Pandemia, PNRR e sfide per il terzo settore

Silvio Minnetti muove dalla considerazione che la pandemia ha mostrato l’importanza della sinergia tra profit, no profit e società civile all’interno di un rinnovato ruolo del sistema di Welfare. Secondo Minnetti, in tale contesto il Terzo Settore deve affrontare diverse sfide, in particolare quella di una nuova Co-governance con la PA attraverso co-programmazione e co-progettazione, ora disciplinate dal DM 72/2021 e quella di un rafforzamento della cooperazione con gli Enti Locali e altri Enti Pubblici, soprattutto in relazione ai progetti del PNRR.

La pandemia ha mostrato l’importanza della sinergia tra profit, non profit e società civile all’interno di un rinnovato ruolo del sistema di Welfare. In tale contesto il Terzo Settore deve affrontare diverse sfide e chi vi opera dovrebbe acquisirne consapevolezza.

La prima sfida è quella della Governance che implica un cambiamento culturale nell’ottica della sussidiarietà orizzontale, della co-programmazione e co-progettazione, introdotte dalla Riforma del Codice del Terzo settore e dalla Sentenza n. 131 del 2020 della Corte Costituzionale. “La co-programmazione è finalizzata all’individuazione da parte della pubblica amministrazione procedente, dei bisogni da soddisfare, degli interventi a tal fine necessari, delle modalità di realizzazione degli stessi e delle risorse disponibili. La co-progettazione è finalizzata alla definizione ed eventualmente alla realizzazione di specifici progetti di servizio o di interventi finalizzati a soddisfare bisogni definiti, alla luce di strumenti di programmazione di cui al comma 2”. (Art. 55 Codice Terzo Settore, c.2 e 3). Il continuum tra questo articolo e le Linee guida del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, DM n.72 del 2021, offre oggi uno strumento immediatamente operativo per Regioni ed Enti Locali.

La seconda sfida è nella narrazione/ comunicazione da parte degli Enti del Terzo settore (Ets). È necessario un nuovo stile nel narrare le esperienze di questo mondo vitale. Ets non sono più supplenti di istituzioni che non riescono ad arrivare a curare tutte le ferite sociali ma protagonisti di amministrazione condivisa. Non basta raccontare storie commoventi e campagne social ma serve acquisire una maggiore consapevolezza del ruolo del Terzo settore. Protagonisti nell’individuare bisogni e progetti, in spirito di leale collaborazione con la Pubblica Amministrazione. Si tratta allora di coinvolgere in rete altri Ets, insieme ai beneficiari, non più destinatari passivi, ed agli Enti locali, Fondazioni, Università, imprese sociali.

La terza sfida nasce nel PNRR, Missione 5 (inclusione e coesione), soprattutto nella componente 2 dedicata a Infrastrutture sociali, famiglia, comunità e Terzo Settore. A pagina 199 del Piano si afferma:” L’azione pubblica potrà avvalersi del contributo del Terzo Settore“. La pianificazione di servizi vuole sfruttare le sinergie tra volontariato, imprese sociali, amministrazioni locali per operare una lettura più penetrante di bisogni e disagi, per fornire servizi innovativi, in un reciproco scambio di competenze ed esperienze. In particolare è la sfida della Rigenerazione urbana e housing sociale. Si tratta dei Piani urbani integrati, investimenti per riqualificare le periferie delle città metropolitane, soprattutto per coinvolgere i minori a rischio di devianza e per una pianificazione urbanistica partecipata.

Riforma del Terzo Settore ed effetti della pandemia richiedono, poi, di modificare l’organizzazione degli Ets. Questa èla quarta sfida. Esaminiamo allora i principali cambiamenti. Per i servizi si superano le gare di appalto. Ora si procede in amministrazione condivisa mediante la Co-progettazione e la Convenzione con Ets accreditati. Non si ha più la richiesta di servizi con risposta di chi può offrirne. Si individuano i bisogni e si progetta insieme. PA e Ets collaborano nella flessibilità imposta dalle caratteristiche del bisogno in quel territorio. Chi accede ai finanziamenti del 5 per mille è obbligato alla trasparenza pubblicando la rendicontazione sull’utilizzo delle somme ricevute. La digitalizzazione impone poi lo sbarco sul web. Occorre modificare approcci, prodotti e documenti da inserire in piattaforma. Cambiano gestione dei dati e uso del cloud. Una trasformazione importante riguarda la raccolta fondi.

