 per i due anni successivi; si tratta di cifre modeste, ma è facile prevedere che la tendenza sarà quella di far lievitare i 2.000-2.500 euro di agevolazione, come robusto aiuto all’eliminazione dei contratti nazionali. In futuro, quindi, le risorse per la detassazione dei premi e dei fringe benefit si aggiungeranno a quelle per la detassazione della “prima casa”, picconando logica e coerenza del sistema tributario.

Se il governo riteneva proprio necessario ridurre l’effetto delle aliquote marginali su alcune forme di erogazione di redditi (in denaro o in natura), poteva ricorrere ad un criterio che ricordo di aver studiato, oltre cinquanta anni fa, sul testo di Scienza delle Finanze di Cesare Cosciani. Gli aumenti di reddito vengono sommati al reddito preesistente, viene poi calcolata, in base agli scaglioni, l’aliquota media (rapporto tra imposta netta e reddito) e, infine, quest’ultima si applica agli aumenti in questione. Questi ultimi quindi ottengono un trattamento di favore, perché l’aliquota marginale sarebbe comunque maggiore di quella media (è una caratteristica della progressività), ma in questo modo verrebbe rispettato un chiaro criterio equitativo; infatti, i lavoratori con remunerazioni più basse otterrebbero un vantaggio maggiore rispetto agli altri.

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