Per cure sempre più mirate e personalizzate, investire nella Medicina di Genere

Eleonora Maglia, prendendo spunto dalla recente pubblicazione del Libro Bianco dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute della Donna, affronta il tema della Medicina di Genere, ricordando le evidenze alla base di questo approccio e il contributo in termini di equità che può dare al sistema sanitario. L’autrice illustra anche le iniziative finora attivate e, nelle conclusioni, sottolinea l’importanza di investire di più nella salute femminile, considerando anche il contributo decisivo delle donne alla crescita economica.

Le donne soffrono di depressione da due a tre volte più degli uomini – per cause ascrivibili a fattori ormonali ma anche sociali, come il multitasking e la violenza di genere – e le malattie cardiovascolari sono la prima causa di morte del genere femminile (48 per cento contro l’equivalente maschile pari al 38 per cento). Questi sono solo alcuni dei dati raccolti nel Libro Bianco realizzato dall’Osservatorio Nazionale sulla Salute della Donna, recentemente diffuso (ONDA, 2019, Dalla Medicina di genere alla Medicina di precisione, FrancoAngeli Editore), che, sottolineando la differente esposizione delle donne a determinati rischi e la differente efficacia delle cure mediche tradizionali, offrono lo spunto per riflettere sull’opportunità e sul ruolo della medicina di genere, tema che è necessario conoscere per i motivi che si vedranno nel prosieguo e per il quale sono necessari futuri approfondimenti tali da poter garantire politiche sanitarie più efficaci.

UN APPROCCIO RECENTE E BASATO SU EVIDENZE SCIENTIFICHE. Tradizionalmente la medicina ha avuto un orientamento andro-centrico, con studi clinici e farmacologici realizzati su una popolazione praticamente del tutto maschile e successivamente adattati alle donne. Tuttavia, le peculiarità biologiche influenzano anche massicciamente l’insorgere e il progredire delle patologie: ciò significa che molte malattie colpiscono in modo diverso donne e uomini e che, quindi, le diagnosi dovrebbero essere calibrate sul genere, posto che ciò condiziona anche l’efficacia delle terapie. Riprendendo il rapporto citato nell’incipit, infatti alcuni fattori di rischio (come il fumo e il diabete) hanno un impatto maggiore e causano una prognosi peggiore nelle donne. Sebbene ad esempio il tabagismo sia meno diffuso tra le donne (14,9 per cento contro il 24,8 per cento dell’equivalente maschile), è sufficiente un terzo del numero di sigarette fumato dagli uomini perché le donne siano esposte al medesimo rischio cardiovascolare. Inoltre, a parità di compenso glicemico, una donna con diabete sopporta un rischio cardiovascolare superiore del 44 per cento rispetto ad un uomo in egual condizione. In più, le malattie autoimmuni ed endocrine sono presenti nel genere femminile da 2 a 50 volte in più (ONDA, op. cit.). Partendo da queste evidenze, la branca di studi genere-specifica (o Medicina di Genere) cerca allora di indagare le differenze (anche socio-culturali) tra donne e uomini e di appurare la loro influenza sullo stato di salute o sulla malattia. Questo approccio è molto recente (il primo riferimento alla medicina di genere risale al 1991), ma negli ultimi anni gli studi di genere si sono diffusi a livello mondiale (OMS ha riconosciuto la Medicina di Genere nel 2000) e l’attenzione al tema è aumentata (con una prima sperimentazione riservata alle donne avvenuta negli Stati Uniti nel 2002). Anche la Commissione Europea e il Consiglio dell’Unione Europea hanno sollecitato la promozione di politiche sanitarie che rispettino le distinzioni di genere. Ciò sarebbe infatti di grande aiuto per garantire a tutti un approccio clinico, diagnostico e terapeutico più efficace e per applicare anche nel campo della salute il principio di diversità. L’obiettivo della Medicina di Genere è infatti garantire a tutti (donne o uomini) il miglior trattamento possibile sulla base delle evidenze scientifiche.

