Pensioni, indicizzazione e soglie di povertà

Laura Dragosei e Sergio Ginebri si occupano della progressiva erosione del potere di acquisto delle pensioni Inps liquidate che ha interessato sia le pensioni di importo medio-basso sia quelle di importo medio-alto. Dopo avere illustrato il fenomeno, i due autori individuano le cause di tale erosione non soltanto nella parziale indicizzazione delle pensioni di importo medio-alto e nella normativa fiscale ma anche nelle caratteristiche del paniere utilizzato per l’indicizzazione che non riflette pienamente la struttura dei consumi dei pensionati più poveri.

Negli ultimi anni si è verificata una progressiva erosione del potere di acquisto delle pensioni Inps liquidate, che ha interessato sia le pensioni di importo medio-basso che quelle di importo medio-alto. In questo articolo, basandoci  su un recente lavoro realizzato dal Centro Europa Ricerche per lo Spi-Cgil –  dal quale sono tratte  le elaborazioni che presentiamo – ci proponiamo di individuare le cause che sono alla base di questo fenomeno.

Il primo aspetto da considerare è la parziale indicizzazione delle pensioni di importo medio-alto.  Rispetto all’indicizzazione, sin dal 1986, solo le pensioni medio-basse sono state completamente adeguate all’inflazione. Per tutte le altre l’indicizzazione è stata parziale e distinta per fasce di importo. Pertanto, le pensioni superiori a determinate soglie hanno subito annualmente un’erosione del loro valore reale. Tale erosione sarà aggravata e accelerata dal meccanismo di indicizzazione introdotto dalla legge di stabilità per il 2014 in base al quale per le pensioni di importo medio-alto (oltre 3 volte il trattamento minimo Inps, pari nel 2015 a 1.507 euro lorde mensili) l’indicizzazione parziale non sarà più per fasce di importo, ma per importi complessivi. Ad esempio, per una pensione di 2.515 euro l’adeguamento è pari al 50 per cento dell’inflazione.

Nella tabella 1 vengono riportate le percentuali di indicizzazione per il triennio 2014-16. Nel grafico 1 l’andamento del potere di acquisto è stato ricostruito per il  periodo 1997-2015 e simulato nel quinquennio 2016-20, ipotizzando che il meccanismo introdotto dal 2014 rimanga inalterato e che il tasso di inflazione risalga al 2% entro il 2017. Dal 1997 al 2013 le pensioni fino a tre volte il minimo hanno mantenuto il loro valore reale al lordo della tassazione, quelle pari a sei volte il minimo hanno perso circa il 4%, quelle pari a dieci volte il minimo circa il 6,5%. L’applicazione del nuovo meccanismo accentuerà l’erosione del potere di acquisto delle pensioni medio alte. Nel 2020 quelle pari a cinque volte il minimo potrebbero ridursi di oltre l’8,5% rispetto al 1997, e quelle pari a dieci volte il minimo dell’11,5%.

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dragosei2Il secondo  fattore da considerare è quello fiscale.  A partire dal 2009, le pensioni basse e medio-basse hanno subito, al netto del prelievo fiscale, una perdita del potere di acquisto del 2,5%, da attribuire al mancato recupero del drenaggio fiscale e all’aggravio delle addizionali regionali e comunali.

La perdita di potere d’acquisto dovuta al fattore fiscale è ancora maggiore per le pensioni medio-alte. Considerando il prelievo fiscale diretto,  nel periodo dal 1997 al 2013, la perdita netta di un pensionato coniugato è stata pari a circa l’8,5% se la sua pensione era pari a 6 volte il minimo, e circa l’11,5% nel caso di trattamento pari a 10 volte il minimo (grafico 2).

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Dato l’andamento del potere di acquisto delle pensioni, è utile chiedersi in che misura in questi anni si sia estesa tra i pensionati l’area del disagio sociale se non della vera e propria povertà. A  questo scopo abbiamo analizzato le relazioni tra potere di acquisto delle pensioni e soglie di povertà.

Esistono due principali indicatori di povertà delle famiglie, basate sulla soglia della povertà relativa e di quella assoluta. L’Istat stima la povertà relativa basandosi sulla distribuzione della spesa per consumo delle famiglie. Viene considerata povera una famiglia composta da due persone che abbia un consumo mensile inferiore al consumo medio pro-capite, pari nel 2013 a 973 euro. Per una famiglia di ampiezza diversa la soglia di povertà viene calcolata applicando una scala di equivalenza. Ad esempio, nel caso di famiglia con un solo componente la soglia di povertà relativa era pari a 584 euro mensili nel 2013.

