Perché un nuovo “Manifesto per l’Europa”?

Pietro Greco e Settimo Termini illustrano il Manifesto per un’Europa di progresso, pubblicato di recente per iniziativa di un gruppo di scienziati con lo scopo principale di contribuire a superare il momento critico che attraversa il processo di costruzione politica dell’Europa. Ricordando che il Manifesto intende essere l’inizio di un percorso, essi sottolineano il ruolo della scienza non soltanto nella promozione dello sviluppo economico ma anche nell’abbattimento delle frontiere e nell’affermarsi della democrazia.

L’origine di Un Manifesto per un’Europa di progresso risale ad alcuni mesi fa quando, riflettendo sulla contraddizione del sempre più vasto (e generico) disincanto verso l’idea di Europa proprio nel momento in cui più vi sarebbe bisogno di costruire e rafforzare una visione critica e consapevole di una necessaria unità, ad alcuni di coloro che sono elencati come “promotori” emerse il ricordo di episodi del passato. Anzi, potremmo dire che questi emersero con forza proprio come immagini.
Una di queste immagini è la stesura del Manifesto di Ventotene, a cui si associa quella del Manifesto di Einstein e Nicolai. Entrambi scritti in condizioni difficili e con rischi per gli autori; entrambi visionari – e “profetici”, saremmo tentati di scrivere – con una straordinaria capacità di guardare oltre le limitazioni e le storture del presente, indicando non fantasie inattuabili ma “cose” possibili; manifesti scritti, significativamente, uno all’inizio e il secondo quando si avviava a conclusione quella grande tragedia che qualcuno ha chiamato guerra civile europea.
L’altra immagine è quella delle riunioni degli scienziati italiani nell’Ottocento, la prima delle quali si tenne a Pisa nel 1839 e che contribuirono al processo dell’unificazione dell’Italia.
Siamo tutti d’accordo che il contesto nel quale oggi ci troviamo è completamente diverso da quello delle immagini evocate. Ma è possibile, nonostante tutto, prendere spunto da questi avvenimenti così significativi (anche se temporalmente ormai remoti) per superare questo momento critico che sta attraversando il processo di costruzione politica del’Europa? Noi pensiamo di sì e questo ha dato origine all’iniziativa che qui commentiamo.

Desiderando sintetizzare al massimo ciò che a nostro avviso rappresenta il Manifesto per un’Europa di progresso potremmo dire che esso è la composizione e il punto di equilibrio fra varie esigenze espresse (in molti casi non in modo esplicito) dal momento che stiamo vivendo. La scienza – da sempre – per svilupparsi e dare i suoi frutti migliori ha bisogno di abbattere le frontiere. Nel medesimo tempo, la diffusione di un modo di pensare aperto, critico e non dogmatico è un forte antidoto contro oscurantismi e autoritarismi risorgenti e sempre in agguato. Dobbiamo saperli riconoscere – come ci ha ammonito a fare Ingmar Bergman nel suo “L’uovo del serpente” – quando questi mostri sono ancora allo stato embrionale. E cosa può insegnarci a farlo più di una mentalità critica?

Ma la scienza è anche modo e mezzo per migliorare le nostre condizioni di vita e del livello di sviluppo economico. E oggi, con tempi dell’innovazione che sono sempre più brevi, una competizione economica autentica, stabile, strutturale può avvenire fondamentalmente solo utilizzando ricerche di frontiera, attraverso l’innovazione tecnologica. Processi tanto più stabili ed efficaci quanto più basati su una conoscenza puntuale dei processi coinvolti e delle potenzialità, limiti e implicazioni delle tecnologie in gioco. C’è chi in Europa ha già capito questo e ha agito di conseguenza, altri paesi – tra cui il nostro – o non hanno capito o, per strani motivi, non hanno agito. Ritorneremo su questo tema alla fine dell’intervento. In un momento di crisi è importante comprendere che un’azione coordinata e congiunta in tal senso – a scala continentale, di tutta l’Europa, dunque – è l’unica strategia che nel medio e lungo periodo può rafforzare tutti. Il nostro Paese deve farlo prima e più di altri ma non in contrapposizione agli altri. E’ importante capire che non ci si salva da soli e anche questo è un insegnamento indiretto della diffusione del pensiero scientifico. Uno sforzo collettivo è quello che solo può permettere di difendere e rilanciare un modello di conoscenza e di civiltà che nel corso dei secoli ha delineato caratteristiche uniche e che, nella situazione geopolitica attuale, rischia di essere sconfitto. Una generazione, la generazione Erasmus, ha imparato a conoscere i vantaggi e anche la bellezza di vivere in uno spazio culturale ampio, che mantiene e valorizza le diversità abolendo le frontiere.