I PROGETTI ATTIVATI IN ITALIA. In Italia è l’Osservatorio Nazionale sulla salute della Donna a promuovere (dal 2005) una cultura medica di genere, valutando gli aspetti preventivi, oltre alle implicazioni economiche, politiche e sociali. Una rassegna dei progetti esistenti a livello regionale (Ministero della salute, 2016, Il genere come determinante di salute) ha individuato 23 iniziative –perlopiù finalizzate al trattamento dei casi di violenza di genere (11 casi), con attività specifiche svolte in pronto soccorso (6 casi) anche grazie a corsi di sensibilizzazione per gli operatori sanitari (5 casi)– e la Regione più attiva in merito è risultata il Piemonte (4 dei 23 progetti individuati). Per corroborare la possibilità che le prestazioni del Servizio Sanitario Nazionale siano omogenee per qualità ed appropriatezza anche in ottica di genere, il 31 maggio del 2019 la Conferenza Stato-Regioni ha approvato il Piano per l’applicazione e la diffusione della medicina di genere sul territorio nazionale. Qui vengono indicati obiettivi, attori e azioni lungo quattro linee di intervento (Percorsi clinici; Ricerca e innovazione; Formazione e Comunicazione) ed è prevista la costituzione di un Osservatorio dedicato (presso l’Istituto Superiore di Sanità) per assicurare l’avvio, il mantenimento nel tempo e il monitoraggio delle azioni del Piano stesso. Sul tema, poi, una recente novità (di inizio dicembre 2019) è l’inaugurazione del primo ospedale per la salute della donna in Italia (intitolato a Macedonio Melloni e sito a Milano, ispirato al Brigham and Women Hospital of Boston), dove si sperimenta un modello organizzativo dedicato interamente al genere femminile con percorsi specifici per le varie fasi della vita: sviluppo (11/18 anni); età fertile e riproduzione (19/50 anni); menopausa (45/50 anni) e senescenza (65 anni).

SCENARI DESIDERABILI D’UGUAGLIANZA. Affinché le cure possano essere a misura sia di donne che di uomini, un approccio di genere nel campo della salute richiede certamente un grande investimento. Si tratta infatti di reindirizzare un sistema molto consolidato e di farlo a diversi livelli (ricerca, raccolta statistica, promozione e comunicazione). Al riguardo è necessario, da un lato, individuare i fattori di rischio genere-specifici, rendere inclusivi i trials clinici e sviluppare nuovi percorsi di diagnosi e cura in tutte le aree della medicina e, d’altro lato, formare e informare il personale sanitario e l’utenza. Un primo passo in questa direzione consiste certamente nel riconoscere l’esistenza del problema e nel considerare la sua soluzione un obiettivo strategico di sanità pubblica, informando i diversi stakeholder attivi all’interno della sanità e della società, con l’auspicio che, una volta compresa la sua rilevanza, la medicina genere-specifica sia inclusa sempre più nel dibattito scientifico e politico.

COSA SUCCEDE SE LE DONNE SI FERMANO? L’8 marzo del 2017 anche in Italia l’Associazione Non Una di Meno ha promosso lo sciopero delle donne, per porre in luce il contributo fattivo (e in alcuni casi di fatto non remunerato) del genere femminile. A riguardo, a livello mondiale non mancano gli antecedenti (il primo in Islanda nel 1975), tutti con l’obiettivo di far risaltare l’importanza di quel contributo facendolo mancare temporaneamente. Non lascia certo indifferenti sapere che, ad esempio, secondo l’ILO, il valore del solo lavoro di cura (per il 76,2 per cento svolto tuttora dalle donne), calcolato utilizzando come base un salario minimo orario, superi gli 8 trilioni di dollari, cioè circa il 9 per cento del PIL globale (International Labour Organization, 2018, Care work and care jobs for the future of decent work). Assumendo che la domanda di lavoro per le donne si espanda e le occupate e le occupabili siano esposte a rischi di salute specifici, se nell’intera area OCSE l’occupazione femminile avesse la stessa incidenza che ha la Svezia, il PIL aumenterebbe di 6 trilioni di dollari. Inoltre, eliminando simultaneamente le diseguaglianze di genere nella formazione e nella retribuzione, nell’Unione Europea si otterrebbe entro il 2050 un incremento medio di circa il 10 per cento di PIL pro capite e un aumento dei tassi di occupazione di 4 punti percentuali (European institute for gender equality, 2017, Economics Benefits of Gender Equality in the European Union: Report on the empirical application of the model).

Le evidenze empiriche e le rilevazioni statistiche attestano da tempo l’importanza della salute per ottenere alti livelli di produttività nonché di benessere economico collettivo (Commissione europea, 2016, La salute e la sicurezza sul lavoro sono affare di tutti). Attualmente, solo un quinto della popolazione italiana risiede in cluster con livelli di benessere e competitività diffusi (Istat, 2019, Rapporto annuale), pertanto far sì che le cure, in caso di malattia, siano le più mirate possibili ha delle ricadute che non sono solo personali e di genere. In Italia, il Servizio Sanitario Nazionale è stato istituito da oltre 40 anni e, confrontandolo, ad esempio, con il sistema in vigore negli Stati Uniti (Dalla Zuanna, 2019, A volte le leggi funzionano, Neodemos), se ne possono apprezzare l’efficacia e l’efficienza in termini di maggiore aspettativa di vita (82 anni contro 74 anni), di minore mortalità infantile (3 per mille contro il 6 per mille) e di minore spesa procapite (2.400 euro contro 9.400 euro). Riflettendo sull’opportunità di integrare gli studi di genere potrebbero aprirsi prospettive di ulteriore miglioramento di un sistema già virtuoso, a vantaggio di tutti. Certo, per ottenere politiche più efficaci occorrono molti approfondimenti ulteriori, ma, intanto, conoscere l’esistenza del problema è il primo passo.

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