People At the Centre: il futuro di una sanità al servizio della persona

Giulia Morando e Stefano Dossi presentano un resoconto del Policy Forum sulla salute organizzato dall’OCSE a Parigi lo scorso 16 gennaio. Dopo aver ricordato le sfide più urgenti e i trend futuri più rilevanti per la prossima generazione di riforme sanitarie, gli autori sintetizzano le principali tematiche affrontate durante il Forum e sottolineano quanto sia rilevante adottare un nuovo approccio incentrato sulla persona, considerata la chiave per costruire sistemi sanitari accessibili, inclusivi e resilienti.

People at the Centre. Le persone al centro.

È stato questo il titolo dell’ultimo Policy Forum organizzato dall’OCSE a Parigi lo scorso 16 gennaio e riservato alle discussioni sul futuro della salute globale. Un’intera giornata dedicata, in cui più di cinquecento tra esperti, giornalisti, policy-maker e ministri hanno scambiato idee e proposte, confrontandosi sulle questioni da affrontare nella prossima generazione di riforme sanitarie.

Tante sono, in effetti, le sfide che il futuro sembra prospettare in tema di salute. Che cosa fare per valorizzare le potenzialità offerte dallo sviluppo delle nuove tecnologie in ambito sanitario? In che modo conciliare le esigenze di riduzione della spesa pubblica con una dinamica demografica che vede sempre più aumentare il numero degli anziani? Come progettare sistemi sanitari che siano davvero adeguati, accessibili e resilienti?

La risposta emersa durante il Policy Forum dell’OCSE appare chiara: in un’epoca – la nostra – caratterizzata da stili di vita e da patologie completamente diversi da quelli del secolo scorso, superare i modelli del passato diviene una necessità. Dalla concezione del rapporto medico-paziente, all’organizzazione della sanità, passando per le misure di qualità e per gli indicatori di performance. Come i business contemporanei sono stati in grado di reinventare i propri servizi verso una maggiore centralità del consumatore, insomma, allo stesso modo i sistemi sanitari di domani dovranno indirizzarsi verso l’offerta di cure e di trattamenti sempre più rivolti ai veri bisogni dei pazienti. People at the Centre, appunto.

Ma che cosa vuol dire questo concretamente?

“Mettere le persone al centro significa trattare i pazienti, i loro cari e chi se ne prende cura con compassione, dignità e rispetto”, ha spiegato così il Segretario Generale dell’OCSE Angel Gurrìa in apertura del Policy Forum. La scelta di approcci orientati alla persona richiede l’adozione di attitudini e di prospettive del tutto nuove nella pratica medica, in grado di cambiare i processi esistenti e di rivoluzionare principi e credenze. Con la diffusione di modelli people-centred, dunque, il paziente con la sua storia, i suoi valori, i suoi desideri e le sue paure diviene finalmente parte attiva del processo di cura, favorendo così la creazione di vere e proprie partnership con i professionisti dell’attività sanitaria. “Una persona non è una malattia” è stato d’altra parte il refrain dell’intera giornata organizzata dall’OCSE. Come spiegato da Donald Berwick dell’Institute for Healthcare Improvement, la centralità della persona non è semplicemente uno tra tanti parametri di misura della qualità dell’assistenza sanitaria, ma è “la porta d’ingresso a tutte le qualità”.

In questa prospettiva, allora, le esperienze stesse dei pazienti assumono nuova importanza nella misurazione del valore prodotto in termini di salute. Le economie dell’area OCSE, in media, riservano oggi alla spesa sanitaria il 9% del proprio PIL, pari a quasi tremilacinquecento dollari per cittadino: cifra destinata certamente ad aumentare nei decenni prossimi, di pari passo con l’innalzamento della speranza di vita e con il moltiplicarsi delle opzioni di trattamento innovative offerte ai pazienti. Secondo le stime del recente rapporto OCSE Health at a Glance, la percentuale della popolazione over-65 nei Paesi più sviluppati è infatti destinata a subire un notevole incremento nei prossimi decenni, raggiungendo il 27% nel 2050 (Health at a Glance 2015: OECD Indicators, OECD Publishing, Parigi, 4 novembre 2015). Gli anziani con più di ottant’anni, poi, costituiranno addirittura il 10% del totale contribuendo così a incrementare ulteriormente l’aspettativa di vita, pari ora a 80.5 anni. In questo senso, l’Italia spicca nelle classifiche dei Paesi più longevi con una speranza di vita alla nascita di 82.8 anni, piazzandosi al quarto posto dopo solo Giappone, Spagna e Svizzera. La corretta gestione di questi e altri trend e scenari futuri sarà certamente una delle grandi sfide degli anni a venire.

Già oggi, grazie anche allo sviluppo delle tecnologie favorito dalla rivoluzione digitale, i professionisti della sanità hanno accesso ogni giorno a una mole di dati immensa: dalla dimensione della spesa totale, al numero di persone trattate, fino alla tipologia di terapie praticate. Eppure, i sistemi sanitari sembrano essere ancora in ritardo nella raccolta di quelle informazioni sui risultati effettivi delle cure che, in fondo, rappresentano ciò che più conta nella valutazione della qualità del trattamento. Quanto ha sofferto il paziente dopo un intervento chirurgico al menisco? Quanto tempo ha richiesto la riabilitazione dopo un attacco cardiaco? E ancora, quali sono state le conseguenze psicologiche di una mastectomia? Di fatto, al giorno d’oggi, effettuare comparazioni a questo livello tra Paesi risulta ancora praticamente impossibile. Come ha ricordato durante il Policy Forum Michael Porter, docente alla Harvard Business School, conoscere i tassi mortalità post-operatoria e di sopravvivenza ai tumori è senza dubbio essenziale. Ma avere a disposizione informazioni sugli outcome funzionali, oltre che clinici, risulta indispensabile per rivoluzionare davvero il modo di concepire la creazione stessa del valore in ambito sanitario. A tal fine, l’OCSE ha appena lanciato PaRIS (Patient-Reported Indicators Survey), iniziativa su scala globale che avrà l’obiettivo di sviluppare indicatori di performance dei sistemi sanitari comparabili e fondati sulle esperienze dei pazienti stessi (S. Scarpetta, The PaRIS initiative: Helping healthcare policies to do better for patients, OECD Observer No 309 Q1 2017).