Altro dato da rilevare, è che il nostro nasce come manifesto degli scienziati. Questa sua origine – che intendiamo sottolineare – non deve essere vista come chiusura, ma piuttosto come offerta a tutta la società di alcuni valori significativi: l’abitudine al dialogo, l’apertura verso punti di vista nuovi, e a prima vista paradossali, che vanno contro il senso comune, unite all’abitudine al dibattito critico, al sottoporre a controllo spietato sia le affermazioni apparentemente più plausibili e banali sia quelle più eterodosse, innovative e insolite. Qualcuno potrebbe obiettare che non tutto nella pratica scientifica avviene rispettando questi criteri. E’ vero, ma complessivamente questi criteri hanno un forte impatto sulla comunità nel suo complesso (che li ha in buona parte interiorizzati) e porta la comunità stessa, se non i singoli, a individuare e ad applicare meccanismi di autocorrezione. Questi principi – che Robert Merton indica come valori –, hanno molto in comune con i principi della democrazia.
Uno sviluppo, una diffusione e una maggiore conoscenza dei principi e dei risultati della scienza nelle sue varie e diverse articolazioni disciplinari non può che aumentare il controllo democratico sulla scienza stessa, controllo non sui contenuti, ovviamente, ma sulla coerenza tra quanto enunciato e quanto fatto, anche a livello metodologico, nonché sull’uso sociale dei suoi risultati.

Il Manifesto degli scienziati sottolinea alcuni principi generali – che possono avere utili conseguenze per affrontare i problemi di oggi – e su cui esiste un consenso ampio. Poi ciascuno è chiamato ad arricchire nello specifico questo programma generale. Nel Manifesto si è fatto riferimento specifico a due antecedenti illustri – al Manifesto di Einstein e Nicolai, al Manifesto di Ventotene – su cui tutti non possiamo che essere d’accordo. Ma riteniamo che sia importante e necessario integrare questi riferimenti con altri spunti e posizioni che possono ulteriormente arricchire il quadro. Anche con suggerimenti su cui non c’è completo accordo. Questo perché non dobbiamo avere paura di posizioni diverse su problemi specifici – anche di grande portata. La diversità rappresenta una ricchezza – altro insegnamento che proviene dalla tradizione scientifica – se è unita al confronto fra le idee, la loro espressione in termini rigorosi, la loro verifica con la realtà.

D’altronde, come è stato da più persone sottolineato durante la presentazione al CNR lo scorso mese di aprile, questo non è che l’inizio di un percorso e, anche se il territorio nel quale vogliamo muoverci è quello indicato nel Manifesto stesso, all’interno di questo perimetro, come ricordava Machado, “el camino se hace andando”.

È necessario riprendere altri temi tra cui quello che dà proprio il nome a questa associazione e a questo sito, quello tra etica ed economia. E allora nella parte finale di questo tentativo di interpretazione personale del progetto e delle idee che stanno dietro al Manifesto ci permettiamo di mettere in evidenza due aspetti che non sono trattati in modo esplicito nel Manifesto stesso. Il primo è (apparentemente) una piccola divagazione, il secondo è un problema cruciale per l’Europa e in particolare per l’Italia, tema che avevamo cercato di “divulgare” nell’ormai lontano 2007 in Contro il Declino (Codice edizioni).

Quest’anno ricorre il 50° anniversario della morte di Norbert Wiener. Leone Montagnini, autore del più bel libro dedicato al padre della cibernetica (Le Armonie del disordine. Norbert Wiener matematico-filosofo del Novecento, Venezia, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, 2005), ha di recente ricordato alcuni aspetti etici del suo comportamento. La figura di Wiener è importante non solo per i suoi risultati scientifici in senso stretto, ma per la sua capacità di cogliere le connessioni col resto dei problemi della società, intravedendo prima di altri le conseguenze economiche e sociali dello sviluppo di nuove discipline. Ma la parte più interessante della lettura di Wiener che propone Montagnini riguarda il dialogo tra etica e scienza. Da tempo vediamo gli effetti negativi della mancanza di dialogo tra etica, economia e politica. Dobbiamo evitare che questa mancanza di dialogo investa anche il rapporto tra etica e scienza. Wiener vide prima di altri il problema, indicando i danni che ne derivano per la società ma anche per la stessa scienza.

E andiamo adesso a quello che riteniamo sia un nodo cruciale del rapporto scienza società in generale e che può essere un punto di forza per un nuovo rilancio dell’Europa; oltre che uno dei motivi per cui la crisi in Italia presenta caratteri più drammatici che in altri Paesi. Ci si lasci ancora aggiungere che se l’Italia non affronta seriamente questo problema (e prima ancora di affrontarlo lo riconosca come cruciale) non potrà uscire dalla crisi recuperando le posizioni raggiunte negli scorsi decenni. Il tema è quello dell’alta tecnologia e, per l’Italia, di un cambiamento del suo modello produttivo in tale direzione. Un tema tutt’altro che facile sia per il contesto italiano sia per le sue implicazioni a livello europeo. Un tema che è stato a lungo marginale o addirittura ignorato nella pubblicistica più diffusa nel nostro Paese, nonostante accurate analisi dell’Osservatorio sull’innovazione tecnologica dell’Enea e l’impegno di singoli ricercatori (vedi, per esempio, l’articolo di D. Palma). La notizia splendida è che proprio di recente è stato trattato in un libriccino (Società ed economia della conoscenza, Mnamon, 2014) all’interno del contesto che gli è proprio – oltre che in modo problematico e aderente alla realtà dei fatti (e non ripetendo luoghi comuni) – da Sergio Ferrari, a cui dovevamo già molti lucidi interventi puntuali. Un tema che riguarda pienamente gli scienziati e il loro ruolo pubblico. Siamo convinti che i temi da noi posti nel Manifesto per l’Europa aiutano a vedere problemi cruciali diversi in un contesto unitario e speriamo, per il bene dell’Italia e dell’Europa, che ancora una volta non venga perduta l’occasione di affrontarli con la dovuta serietà.

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