Per una riforma dell’IRPEF: copiare o imparare dall’estero? La tassazione personale danese

Francesco Figari e Carlo Fiorio osservano che nel dibattitto sulla riforma dell’IRPEF l’attenzione si è spostata dal modello francese a quello tedesco e ora quello danese. Figari e Fiorio descrivono gli elementi essenziali di quest’ultimo, riformato nel 2010, ne sottolineano le differenze principali con l’IRPEF, e sostengono che si tratta di un riferimento interessante, fondato su una base imponibile onnicomprensiva. È, tuttavia, importante tenere conto del complessivo sistema di tassazione e trasferimenti nel quale è inserita l’imposta personale, prima di copiarne alcuni elementi.

La tassazione personale sui redditi è presente in tutti i paesi sviluppati, e la sua struttura è in astratto semplice: si fonda su pochi e semplici parametri, tra cui numero e soglie degli scaglioni, aliquote per ciascuno scaglione, ammontare delle deduzioni e delle detrazioni, oltre che sulla definizione di base imponibile su base individuale o familiare, comprendendo tutte le entrate di reddito o solo alcune. Essendo tipicamente l’imposta più importante e di immediato impatto sui redditi disponibili personali, è stata oggetto di frequenti modifiche, spesso minime e parziali, in tutti i paesi sviluppati accrescendo molto il suo livello di complessità, come discusso anche in un recente contributo di Ruggero Paladini sul Menabò.

Spesso, nel dibattito pubblico sulle possibili riforme dell’IRPEF, invece che capire i problemi intrinseci del nostro sistema, spesso si tende a cercare soluzioni nell’adozione di modelli stranieri. Nel recente passato è stato in voga il modello francese di tassazione su base familiare invece che individuale. Più recentemente, è stato diffuso l’apprezzamento per il sistema tedesco, con una funzione d’imposta continua al posto della struttura semi-lineare in un numero finito di scaglioni. Oggi pare vada per la maggiore il sistema danese, seguendo le recenti riflessioni del Presidente del Consiglio Mario Draghi. A nostro modo di vedere l’adozione di un modello estero non è risolutiva dei mali dell’IRPEF. La comparazione con un modello estero non dovrebbe basarsi su una singola imposta o parte di essa, ma dovrebbe prevedere l’analisi del modello fiscale e di spesa pubblica estero nel suo complesso.

In un recente passato si è a lungo ragionato, nel dibattito politico e accademico, sull’opportunità di passare da una tassazione su base individuale a una su base familiare, come strumento per tenere meglio in considerazione le esigenze e la diversa capacità contributiva dei contribuenti con figli da quelli senza figli, partendo dall’osservazione che laddove usata (come in Francia) il tasso di fecondità è più alto che da noi. Tuttavia, una più attenta considerazione del modello francese evidenzia come l’effetto della tassazione sul reddito abbia un ruolo marginale nelle decisioni delle famiglie di avere figli. In particolare, il sistema del Quoziente familiare francese va a beneficio delle famiglie benestanti con tanti figli, mentre le famiglie meno abbienti con uno o due figli traggono vantaggio dai generosi trasferimenti monetari non veicolati attraverso l’imposta sul reddito. La tassazione su base familiare inoltre comporta una maggiore complessità di calcolo (richiedendo la conoscenza non solo del reddito del singolo contribuente ma anche di quello del coniuge), una riduzione dell’aliquota marginale del coniuge a più alto reddito (first-earner) e un incremento di quella del coniuge a reddito inferiore (second-earner), con un prevedibile effetto depressivo della partecipazione al lavoro delle donne (che spesso sono le second-earner), senza poter incentivare quella dei first-earner, che spesso già lavorano a tempo pieno. A nostro modo di vedere, queste caratteristiche rendono la tassazione su base familiare pericolosa per un paese come il nostro che ha una forte esigenza di incrementare la partecipazione femminile al mercato del lavoro.

