Personal Flat Tax? No, grazie

Fernando Di Nicola interviene nel dibattito sull'opportunità di introdurre una flat tax (Irpef ad una sola aliquota) originato da una proposta dell'Istituto Bruno Leoni. Dopo aver esaminato i diversi possibili obiettivi di una flat tax, Di Nicola sostiene che se si continua a perseguire l’obiettivo redistributivo di un sistema tax benefit, è decisamente preferibile riformare l'Irpef intervenendo su aliquote e scaglioni, salvaguardandone la progressività, e prevedendo assegni ad hoc meglio disegnati per il sostegno ai carichi familiari e per contrastare la povertà.

Nel mese di luglio l’Istituto Bruno Leoni (IBL), ha avanzato una proposta, curata da Nicola Rossi, che ha richiamato nuovamente l’attenzione sulla flat tax, cioè un’imposta personale sul reddito che, nella varietà delle accezioni, si caratterizza per prevedere una sola aliquota.

La proposta ha sollecitato molti ed autorevoli interventi, con opinioni e tagli differenziati, tra i quali quelli di Vincenzo Visco, Franco Gallo, Massimo Baldini e Silvia Giannini, Alberto Zanardi, Enrico De Mita, solo per citarne alcuni.

Il tema non è nuovo e suscita ondate di attenzione che, però, non sempre si sofferma sulle motivazioni di fondo a favore o contro questa particolare forma (i matematici direbbero “degenere”) di imposta personale progressiva. Peraltro, da diversi anni sono prospettate altre riforme del sistema tax benefit, anche sul Menabò, sulla base di differenti criteri ed obiettivi, come delineati, tra gli altri, da Baldini, Giannini e Santoro.

In questo articolo intendo richiamare i principali argomenti a supporto della flat tax e spiegare perché alcuni di essi sono, almeno parzialmente, infondati, mentre altri sono, più semplicemente, non condivisibili, perché in contrasto con alcuni valori, con diversi obiettivi di politica economica e sociale, e anche con i vincoli esistenti.

Una lista degli aspetti da considerare per valutare le caratteristiche di un’imposta personale progressiva (espressione che pare più completa delle anglofone Personal o Comprehensive Income Tax) dovrebbe includere senz’altro i seguenti obiettivi: coesione sociale e azione redistributiva; capacità di esercitare l’azione redistributiva tra i diversi strumenti di prelievo; efficienza in termini di produzione ed offerta di lavoro; equità/iniquità orizzontale, o, più esplicitamente, capacità/incapacità di considerare e tassare progressivamente tutti i redditi anziché il solo sottoinsieme costituito dai redditi di lavoratori dipendenti e pensionati; infine, semplicità e comprensibilità (argomento “buono per tutte le stagioni” ed in particolare richiamato come cappello di ogni legge di riforma negli ultimi 25 anni).

In una economia di mercato, nella quale gli agenti economici competono per produrre ed attribuirsi quote di reddito, appare ai più cruciale che, oltre a regole del gioco certe e corrette, la coesione sociale sia assicurata da una azione redistributiva che attenui la diseguaglianza generata dalla distribuzione primaria del reddito tra i fattori di produzione.

Questo obiettivo è in realtà condiviso sostanzialmente da tutti, e i diversi orientamenti si confrontano solo sul come perseguirlo. In Italia perfino la Costituzione prevede che il sistema fiscale (nel suo complesso) sia ispirato a criteri di progressività, cioè di prelievo percentualmente crescente al crescere del reddito globale personale. Una prima distinzione avviene tra chi ritiene centrale l’imposta personale progressiva e chi preferisce attenuarne o eliminarne la progressività a favore di altre componenti di prelievo. Ma nel sistema italiano appare difficile sostituire la forte azione redistributiva realizzata dall’Irpef: la seconda imposta italiana, l’IVA, è infatti sostanzialmente proporzionale rispetto al reddito, nonostante sia strutturata in quattro aliquote ben diverse, mentre le altre imposte sono quasi sempre regressive o di ammontare modesto per generare un’azione di rilievo.

Su questa considerazione c’è ampio consenso, ed in effetti anche i cultori della flat tax preferiscono proporla spesso in versioni che attraverso alcuni tratti di corredo – principalmente abbattimenti dell’imponibile o dell’imposta concentrati sui redditi più bassi, fino alla previsione di un assegno agli incapienti, cioè di un’imposta negativa – ne preserverebbero la progressività.

Ma, ed è un aspetto tecnico di rilievo su cui si sono soffermati diversi dei citati commentatori del progetto di riforma IBL, anche una flat tax temperata da abbattimenti di imponibile o imposta presenta sempre il difetto di ridurre drasticamente, ceteris paribus, il carico sui redditi alti e altissimi, per i quali, assente l’effetto correttivo di detrazioni e deduzioni decrescenti prima e dopo l’eventuale riforma, resta come impatto differenziale solo l’abbassamento dell’aliquota marginale più elevata (unica, con riforma) gravante sulla maggior parte del loro reddito.

Inoltre, la flat tax redistributiva con il citato abbattimento è comunque più “rigida”, più difficile da disegnare per ottenere l’impatto desiderato ai diversi livelli: la consistente area esente genera infatti uno sgravio maggiore o uguale per i bassi redditi (attraverso un abbattimento di imponibile o imposta sufficientemente grande da ottenere progressività) e quelli alti (come visto beneficianti di un’aliquota unica necessariamente inferiore a quella massima ante riforma). Ne deriva, sempre a parità di gettito, che risultano colpiti i redditi intermedi, un effetto quasi sempre, e comprensibilmente, taciuto dai proponenti.

