P.M. e criminalità organizzata

E’ cosa nota che la principale fonte di arricchimento e potere della mafia sono gli appalti pubblici a tutti i livelli, locali e nazionali. Se questo è vero ne consegue che il principale regalo che si può fare alla mafia è quello di affidare il potere di controllo e di indagine sugli appalti alle stesse persone – sindaci, governatori, ministri e loro funzionari – che gestiscono gli appalti stessi. Il che è esattamente quanto l’attuale governo si propone di fare colpendo i  PM, sia separandoli dalla magistratura e togliendo alla magistratura e cioè al C.S.M. il controllo sulla loro attività e ciò proprio nei giorni in cui il fondatore di forza Italia e cioè l’on. Marcello dell’Utri vede confermata in appello la condanna a sette anni di reclusione per concorso esterno in attività mafiosa. Mai offesa più grave era stata recata alla memoria e alla lezione di Giovanni Falcone, l’eroico magistrato che nel 1992 pagò con la vita sua e di sua moglie il fatto di avere messo a nudo Cosa Nostra e i suoi legami con le banche italiane e americane, nonché con la politica, e l’avere suggerito e fatto approvare nuove norme penali contro la mafia e i poteri collusi con essa. Era stato proprio Falcone in un convegno tenutosi nel castello Utveggio a Palermo il 14 marzo 1991 con la partecipazione del ministro dell’Interno, ad avanzare la tesi che all’inizio di questa nota ho impropriamente presentato come mia. In un paese dove la criminalità organizzata è forte – egli aveva detto – è assolutamente necessario sostenere ed allargare i poteri del magistrato con funzioni di P.M. A tal fine aveva sollecitato la piena applicazione dell’art. 330 del codice di procedura penale (uno degli articoli più odiati dall’on. Berlusconi) il quale prevede che il P.M. non intervenga soltanto per accertare la fondatezza della notizia criminis ma assuma iniziative per la ricerca della notizia criminis: è quanto lui aveva fatto recandosi a New York, dove aveva ottenuto la collaborazione dell’avv. Victor Rocco, uno dei più qualificati investigatori americani. Oggi la consapevolezza del danno che la criminalità organizzata reca al nostro Paese e all’imprenditoria onesta è molto più diffusa di quel lontano 1981, ma non sempre a tale consapevolezza si unisce l’impegno a fianco della magistratura della cultura italiana e dei semplici cittadini. Le mafie colpiscono gli imprenditori onesti due volte: la prima perché li costringe a giocare con dei bari la partita degli appalti pubblici, la seconda, per la taglia che mafia e ‘ndrangheta esigono sul reddito italiano. Il Comitato antimafia ha reso noto in questi giorni che ammonterebbe a 118 miliardi di euro il riciclaggio complessivo riferibile alla mafie. Il denaro pulito al netto del riciclaggio è stimato attorno ai 90 miliardi di euro di cui 44 sarebbero di spettanza della ‘ndrangheta. La ‘ndrangheta – avverte  la D.D.A –  è divenuta la più ricca ed è estremamente potente sul piano economico e nazionale, tanto da potere essere definita presenza istituzionale nella società calabrese.”

                                                                                                         Luciano Barca

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