Più recentemente, si è discusso molto del modello tedesco, e in particolare della funzione d’imposta continua per sostituire l’imposta a scaglioni oltre che la sostituzione delle principali detrazioni in deduzioni (si veda per esempio Longobardi, Pollastri e Zanardi, “Per una riforma dell’Irpef: la progressività continua dell’aliquota media”, Politica economica, 2020). Personalmente, abbiamo sempre visto come debole l’argomentazione secondo cui sarebbe più comprensibile una funzione d’imposta lorda che, in alcune sue parti fosse quadratica invece che lineare (a proposito si veda l’EUROMOD Germany Country Report, Table 2.19 in Gallego Granados e Olthaus, 2020 oppure l’European Tax Handbook dell’International Bureau of Fiscal Documentation secondo il quale l’imposta tedesca è applicata con aliquote progressive “under complex tables”). L’imposta personale tedesca rimane un’imposta estremamente complessa, soprattutto nella definizione della base imponibile per la presenza di un numero ampissimo, oltre 500, di deduzioni fiscali, frutto, anche in Germania, di stratificazioni continue nel tempo. Per altro l’argomentazione secondo la quale l’imposta in vigore in Germania sarebbe più trasparente e semplice non sembra essere robusta, in quanto gli stessi fautori di tale proposta riconoscono la necessità di utilizzare algoritmi di simulazione disponibili online per definire il debito di imposta individuale.

Concentriamoci invece ora sulla imposta sui redditi personali danese, oggetto di recenti attenzioni. In Danimarca ci sono due aliquote su tutti i redditi della persona fisica, compresi quelli da capitale immobiliare e reddito d’impresa. Solo i redditi da dividendi e plusvalenze sono soggetti ad un’imposta sostitutiva, tuttavia con un significativo grado di progressività, presentando una aliquota del 28% fino a 44.400 DK (circa 6000 €) e del 43% per redditi superiori. L’imposta personale sul reddito delle persone fisiche è formata da un’imposta nazionale a due scaglioni: il primo, sotto i 531.000 DK (circa 71.400 €), con aliquota al 12,11% e il secondo al 27,11%. Ad essa va aggiunta una imposta a livello municipale (in media pari al 25%). Per entrambe le imposte deve essere considerata una deduzione pari a 46.500 DK (circa 6.250 €). Esiste inoltre una Church Tax (volontaria e con un’aliquota di pochi punti percentuali), ma l’aliquota massima totale non può comunque superare il 52,5%. I redditi da lavoro (dipendente e autonomo) beneficiano di una deduzione aggiuntiva (EITC) pari al 10.5% del reddito fino a un massimo di 39.400 DK (5.300 €).

 

ImpostaScaglioniAliquota
Primo scaglione0 – 531.000 DK (71.420 €)12,11%
Secondo scaglione531.000 DK (71.420 €)27,11%
Municipal tax25% (media tra municipalità)

Fonte: EUROMOD Country report Denmark (Greve e Hussain, 2020)

Questa struttura dell’imposta è derivata da una riforma dell’imposta nazionale nel 2010 che ha portato gli scaglioni a due, partendo da una struttura a tre, con una riduzione del livello massimo delle aliquote nominali dal 59% al 52,5% e una riduzione del gettito, grazie a una limitazione della progressività.

Utilizzando il modulo danese di EUROMOD, il modello di microsimulazione fiscale dell’UE costruito da un network di ricercatori di cui facciamo parte, la Figura 1 mette in evidenza come il sistema del 2010 differisca da quello precedente, comportando una diminuzione nella progressività dell’imposta con un beneficio maggiore (misurato in termini di riduzione di aliquota media) per i contribuenti con reddito più elevato. Tuttavia, la medesima figura mostra anche come il sistema danese non sia privo di problemi e debba essere compreso meglio nella sua interezza. Ad esempio, è opportuno rilevare come la generosità del Reddito Minimo Garantito (soggetto anch’esso all’imposta) determini un problema di trappola della povertà, evidenziata da un’aliquota media sullo stesso relativamente elevata e pari a quella dovuta su un reddito da lavoro di circa 15.000 € all’anno. Inoltre, mostra come la progressività sia particolarmente ampia per livelli di reddito individuali inferiori a 24.000€, mentre sia decisamente minore per redditi più elevati.