Ma se si ricorre ad un’aliquota unica e poi si è costretti ad introdurre correttivi per la progressività, senza ottenere comunque la necessaria articolazione desiderata e subendo comunque i citati effetti indesiderati, perché ricorrere a questo strumento? L’attenzione si può spostare allora sul disincentivo che un’Irpef chiaramente progressiva eserciterebbe sulla produzione e sull’offerta di lavoro. Anche in questo campo gli argomenti non appaiono convincenti: si è consolidata tra esperti e studiosi la consapevolezza che l’influenza di aliquote marginali più elevate sull’offerta di lavoro è elevata o significativa a bassi livelli di reddito e per le donne in particolare, non ad alti livelli, per i quali anzi risulta sostanzialmente ininfluente. Dunque, a parità di gettito, un’Irpef progressiva garantisce aliquote più basse alle quote di popolazione più reattive, che risulterebbero perciò più propense ad entrare nel mercato del lavoro o ad accrescere il proprio tempo di lavoro.

Ma l’argomento più usato è senza dubbio quello di un Irpef ormai gravante sui soli dipendenti e pensionati, un’imposta “di specie”, anziché sulla globalità dei redditi, che non avrebbe perciò più ragione di essere così progressiva.

È vero che l’Irpef nasce con un’importante tipologia di redditi (quelli finanziari) esclusa per legge dall’imponibile, così come è indubbio che negli ultimi anni anche quote consistenti di redditi da fabbricati e in misura minore da impresa sono usciti dall’imponibile, in quanto gravati oggi da imposte patrimoniali o sostitutive (come d’altronde è accaduto anche per piccole quote da lavoro dipendente).

Tuttavia, nonostante queste attenuazioni della logica dell’imposta personale progressiva, essa riesce ancora a svolgere un’importante azione redistributiva su ampia parte dei redditi: se guardiamo all’insieme dei redditi complessivi, l’81% di quota da lavoro dipendente e da pensione, tante volte citato come indiscutibile segno della natura di specie di questa imposta, corrisponde esattamente alla nutrita quota di percettori dipendenti e pensionati. E se ripetiamo il ragionamento con i redditi da impresa e da libera professione, osserviamo che quel 9,9% di contribuenti dichiara l’11,6% del reddito complessivo, cioè una quota maggiore del proprio peso numerico.

Se ci si concentra sulla classe di redditi più elevati, cioè superiori a 75mila euro e gravati dall’aliquota marginale massima del 43%, si stima che autonomi ed amministratori di società (lo 0,6% del totale contribuenti) dichiarino circa 41 miliardi (il 5% del reddito complessivo), contro i 55 miliardi (il 6,7%) di dipendenti e pensionati nella stessa classe (1,2% dei contribuenti). In pratica, autonomi ed amministratori nella classe ad aliquota più elevata dichiarano 7,7 volte il proprio peso numerico, mentre dipendenti e pensionati sono a 5,5 volte, così confermando che, anche nelle fasce di popolazione più abbiente, l’Irpef non sia un’imposta a carico dei soli dipendenti e, anzi, sia significativa la progressività operante su alti redditi da lavoro autonomo.

Dunque, sebbene possa essere auspicabile una “comprehensive” income tax che riconduca a sé quote di reddito troppo facilmente escluse – e la stessa ipotesi di riforma IBL ricondurrebbe ad Irpef i redditi da fabbricati che sono stati esclusi – e nonostante l’evasione attenui l’azione redistributiva disegnata con l’Irpef, siamo lontanissimi dall’esistenza di una mera imposta di specie che giustificherebbe l’abbandono o la forte riduzione della progressività.

Resta infine l’argomento della semplicità che una flat tax introdurrebbe, in contrapposizione con l’estrema complessità ed astrusità della normativa vigente. Anche qui non si può che condividere l’esigenza di semplicità, che spesso si porta dietro l’altro obiettivo auspicabile della trasparenza.

Tuttavia, da una parte, una flat tax che voglia perseguire la progressività deve introdurre i citati elementi di articolazione e soprattutto una riduzione della percepibilità del carico (quando l’aliquota media deriva da un abbattimento di imponibile, magari decrescente, più che dall’aliquota nominale unica, è difficile per il contribuente comprendere quale essa sia); dall’altra, invece, non esiste alcuna ineluttabile relazione tra progressività e complessità: l’attuale normativa è frutto del cumularsi negli anni di mille modifiche e pressioni guidate più da esigenze propagandistiche che da un tax design pensato, ma analoghi obiettivi di redistribuzione potrebbero ben essere realizzati da un’Irpef con aliquote e scaglioni trasparenti, magari accompagnati da detrazioni ad hoc fisse e da un ridisegno del sostegno ai carichi familiari mediante assegno.

Per questo insieme di motivi appare auspicabile progettare disegni di riforma coerenti, redistributivi, trasparenti e non inutilmente complessi, dell’Irpef e più in generale del sistema di imposte e benefici per le persone, senza ricorrere ad una flat tax che, nel tentare con poca efficacia di risolvere alcuni problemi, ne creerebbe altri più rilevanti.

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