Valorizzare le singole storie dei pazienti è effettivamente un elemento essenziale di tutti i processi di cura incentrati sulla persona. Tanto più in uno scenario in cui è in aumento il numero di individui con bisogni complessi da curare: tutti quei pazienti, in altri termini, affetti da malattie croniche e che, nella maggior parte dei casi, presentano contemporaneamente molteplici disturbi. I dati in effetti parlano chiaro: le patologie croniche multiple colpiscono ormai più del 50% della popolazione over-65 della zona OCSE, con un’incidenza particolarmente elevata tra gli individui appartenenti alle fasce sociali più basse. Senza contare poi che, in un contesto di questo genere, tali disturbi si vanno spesso a sommare a problemi sociali e ad altre situazioni non mediche finendo per accrescere i bisogni degli stessi pazienti. Proprio per tale ragione, gli esperti sono concordi nel sostenere l’adozione di un approccio olistico in grado di offrire davvero la possibilità di accedere ai giusti servizi. Facile a dirsi, ma difficile a farsi. Tale prospettiva richiede infatti una vera e propria modifica strutturale dell’attuale sistema sanitario. Difatti, sebbene il numero sempre maggiore di specializzazioni mediche abbia portato negli ultimi decenni a un generale miglioramento in termini di efficacia nell’affrontare le patologie, dall’altra non ha fatto altro che accentuare il fenomeno della frammentazione in ambito sanitario (M. Wenzi, Complex patients: How healthcare must adapt to their needs, OECD Observer, No 309 Q1 2017). Attualmente, gli specialisti rappresentano in media ben il 62% della popolazione medica attiva nei Paesi OCSE. In Italia, la stessa cifra raggiunge addirittura il 77% del totale. A detta dei partecipanti al Forum, insomma, la struttura sanitaria ramificata di oggi non può più conciliarsi con i bisogni delle persone affette da patologie multiple.

A tal fine, dieci sono state le raccomandazioni presentate durante il Forum per indirizzare i policy maker nella progettazione di sistemi sanitari altamente performanti e focalizzati più sul paziente che sulla patologia in sé. Il documento, predisposto da esperti della London School of Economics e del Commonwealth Fund, identifica come priorità fondamentale lo sviluppo di un approccio coordinato in ambito sanitario, cruciale al fine di affrontare proprio il problema dell’eccessiva frammentazione. Identificati i pazienti con le patologie più complesse e i loro bisogni, dunque, due raccomandazioni incoraggiano a realizzare una maggiore integrazione tra servizi sociali e sanitari, tra cura fisica e mentale, e tra cartelle cliniche per facilitare la comunicazione tra medici e infermieri. Altre, invece, sottolineano l’importanza di un nuovo modello di sanità inclusiva, in grado di coinvolgere e di sostenere attivamente pazienti, familiari e professionisti nel processo di cambiamento stesso. Un’altra indicazione ancora, poi, sostiene la necessità di anticipare i trend demografici futuri aumentando il numero di medici generici e geriatri. Queste linee guida intendono essere la base di quel mutamento di paradigma spesso richiamato durante il Forum: mettere le persone al centro e quindi considerare i pazienti come esseri umani e non come semplici malattie da curare. Dopotutto, l’umanizzazione del paziente è una costante fondamentale in ogni percorso di guarigione. Ma come realizzare tutto ciò nella pratica? Due gli ingredienti fondamentali secondo gli speaker: ancora, ascoltare e coinvolgere il paziente, nell’unico modo in cui il medico può giungere a comprendere appieno le necessità e le problematiche della persona che gli sta davanti.

Tutte queste riflessioni sono state quindi alla base del vertice a livello ministeriale tenutosi sempre a Parigi il giorno seguente. Il 17 gennaio, infatti, i ministri della sanità dei Paesi OCSE e di Argentina, Colombia, Costa Rica, Kazakistan, Lituania, Perù e Sud Africa si sono riuniti con l’idea di condividere vedute e opzioni riguardanti l’implementazione della Next Generation of Health Reforms. Durante la conferenza, presieduta da Jeremy Hunt, Segretario di Stato britannico per la sanità, i rappresentanti degli Stati hanno concordato sul fatto che la salute non sia un elemento da considerare a sé ma che, anzi, sia un mattone fondamentale nella costruzione economica e sociale di ciascun Paese. I ministri hanno poi concluso ribadendo la necessità di quel cambio di paradigma nei sistemi sanitari enfatizzato durante il Policy Forum, favorendo maggiore inclusività, adattamento alle nuove tecnologie e, ancora, un maggiore orientamento verso la persona. Tali linee guida dovranno adesso essere traslate nella realtà dei sistemi sanitari di oggi, supportate dalla volontà politica e dal coinvolgimento di tutto il personale medico. Perché, come ricordato da Michael Porter al termine del suo intervento al Forum, “abbiamo parlato molto, e adesso è tempo di agire”.

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