Questa è la quinta sfida. Per sostenere una associazione servono nuovi strumenti come il crowdfunding e il digital fundraising, accanto alle tradizionali lotterie, cene ed eventi in piazza quando torneranno possibili. Altra novità è rappresentata dal Registro unico nazionale, il Runts. È un registro pubblico e telematico che impone di pubblicare atto costitutivo, statuto e bilancio; richiede un indirizzo di posta elettronica certificata dell’ente, Pec, e Spid o carta d’identità elettronica e firma digitale del legale rappresentante. Consente agevolazioni fiscali e accesso all’ amministrazione condivisa con la PA. In sintesi, le sfide anzidette dell’amministrazione condivisa – della nuova narrazione/comunicazione, della capacità di rapportarsi con Enti Locali per la co-progettazione, per la rigenerazione urbana, housing sociale, costruzione di un nuovo welfare comunitario e generativo – impongono agli Ets un profondo processo di cambiamento,  per mettere a posto tutti i pezzi del puzzle del Terzo settore tra Stato e mercato.

La vera prova pertanto è quella dell’innovazione, della trasformazione di un mondo che coinvolge quasi sei milioni di cittadini. Questo è un problema considerando la grande frammentazione delle realtà associative, circa 350 mila, e la difficoltà ad uscire dall’autoreferenzialità per lavorare in rete. Ulteriore criticità è quella generazionale, considerata l’elevata età media dei volontari. Non esiste infatti futuro senza giovani e digitalizzazione delle attività. Occorre introdurre nuove tecnologie, migliorare la capacità finanziaria, di fare rete, di diversificare le attività con le nuove generazioni, fare massa critica con Forum TS, CSV, ANCI, Regioni, Fondazioni, Università. Il Terzo Pilastro della comunità ha un ruolo importante nel processo di riforma del nuovo Welfare. Pertanto deve acquisire consapevolezza della sua forza e dignità per rinnovarsi e spingere la Pubblica Amministrazione a svolgere le sue attività in una logica di sussidiarietà orizzontale con gli Ets.

Una difficoltà in questa direzione è quella della cooperazione tra Enti pubblici ed Ets. I primi sono abituati a progettare unilateralmente secondo logiche gerarchiche e motivazioni politiche. I secondi si pongono a volte in un atteggiamento subordinato alla ricerca di fondi per le proprie attività di volontariato o di cooperazione sociale. La Co-Governance implica invece corresponsabilità. L’appalto di servizi a seguito di bandi e gare non si rivela sempre la soluzione migliore. È preferibile allora la via dettata dalla nuova normativa degli ultimi anni, quella dell’accreditamento degli Ets e della Convenzione previa co-programmazione e co-progettazione. È dimostrato che la competizione di mercato non è sempre lo strumento più adatto nel rapporto tra Enti Pubblici e Terzo Settore. L’interesse pubblico, in diversi casi, è perseguito meglio con forme di amministrazione condivisa. Il sistema dei bandi non garantisce peraltro che le risorse vadano ai territori più bisognosi. Abbiamo casi di bandi pilotati e altri in cui il risultato è determinato dalla capacità del progettista. La co-progettazione invece assicura la cooperazione delle eccellenze del territorio, fiducia e condivisione dei saperi all’interno delle pubbliche amministrazioni e tra gli Ets. Bisogna considerare che il rapporto tra eccellenza del servizio socio-assistenziale, servizi ai cittadini, finanziamenti e consenso politico tende ad essere poco trasparente. La competizione mediante vere e proprie gare può essere utile in altri casi, ad esempio per individuare soluzioni innovative.

