Pensionati part-time: un limbo previdenziale per coniugare sostenibilità finanziaria con libertà e diritti degli anziani

Fabrizio Patriarca presenta la proposta di “pensionamento graduale”, ovvero l’idea di consentire, superata una determinata età, di transitare verso forme di lavoro part-time fortemente agevolate prima di accedere alla pensione. Secondo Patriarca, questa proposta ha il pregio di coniugare la sostenibilità del bilancio pubblico previdenziale con la possibilità di tenere conto delle preferenze dei lavoratori anziani senza, al contempo, ridurre in modo sostanziale il loro reddito.

Puntuale come il cadere delle foglie, all’arrivo dell’autunno la questione pensionistica riprende centralità nel dibattito politico. Quest’anno la questione è resa più evidente dallo scadere di Quota 100, il principale canale di accesso alla pensione anticipata rispetto ai previsti 67 anni di età per quelle di vecchiaia.

Il tema di come affrontare l’allungamento dell’età pensionabile presenta tuttavia aspetti strutturali e richiederebbe quindi riforme anch’esse strutturali. Nel nostro paese si tende invece a nascondere la polvere sotto al tappeto con interventi ad hoc, di breve respiro e di scarsa razionalità nel loro impatto complessivo; interventi figli più delle necessità del bilancio annuale che di una valutazione in termini di diritti pensionistici maturati. Questo vale anche per gli interventi che si prefigurano quest’anno, incentrati su penalizzazioni più o meno arbitrarie.

È vero che coniugare aumento della speranza di vita e sostenibilità del sistema pensionistico non è semplice ma, come ha ricordato anche Mazzaferro sul Menabò, gli interventi ad hoc sui requisiti per il pensionamento anticipato che si sono susseguiti nel tempo, oltre a non aver risolto il problema di fondo, hanno avuto anche il difetto di creare un quadro frammentato, poco coerente e fortemente iniquo. Come ben noto in Economia Pubblica, tali criticità, sebbene non rare nel sistema della spesa pubblica italiana, assumono una particolare gravità in un campo, quello previdenziale, in cui certezze, sistematicità ed equità sono invece fondamentali.

Volendo affrontare la questione in modo diverso, occorrerebbe partire dall’immaginare un mercato del lavoro coerente con la soluzione del problema di fondo: un mercato del lavoro in cui si lavora a età mediamente più avanzate e in cui la transizione verso l’inattività possa avvenire rispettando quanto più le preferenze, le necessità e le aspettative dei singoli. Bisognerebbe allora partire guardando ai lavoratori ultra sessantacinquenni, una categoria relativamente nuova alle cronache.

Come abbiamo ricordato su queste pagine con Majlinda Joxhe, anche a parità di inquadramento e nella stessa azienda, i lavoratori anziani solitamente non svolgono le stesse attività dei giovani; è così anche perché i loro profili di produttività sono diversi, nel senso che sono meno produttivi in alcune attività rispetto ai più giovani, ma più produttivi in altre. La relativa occupabilità degli anziani è testimoniata anche dall’alto numero di pensionati che in Italia continuano a svolgere attività lavorative formali, circa un milione di persone. È vero, come ci ricorda il rapporto Inps sul Mercato del Lavoro, che l’occupabilità degli anziani varia molto da settore a settore, che non riguarda tutti e che si tratta di lavori spesso a tempo parziale. Ma se questo, da un lato, conferma la necessità di un sistema organico di flessibilità nell’età di pensionamento, dall’altro, suggerisce un’altra dimensione di questa flessibilità, quella della gradualità. Ad esempio, le esperienze di successo dei paesi nordici nelle politiche per l’invecchiamento attivo hanno coniugato questi due elementi. Un passaggio graduale all’inattività – ovvero fare in modo che al raggiungimento dell’età anziana non si sia obbligati a pensionarsi, ma si possa ridurre l’orario di lavoro – andrebbe incontro anche a due peculiarità degli anziani italiani che emergono dall’ultimo rapporto Ageing in Europe. Da un lato, nel nostro paese gli anziani sono quelli che più soffrono di solitudine, ed il passaggio improvviso all’inattività può contribuire fortemente a questo stato di disagio, soprattutto nelle aree urbane dove le reti sociali extra lavorative scarseggiano; dall’altro, gli stessi anziani sono quelli che più attivamente svolgono il ruolo di nonni, cosa che sicuramente ha delle radici nell’insufficienza dei servizi all’infanzia, ma ha anche degli aspetti positivi per il loro benessere, specialmente laddove la stessa mancanza di servizi ha precedentemente mutilato le esperienza genitoriali.