Figura 1: Danimarca – Aliquota media 2009 e 2010

Nota: Aliquota media calcolata come somma delle imposte sul reddito rispetto alla base imponibile data da reddito da lavoro lordo + Reddito Minimo Garantito (imponibile). L’ordinamento sull’asse orizzontale considera solo il reddito da lavoro lordo (valori in euro). L’aliquota media introno al 25% per i redditi da lavoro bassi è dovuta al Reddito Minimo Garantito. Fonte: nostre elaborazioni usando EUROMOD I.3.0+

Confrontando la distribuzione dell’aliquota media in Italia e Danimarca nel 2019 con dati relativi alla reale distribuzione dei redditi nella popolazione e non più a contribuenti ipotetici, la Figura 2 mette in evidenza quanto il sistema di tassazione personale danese sia caratterizzato da un livello di imposizione fiscale molto più alto che in Italia e una differenziazione dell’aliquota media meno marcata, risultando sostanzialmente costante (compresa tra il 25% e il 30%) dal 10° al 90° percentile della distribuzione del reddito imponibile.

Figura 2: Distribuzione dell’aliquota media, Danimarca e Italia – anno 2019

Nota: Aliquota media calcolata per percentile della distribuzione del reddito imponibile. Fonte: nostre elaborazioni usando EUROMOD I.3.0+

È importante tuttavia rilevare come la redistribuzione a favore dei redditi medio-bassi avvenga in Danimarca attraverso la corresponsione di servizi e trasferimenti che operano al di fuori del sistema di tassazione personale. Questo è un fenomeno ben conosciuto in letteratura: i sistemi fiscali del nord-Europa hanno un valore alto dell’aliquota media e basso della progressività poiché la redistribuzione avviene non attraverso l’imposta ma bensì attraverso generosi servizi pubblici (asili, case di cura) e trasferimenti monetari finanziati dall’imposta stessa e non solo da contributi sociali. Si veda a riguardo la Figura 3 che mostra la relazione negativa tra tassazione media e progressività, qui misurata con l’indice di Kakwani, per alcuni paesi dell’UE.

Nel complesso, a nostro modo di vedere, l’esperienza danese è un esempio interessante per una serie di ragioni. Innanzitutto, in Danimarca la base imponibile è rimasta onnicomprensiva (comprehensive), come inizialmente era definita anche l’IRPEF italiana, senza l’introduzione di imposte sostitutive. L’unica imposta sostitutiva presente, quella sulla tassazione di dividendi e plusvalenze, rimane fortemente progressiva, con un’aliquota del 43% per redditi che superano i 6.000€ annui. Il confronto con il caso danese suggerisce inoltre che per rendere l’imposta più trasparente e comprensibile ai contribuenti, una strada può essere di ridare all’IRPEF il suo obbiettivo primario, ossia raccogliere risorse per finanziare sussidi e trasferimenti, togliendole ulteriori compiti quali la responsabilità di tutelare il benessere delle famiglie con figli, sostenere i redditi medio-bassi, incentivare l’acquisto della prima casa, che dovrebbero essere svolti da altri strumenti del sistema di tax & benefit. E’ importante imparare, non copiare, dalle esperienze degli altri paesi.

Figura 3: Progressività (indice di Kakwani) e aliquota media in Europa

Figari, F. e Verbist, G. (2014), The redistributive effect and progressivity of taxes revisited: An International Comparison across the European Union, FinanzArchiv usando EUROMOD.

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