Pandemie e ricerca farmaceutica: la proposta di una infrastruttura pubblica europea (parte seconda)

Massimo Florio e Laura Iacovone proseguendo nell’analisi avviata sullo scorso numero del Menabò sui difetti, nella ricerca, dell’industria farmaceutica, sostengono che i tempi sono maturi per creare una infrastruttura pubblica sovranazionale per la ricerca di base, lo sviluppo, la produzione, vendita e distribuzione di farmaci che mantenga la proprietà intellettuale delle scoperte, con il diritto di produrre o di dare la licenza a terzi, garantendo le cure per le attuali patologie e quelle future.

I limiti dell’industria farmaceutica rispetto all’esigenza di disporre tempestivamente di vaccini o farmaci efficaci in casi come l’attuale pandemia da COVID-19, illustrate nella prima parte di questo articolo pubblicata sullo scorso numero del Menabò, sollecitano a formulare una proposta per cambiare il modello di ricerca e sviluppo dei farmaci. Il perseguimento del profitto tradizionalmente rappresenta per le imprese uno stimolo all’innovazione. Ci sono effetti positivi nel rispetto dei principi di economicità d’impresa in termini di remunerazione degli azionisti, dell’occupazione e dell’indotto nei territori. Ciò che risulta distorsivo nel caso dell’industria farmaceutica è il perseguimento di una agenda di ricerca basata sulla aspettativa di extra-profitti. Tanto più quando questi si basano sulla mancata remunerazione dei fondi pubblici a sostegno della ricerca di base e applicata, persino dei sussidi diretti ai costi di sviluppo all’interno delle stesse imprese. Si tratta di risorse che non vengono restituite alla collettività, impedendo di fatto il perseguimento del valore sociale delle imprese, ossia la tutela della salute per l’intera collettività. Ne deriva una divergenza fra ricerca medica orientata al profitto di monopolio e la ricerca che sarebbe necessaria per la salute.

Questa distorsione potrebbe essere corretta se si creasse, come contrappeso all’industria privata, una grande infrastruttura pubblica che intervenga su tutto il ciclo del farmaco, in senso lato, garantendo processi e prodotti efficaci ed efficienti a tutela della salute pubblica: ricerca, sviluppo, produzione e distribuzione. Una infrastruttura di questo tipo dovrebbe ottimizzare sinergie imprescindibili con i sistemi sanitari nazionali, da un lato, e con tutti i principali settori complementari lungo la filiera, dall’altro – ai fini della disponibilità di prodotti funzionali indispensabili, quali presidi medici, elettromedicali, strumenti diagnostici, kit di protezione individuale e sistemi di sanificazione.

Non si tratterebbe quindi di una ulteriore agenzia di regolazione del mercato (quali quelle già esistenti), ma di una vera impresa pubblica ad alta intensità di conoscenza, nello spirito della proposta n.2 del Forum, cui rimandiamo. Un “CERN biomed”: sia hub fisico per migliaia di ricercatori residenti, che hub virtuale per ampie collaborazioni scientifiche globali. Questa infrastruttura dovrebbe stabilire le proprie priorità di ricerca e sviluppo attraverso il coinvolgimento istituzionale della comunità scientifica e dei sistemi sanitari pubblici. La proprietà intellettuale delle scoperte, con il diritto di produrre o di dare la licenza a terzi a prezzi accessibili farmaci, vaccini, tecnologie, dovrebbe essere mantenuta in capo a questo nuovo soggetto sovranazionale con esclusiva finalità di interesse pubblico.

Uno schema analogo è stato proposto per gli USA dal think tank Democracy Collaborative (Brown, in democracycollaborative.org, 2019). Nel contesto europeo alcuni stadi della filiera potrebbero essere gestiti in collaborazione con attori privati già esistenti, per competenze e investimenti consolidati nel tempo. Valga il caso degli attori di trasformazione logistica (distribuzione intermedia del farmaco che, nonostante la bassa marginalità per unità di prodotto, garantisce una distribuzione capillare sul territorio con magazzini ad alta automazione ed ampi parchi mezzi) o di trasformazione informativa (quali le farmacie private). Peraltro l’importanza di presidiare l’intera filiera non ha origine nella sola riduzione dei costi, ma dalla crescente criticità della tutela dei flussi di dati derivanti dall’impatto della digital trasformation, a partire dall’ampio utilizzo di app sanitarie lungo il canale e che collegano sempre più attori del sistema sanitario (cd. health data, e-health o digital health), a partire dai pazienti, i medici, le farmacie, la distribuzione intermedia sino all’industria.

La nostra proposta. Il progetto, che potrebbe essere denominato BIOMED EUROPA, dovrebbe avere un bilancio annuo dello stesso ordine di grandezza dei National Institutes of Health negli USA (41.7 miliardi di dollari nel 2020). NIH dipende direttamente dal ministero della salute, quindi dal governo federale, ma gode di larga autonomia gestionale. Per oltre l’80 per cento il bilancio è redistribuito come finanziamenti a fondo perduto a terzi, incluse università, ospedali, altri istituti, o anche direttamente imprese farmaceutiche.