Date queste premesse, in questo contributo si intende rilanciare l’ipotesi di pensionamento part-time. L’idea è di consentire, superati i 64 anni di età, di passare al part-time (al 50% dell’orario di lavoro) ma con una perdita, in termini di salario netto, soltanto del 20% rispetto al full-time. Il meccanismo è basato su una sorta di “limbo previdenziale”. A chi scegliesse di andare part-time, i corrispondenti contributi a carico del datore e il TFR sarebbero corrisposti direttamente al lavoratore, che li tratterrebbe come salario netto insieme anche ai contributi a suo carico. La tabella 1 riporta una simulazione per diversi casi di lavoratori, tenendo anche conto degli effetti della misura sulle imposte versate. Il rapporto tra salario netto prima e dopo il passaggio al part time varia a seconda della classe di reddito e della struttura familiare ma si mantiene comunque al disopra dell’80%

Tabella 1: Simulazione dell’effetto sullo stipendio mensile netto del passaggio al “limbo” previdenziale

Stipendio mensile netto full-time Stipendio mensile netto part-time Rapporto stipendi netti part-time/full-time
Operaio con coniuge a carico 1,200 1,017 85%
Impiegato senza familiari a carico 1,600 1,378 86%
Dipendente Pubblico con coniuge a carico 2,400 1,999 83%
Dirigente senza familiari a carico 3,500 2,838 81%

 

Si noti che per le imprese continuerebbero sostenere un costo commisurato al tempo di lavoro del pensionato che passa al part-time (in questo caso, dunque, il 50% del costo del lavoro).

La misura non avrebbe inoltre alcun effetto sulla sostenibilità di lungo periodo del bilancio del sistema previdenziale in quanto i contributi non versati non verrebbero aggiunti al montante contributivo, ovvero, non costituirebbero ulteriori diritti pensionistici per il lavoratore. Tuttavia, al contrario delle proposte che circolano al momento, non ci sarebbe alcuna penalizzazione sull’importo della futura pensione che, anzi, sarebbe più alta della pensione maturata al momento del passaggio al part-time per effetto della maggiore età al pensionamento che agisce sulla quota di pensione calcolata col sistema contributivo. Inoltre, all’ingresso nel “limbo” previdenziale il lavoratore potrebbe sbloccare l’eventuale pensione complementare, integrando ulteriormente il reddito, incassando da subito il TFR maturato.

La possibilità di un graduale passaggio all’inattività non solo attenuerebbe alcuni traumi che si registrano per il repentino cambio di vita, ma avrebbe anche altri vantaggi: permetterebbe a chi volesse e potesse costruirsi un’attività lavorativa diversa, in proprio o anche di collaborazione col datore precedente di disporre del tempo necessario per realizzarla;, darebbe la possibilità di svolgere l’attività di nonno anche a chi non avesse ancora maturato i 67 anni o una pensione soddisfacente; favorirebbe l’impiego degli anziani in mansioni tipiche della loro età, inclusa la formazione dei più giovani.

Seppure nel lungo periodo il costo per lo stato è nullo (i contributi non versati non vengono inclusi nel computo delle pensione futura), ci sarebbe un costo anticipato nel breve, in termini del mancato introito dei contributi, ovvero circa il 16% del costo del lavoro prima del pensionamento. Tuttavia, anche in questo caso, la proposta sarebbe molto più vantaggiosa di quelle attuali, che hanno un costo molto più elevato perché alla perdita di contributi si aggiunge l’intera pensione da corrispondere. Allo stesso tempo, con un piccolo artificio contabile, se la medesima spesa di breve periodo non venisse poi recuperata nel lungo periodo grazie al minore importo delle pensioni dei “pensionati graduali”, si potrebbe finanziare un altro strumento previdenziale. Formalmente i contributi non versati figurerebbero come fiscalizzati (come per gli incentivi all’occupazione), solo che invece che essere attribuiti al conto virtuale del pensionato part-time, sarebbero attribuiti ad un fondo di sostegno alle pensioni di chi ha avuto delle carriere lavorative fortemente discontinue. In questo modo si rafforzerebbe il patto intergenerazionale con una staffetta graduale sia sul posto di lavoro che in termini di diritti pensionistici.

Schede e storico autori