Paolo Leon: rafforzare l’Europa per affrontare la crisi

Il prof. Paolo Leon ha tenuto la “lezione” di febbraio nel corso della serie di incontri organizzati da “Etica ed Economia” sui temi della crisi economica.

Leon ha affrontato il tema guardando all’Italia e all’Europa con una critica decisa al permanere di una linea sostanzialmente thatcheriana che è quella che ha innescato la crisi.

Le dimensioni del settore pubblico ha evitato finora che la crisi attuale assumesse le caratteristiche distruttive di quella del 1929. Oggi nel momento in cui la crisi morde l’economia reale, continua e si aggrava in Europa la grave erosione del settore pubblico e dello stesso Stato Sociale che caratterizza le economie occidentali dall’inizio degli anni ‘80. Questo è il paradosso illustrato da Paolo Leon il quale ha anche rilevato l’impressionante somiglianza del dibattito odierno con quello di ottanta anni fa. Fatto che non rende certamente ottimisti circa gli sviluppi della crisi. Leon ha sottolineato in particolare come l’Europa abbia solo armi spuntate e non sembri cosciente che senza un apparato adeguato e un progetto sarà impossibile garantire risposte tempestive – ma capaci di incidere anche sul futuro – a  fronte di un gigantesco mondo finanziario che sopravvive a se stesso, dell’instabilità della globalizzazione e dell’avanzare di nuovi assetti geopolitici.

Per preparare l’uscita dalla crisi occorre in primo luogo ripensare lo statuto della Banca centrale europea, che attualmente si preoccupa esclusivamente della stabilità monetaria, mettendo in secondo piano – ovvero subordinandoli all’obiettivo della lotta all’inflazione – tutti gli altri obiettivi (livello di attività, occupazione, stabilità). Leon ha paragonato il comportamento della Bce a quello di un operatore ecologico che vedendo della spazzatura pochi centimetri oltre il marciapiedi di sua competenza, si gira dall’altra parte perché esegue alla lettera ciò che gli è stato ordinato.

Come prova suprema dell’ottusità del comportamento dell’istituto di Francoforte Leon ha ricordato il comportamento della Bce del luglio 2008: era ormai chiaro che la crisi finanziaria iniziata un anno prima stesse per avere conseguenze nefaste sull’economia reale. La Banca centrale decise però di aumentare il tasso di interesse di riferimento dal 4 al 4,25% per contrastare gli effetti dell’inflazione importata: quindi la politica monetaria in quel caso, invece di fronteggiare un ciclo che si preannunciava negativo, rafforzò la tendenza negativa.

Anche lo strumento della politica fiscale nei paesi dell’Ue andrebbe assolutamente rivisto; la politica fiscale è oggi definita a livello nazionale, il coordinamento a livello europeo è lasco ed è sostanzialmente di carattere negativo: vale a dire che lo si esercita imponendo limitazioni e divieti, essenzialmente attraverso la verifica del rispetto della regola relativa al rapporto massimo fra deficit pubblico e Pil.

Leon ha ricordato come in ambito europeo sembrano prevalere i singoli interessi particolari e vi sia una generale diffidenza tra un paese e l’altro. Anche la crisi della Grecia lo dimostra: i greci lamentano le crescenti pressioni europee per nuove misure di bilancio restrittive, la forte opposizione tedesca nei confronti di un’assistenza finanziaria a livello comunitario, ma soprattutto il comportamento scoordinato delle istituzioni europee nell’affrontare la crisi greca. Non stupisce quindi l’affermazione del ministro dell’economia Jorgos Papacostantinou, secondo il quale “se ci fossimo rivolti al Fmi, saremmo ora obbligati a rispettare le identiche misure che ci chiede l’Ue, ma avremmo già in cassa 30 miliardi di euro”. (Si ricordi che la lezione è stata tenuta prima che la Germania, preoccupata di un intervento esterno del FMI, accettasse la costituzione di un Fondo europeo – n.d.r.).

In Italia il dibattito sulla governance europea è chiuso nelle accademie e nessun partito o sindacato pone la questione apertamente: in nome dell’emergenza – nel migliore dei casi – il dibattito si limita a come tamponare gli effetti reali su occupazione e reddito. Con questa miopia certamente non si costruiscono fondamenta più sicure e non si predispongono strumenti più efficaci per fronteggiare l’instabilità dell’economia. Non si esce dalla crisi con una Banca europea che ha come unico compito quello di gridare contro i pericoli dell’inflazione

La crisi ha anche mostrato la necessità di ripensare obiettivi e funzioni degli istituti di credito ordinario. Secondo Paolo Leon, le resistenze a interventi che possano creare istituzioni più solide e mercati più stabili sono esemplificate dall’opposizione di Wall Street, del Partito repubblicano americano e di non pochi democratici alla regola del consigliere del presidente Obama Paul Volcker. Obama ha annunciato di voler dare alla Volcker rule veste ufficiale, integrando così le proposte di riforma finanziaria non ancora trasformate in legge. Secondo Volcker, le banche che raccolgono risparmio e hanno quindi la tutela dello Stato non possono rischiare con operazioni in proprio, oltre una certa misura, sui mercati speculativi; i derivati vanno posti sotto attento controllo. Leon ha ricordato la riforma del 1936, che introdusse in Italia la distinzione (poi caduta nel 1988) tra banche di credito ordinario e banche che possono compiere operazioni di credito industriale a medio lungo termine. Il ritorno alla commistione tra i due tipi di istituti ha portato ad una grave  deregolamentazione del sistema creditizio che ha di fatto annullato la funzione di pubblico servizio della banca. Oggi un “sistema bancario” non esiste più in quanto tale e, poiché il mercato del credito è mal regolato, si sono formate nel tempo gigantesche formazioni finanziarie: un oligopolio che non ha nessuna delle caratteristiche di un mercato concorrenziale. L’attenzione delle banche si è polarizzata sulla rivalutazione dello stato patrimoniale con il solo limite del rispetto formale dei criteri di Basilea 2. Quando nel corso della crisi finanziaria è crollato il corso di alcune poste attive (i titoli tossici), per cui molte banche si sono trovate con un rapporto capitale/attivo che non soddisfaceva i criteri di Basilea 2, il settore pubblico di diversi paesi è entrato nel capitale delle banche private ma solo per salvarle e difenderne il potere sull’economia. Solo Lehman Brothers, tra le grandi banche d’affari, è fallita. L’effetto complessivo è stato però l’aumento del grado di monopolio dei gruppi finanziari e, quindi, del loro potere. Sono proprio queste grandi concentrazioni di potere ad opporsi alla riforma di Obama sul modello della Volcker rule. Occorre – secondo Leon – che l’attività caratteristica della banca torni ad essere il prestito e che un nuovo più severo sistema di regole riaffermi il ruolo di servizio che la finanza deve avere nei riguardi dell’intero sistema produttivo.

Quattro punti per preparare una exit strategy dalla crisi: 1) tornare alla regolamentazione delle banche degli anni trenta; 2) una rivoluzione ecologica e un diretto intervento pubblico in tale direzione (che può mobilitare ampie forze di lavoro); 3) uno slancio verso una reale unione europea lavorando perché l’Europa diventi uno Stato; 4) tornare a marcare la differenza tra Pubblica amministrazione e politica anche al fine di rendere possibile una selezione della spesa pubblica. 

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