Un esempio di cooperazione in ambiti importanti di inclusione sociale è quello del rapporto tra enti Pubblici ed Ets, ai sensi dell’art. 71, comma 1 del CTS, relativo ad una specifica tutela degli spazi utilizzati dagli Ets, spesso beni pubblici abbandonati. Gli Ets possono essere “alleati strategici” utilizzando in modo intelligente tali beni per l’inclusione sociale di soggetti svantaggiati mediante opportuni progetti. I beni pubblici possono essere utilizzati infatti da Ets per fini di interesse generale a scopo solidaristico, civico, di utilità sociale, escluso quello produttivo.

Quale riflessione possiamo fare sulle sfide del Terzo Settore e sulle possibili conseguenze per il funzionamento complessivo del nuovo Welfare? Gli Ets stanno vivendo tempi drammatici e profonde trasformazioni. Come abbiamo visto nella terza sfida, il PNRR mette in evidenza l’importanza di una alleanza stretta con i Comuni. I rapporti quotidiani, la progettualità condivisa sui bisogni ben conosciuti del territorio, il coinvolgimento inevitabile nelle riforme strutturali in atto con il PNRR, spingono in questa direzione. Serve pertanto favorire lo sviluppo delle cooperative di comunità – peraltro già in crescita, come risulta da una recente ricerca di Aiccon -; coinvolgere nel PNRR i piccoli comuni, ricordando che ben il 70 per cento dei comuni italiani ha meno di 5 mila abitanti. Si ridurrà lo squilibrio rispetto alle grandi città e ne beneficerà la coesione sociale e territoriale del Paese.

Inoltre, in ambienti salubri e non affollati – come quelli dei piccoli comuni – è possibile connettere il welfare all’ insediamento di nuove comunità energetiche e di nuove aziende digitali, sempre che il Governo accompagni sul serio questa nuova transizione e decida di investire per far affermare questa nuova dimensione del lavorare ed abitare soprattutto nei piccoli comuni delle aree interne montane. Ets, grazie ai fondi PNRR, possono infatti creare comunità energetiche con uso di rinnovabili nelle quali si è al tempo stesso produttori e consumatori (prosumer), con risparmi in bolletta – grazie anche agli incentivi del Governo – e vendita delle eccedenze.

Al momento, però, è solo parziale il coinvolgimento del Terzo Settore nel PNRR, in rapporto ai Comuni e a tutta la PA, che pure prevede notevoli investimenti per l’inclusione e la coesione sociale (oltre 19 mld).

 Non ci sono riferimenti alla fase di co-programmazione e di co-progettazione, ex artt.55 e 56 CTS. Sembra essere mancata una volontà politica, forse per evitare le difficoltà da superare inizialmente per coinvolgere gli Ets nella definizione delle politiche pubbliche nel campo della cultura, dell’agricoltura sostenibile, dell’economia circolare, della sanità territoriale, del diritto allo studio. Tutto ciò nonostante l’UE abbia adottato nel 2021 il Piano d’azione per l’economia sociale con l’intento di coinvolgere le imprese sociali nel potenziamento degli investimenti sociali.

Occorre, in particolare, valorizzare il ruolo socio-assistenziale e generativo che il Terzo Settore può avere nei confronti di persone vulnerabili, anziani e disabili, soprattutto per accrescere l’assistenza domiciliare. Questa materia non può essere lasciata solo agli Enti Locali ed alla Aziende sanitarie, povere di medicina di prossimità, come si è visto nella pandemia. Nel PNRR si fa un chiaro riferimento a Ets a proposito degli interventi di housing sociale per le persone senza fissa dimora. Si tratta però di un segmento molto limitato rispetto alla complessa realtà di milioni di anziani, immigrati, disabili. La strada da fare è ancora molta. Lungo questa strada sarà necessario anche valutare l’impatto della Riforma del Codice del Terzo Settore – dopo l’implementazione dei decreti attuativi, compreso quello sui vantaggi fiscali, all’approvazione della Commissione europea – e considerare l’opportunità di eventuali integrazioni. Tutto questo farà bene alla salute del corpo sociale, debilitato dopo la pandemia.

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