La soglia di povertà assoluta, invece, rappresenta la spesa minima necessaria per acquistare un paniere di beni e servizi considerato minimamente accettabile. L’Istat stima un insieme di soglie assolute al variare della dimensione e composizione per età della famiglia, dell’area geografica di riferimento,  della dimensione del comune di residenza. Nel 2013, per un adulto tra i 60 e i 74 anni che vivesse da solo al Sud, la soglia era pari a circa 500-600 euro, significativamente più bassa di  quella relativa ai  suoi coetanei residenti nel resto del paese, per i quali variava tra i 700 e gli 800 euro, qualsiasi fosse la tipologia di comune.

Va innanzitutto notato che sia la soglia di povertà relativa di un individuo che viva da solo, sia le soglie di povertà assoluta di un anziano sono superiori al trattamento minimo Inps, pari a 495 euro mensili nel 2013, come pure all’assegno sociale, pari a 442 euro. L’assegno sociale con maggiorazione e incremento, pari a  632 euro nel 2013, è invece quasi uguale alla soglia di povertà relativa anche se  inferiore alle soglie assolute per il Centro e il Nord d’Italia.

Ma al di là del valore delle soglie,  per stabilire se il meccanismo di indicizzazione abbia determinato una riduzione dell’area di povertà o, piuttosto,  un suo ampliamento occorre esaminare la dinamica di quelle soglie  in rapporto a quella dei trattamenti pensionistici. . A questo fine è la soglia assoluta l’indicatore più corretto da utilizzare. Infatti, l’andamento nel tempo delle soglie relative è strettamente connesso a quello del consumo medio e quindi del reddito pro-capite. Il differenziale di crescita tra soglia relativa e potere di acquisto delle pensioni basse riflette semplicemente l’assenza di adeguamento delle pensioni alla crescita del Pil o della produttività o dei salari. Questa assenza, peraltro, ha giocato a favore dei pensionati dal 2007 ad oggi, quando il consumo pro-capite e la soglia di povertà relativa di una famiglia con un solo componente hanno subito una riduzione del 15%, mentre le pensioni più povere hanno mantenuto il loro potere di acquisto.

Molto più ricco di informazioni è il confronto tra gli andamenti della soglia di povertà assoluta per un anziano solo che vive in una grande città, e quella delle pensioni medio-basse (grafico 3). Nel Centro Italia tra il 2005 e il 2013 il valore della soglia assoluta di povertà, in termini di indice generale dei prezzi, è cresciuto del 4,7%. Al Nord la crescita è stata dell’1,1%. Solo al Sud il valore reale della soglia si è leggermente ridotto. Nello stesso periodo una pensione pienamente perequata al lordo della tassazione ha mantenuto pressoché inalterato il suo valore reale, mentre al netto della tassazione si è ridotta di circa il 3,5%. L’area del disagio sociale tra i  pensionati si è, quindi, ampliata. Coloro che avevano pensioni al di sotto della la soglia di povertà assoluto hanno visto aggravarsi la loro condizione di povertà, altri si sono avvicinati alla soglia, o l’hanno addirittura superata.

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L’andamento divergente del valore reale delle pensioni pienamente perequate e della soglia di povertà assoluta fa pensare ad una rilevante disomogeneità di composizione tra il paniere dei consumi alla base del meccanismo di indicizzazione e il paniere dei consumi essenziali che definisce la soglia assoluta di povertà. Una conferma di tale ipotesi viene dall’osservazione di una nuova famiglia di indici dei prezzi fornita recentemente dall’Istat: gli indici dei prezzi al consumo per le famiglie, suddivise per classi di spesa (grafico 4).

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Tra il 2005 e il 2014 il paniere di spesa del primo quintile delle famiglie, cioè il 20% più povero nella popolazione delle famiglie italiane, ha avuto un incremento di costo relativo, in termine di indice generale dei prezzi, pari al 4%. Nello stesso periodo, il valore reale lordo di una pensione pienamente perequata è rimasto pressoché costante. Questo significa che il reddito lordo dei pensionati più poveri non ha tenuto il passo del costo del paniere di spesa delle famiglie più povere. In altre parole, l’indice del costo della vita per le famiglie di operai e impiegati, al quale sono indicizzate tutte le pensioni, non riflette il paniere di consumi dei più poveri e quindi l’inflazione effettiva per loro. Questo contribuisce ad aggravare le condizioni di disagio sociale dei pensionati poveri nei periodi di accelerazione inflazionistica.

In definitiva, l’operare congiunto del meccanismo di indicizzazione e del prelievo fiscale non ha protetto né i pensionati più agiati, né i più poveri. Questi ultimi, in particolare, hanno visto aggravarsi le proprie condizioni di disagio non solo a causa di un maggiore prelievo fiscale, ma anche perché il paniere di consumo utilizzato per l’indicizzazione non riflette l’effettivo andamento del loro costo della vita nei periodi di accelerazione dell’inflazione.

 

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