Questo modello ha avuto grandi successi nel passato. I suoi finanziamenti a fondo perduto hanno sostenuto la ricerca di oltre cento Premi Nobel nella medicina. Ha tuttavia un limite. La ricerca in house è solo una frazione residuale, sia pure con un bilancio in assoluto importante. Il meccanismo essenzialmente funziona con bandi e quindi dipende in modo cruciale da priorità stabilite altrove. Questo significa che in ultima analisi la agenda è dettata dalle imprese farmaceutiche che indirettamente o direttamente orientano la scelta dei progetti di ricerca che hanno probabilità di arrivare alla sperimentazione. E come abbiamo detto nella prima parte dell’articolo, il portafoglio risultante dei progetti non è determinato dall’agenda sanitaria ma essenzialmente da obiettivi finanziari.

La nostra proposta di una infrastruttura di ricerca pubblica, BIOMED EUROPA, non sarebbe tuttavia principalmente una ‘funding agency’. Potrebbe essere istituito con un trattato inter-governativo che dia luogo ad una istituzione sovranazionale, con una sede principale ad esempio contigua all’European Molecular Biology Laboratory (EMBL) ad Heidelberg, oppure presso il futuro campus di Human Technopole, o comunque presso una delle infrastrutture di ricerca eccellenti ma frammentate che già esistono in Europa. Questa nuova infrastruttura potrebbe attivare convenzioni con i sistemi sanitari nazionali per lo sviluppo dei clinical trials. La sperimentazione su volontari e pazienti umani è notoriamente la parte più costosa della ricerca, ed è generalmente sostenuta dalle case farmaceutiche che a loro volta spesso si avvalgono di fornitori di servizi. I una logia di interesse pubblico il modello andrebbe rivisto, dando priorità alle sperimentazioni più rilevanti sotto il profilo socio-sanitario.

L’infrastruttura che proponiamo dovrebbe disporre di impianti industriali per la produzione dei farmaci, propri o in affitto. Sotto questo profilo potrebbe anche fare accordi con imprese private. Inoltre potrebbe costruire una propria rete logistica, o anche in questo caso fare degli accordi con organizzazioni private. Nel tempo BIOMED EUROPA potrebbe costruire un ampio e diversificato portafoglio di farmaci e vaccini, focalizzandosi su tutto ciò che il settore privato non fa o fa a prezzi eccessivi, superando così l’oligopolio farmaceutico, senza la necessità di ricorrere alla integrale nazionalizzazione. Inoltre, come nella proposta di Brown (2020), citata nella prima parte di questo articolo, BIOMED EUROPA potrebbe costruire un portafoglio di farmaci generici che, grazie a standard produttivi di altissima qualità certificata, potrebbero validamente sostituire i farmaci con brevetti scaduti che resistono sul mercato per varie ragioni.

La dimensione almeno europea è essenziale perché le risorse da mettere in campo sono maggiori di quelle che i singoli stati potrebbero permettersi; inoltre la sperimentazione attraverso clinical trials multicentrici e successivamente la produzione e distribuzione dei farmaci richiede una infrastruttura a scala internazionale. BIOMED EUROPA potrebbe essere la più grande infrastruttura pubblica di ricerca biomedica del mondo ed al tempo stesso la più grande impresa del settore, facendo concorrenza in modo trasparente alle Big Pharma (e forse anche inducendole a collaborare a condizioni eque quando opportuno).

Il finanziamento potrebbe essere assicurato da vari meccanismi:

  1. a) un budget pluriennale derivante da trasferimenti dal bilancio degli stati partecipanti (sul modello del CERN o della Agenzia Spaziale Europea), in parte recuperando risorse dai mille rivoli di spesa nazionale e comunitaria che attualmente mancano di massa critica, in parte attraverso meccanismi volontari di destinazione delle imposte, quali il ‘5 per mille’ in Italia;
  2. b) i ricavi derivanti dalle licenze di produzione e dalla distribuzione al costo ai sistemi sanitari nazionali dei nuovi farmaci (e tecnologie biomediche in genere) e di un ben costruito portafoglio di generici di alta qualità certificata;
  3. c) schemi innovativi di finanziamento, quale forma di remunerazione e ridistribuzione dei benefici ottenuti da parte dalle imprese farmaceutiche dall’accesso ai fondi pubblici destinati alla ricerca, ad esempio sotto forma di una equa percentuale di ritorni sulle vendite e sulle licenze dei prodotti approvati, oppure in funzione di progetti in collaborazione con società private extrasettore, per campagne di corporate social responsability (es. Telethon).

L’attività e le finalità di questa impresa pubblica sarebbero peraltro coerenti con un obiettivo di sufficiente rendimento finanziario che consenta il suo sviluppo nel tempo, la sua autonomia e indipendenza, senza gravare permanentemente sulla collettività.

Il rendimento sociale di BIOMED EUROPA, con un orizzonte lungo, verrebbe dai benefici di produzioni a prezzi nulli o inferiori al costo medio di farmaci e vaccini socialmente utili e prioritari, dal minore impatto economico delle patologie, migliore qualità della vita, maggiore sicurezza e coesione sociale. Siamo convinti che si dovrebbe iniziare al più presto da un dettagliato studio di fattibilità tecnica e finanziaria, insieme ad una analisi dei costi e benefici sociali. Al costo di qualche decimo di punto di PIL europeo all’anno, si avrebbe una alta probabilità di evitare shock economici devastanti derivanti dalle prossime emergenze sanitarie (in termini di PIL diversi punti persi, cioè uno o due ordini di grandezza in più dei costi) e grandi sofferenze per l’umanità intera.

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