Ostacoli e resistenze alle pratiche valutative in Italia

Efisio Espa ricorda che il PNRR prevede un’efficace azione di monitoraggio e valutazione dei vari interventi e considera tale previsione un importante passo per il nostro Paese, nel quale le prassi valutative sono ancora troppo scisse dai processi decisionali. Resistenze nella politica (scarsa convinzione e scetticismo sulle pratiche valutative) e nell’amministrazione (prevalere di percorsi adempitivi su quelli basati sulle evidenze, scarso reclutamento di professionalità tecnico-statistiche) sono alla radice del “decollo imperfetto” della valutazione delle policies.

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) approvato dal Governo a fine aprile è articolato in un ampio numero di interventi, da quelli contenuti all’interno delle riforme cosiddette orizzontali, abilitanti, di accompagnamento, nel linguaggio del Piano, a quelli infrastrutturali, dall’accelerazione dei processi di digitalizzazione al rafforzamento del sistema sanitario, dagli investimenti sulla mobilità sostenibile a quelli sull’efficienza energetica. Le “regole di ingaggio” con la Commissione europea, ben dettagliate nella Guidance to Member States. Recovery and Resilience Plans (pp. 53-54 in particolare), prevedono che la realizzazione dei progetti inseriti nel Piano sia accompagnata da informazioni quantitative e da esercizi di valutazione molto dettagliati.

Si tratta di un elemento della massima importanza ai fini dell’utilizzo effettivo delle ingenti risorse messe a disposizione dall’Unione europea (Ue) e, per certi versi, un’ulteriore riforma strutturale relativa al funzionamento dei nostri processi decisionali così come gestiti e attuati dalle amministrazioni pubbliche. Un’affermazione di questo tipo si fonda sulla constatazione che le pratiche di valutazione delle politiche pubbliche, a qualsiasi livello istituzionale e in qualsiasi fase del ciclo delle policies, continuano oggi ad apparire eccessivamente scisse dalle dinamiche decisionali e quindi non capaci di incidere sulla trasparenza e sulla qualità delle scelte assunte dal governo nazionale e da quelli regionali e locali.

Questa breve nota intende riportare l’attenzione su alcuni degli aspetti più critici, sia a livello strettamente politico che amministrativo, che sembrano ostacolare un decollo effettivo delle pratiche valutative nel nostro paese. Un confronto con gli altri maggiori paesi occidentali e con l’Unione europea ci aiuterà a meglio definire tali elementi di difficoltà nella piena metabolizzazione dei vantaggi che le attività di valutazione in genere comportano.

Una prima considerazione riguarda l’istituzionalizzazione delle attività di valutazione in contesti diversi da quello italiano: l’affidamento a istituzioni di alto rango istituzionale e con chiare caratteristiche di indipendenza e terzietà della conduzione delle pratiche valutative. L’esempio forse più efficace si riferisce alla Francia. La revisione della Costituzione francese approvata nel luglio 2008 ha rafforzato i poteri del Parlamento transalpino. L’art. 24 “novellato” recita così: Le Parlement vote la loi. Il Contrôle l’action du Gouvernement. Il évalue les politiques publiques.

Situazioni istituzionali differenti, ma che comunque coinvolgono il Parlamento o altre istituzioni pubbliche della massima importanza sono ben visibili negli Stati Uniti, dove un’agenzia governativa, il Government Accountability Office (GAO), con circa 3.000 esperti alle sue dipendenze, provides Congress, the heads of executive agencies, and the public with timely, fact-based, non-partisan information that can be used to improve government and save taxpayers billions of dollars. (dal sito ufficiale del GAO).

Nell’esperienza del Regno Unito, un ruolo essenziale è svolto dal National Audit Office (NAO), la Corte dei conti britannica, le cui attività di valutazione degli interventi pubblici appaiono strettamente legate alla dimensione dell’utilizzo delle risorse finanziarie pubbliche.

Un secondo aspetto, ben connesso a quanto appena argomentato, riguarda la piena legittimazione politica delle attività di valutazione. Nei tre paesi richiamati e in numerosi altri contesti (l’Unione europea inclusa), le pratiche di valutazione appaiono essere un elemento organico e ormai necessario nelle dinamiche decisionali. Da questo punto di vista, paesi come il Regno Unito e gli Stati Uniti in modo particolare hanno ritenuto opportuno ramificare, seppure in modi diversi, la presenza degli esercizi di valutazione. L’esempio forse più efficace è quello dell’Office of information and regulatory affairs (OIRA), una unità di elevata caratura tecnica inserita all’interno dell’Office of management and budget (OMB), a sua volta una delle principali strutture dell’amministrazione del Presidente. L’OIRA (che nel primo mandato di Barack Obama fu guidata da uno scienziato sociale del calibro di Cass Sunstein) svolge, tra le altre, una attiva funzione di filtro sull’attività di regolazione dell’esecutivo statunitense. E’ un organo quindi pienamente inserito nel metabolismo politico delle decisioni, ma con una funzione assai efficace di controllo sulla qualità delle regole.

Una terza considerazione si riferisce al ruolo propulsivo delle amministrazioni pubbliche nel ricorrere al mercato privato di fronte alla necessità di svolgere attività di valutazione. Un “mercato della valutazione” esiste o quantomeno si va formando anche in Italia grazie alla presenza di eccellenti competenze tecniche e della spinta di associazioni quali l’Associazione Italiana di Valutazione (AIV); rimane però il problema che spesso tali attività appaiono scisse dai percorsi di formulazione e decisione delle policies e quindi con un impatto limitato sull’appropriatezza delle scelte effettuate.

Nonostante i ritardi rispetto ad altri paesi, le attività di valutazione sono comunque presenti nel nostro paese. Numerosi sono i “luoghi” all’interno delle istituzioni pubbliche che si occupano, in modi diversi, di valutazione. La proliferazione di tali luoghi è avvenuta, purtroppo, senza un disegno sufficientemente chiaro di governo delle attività di valutazione. Una ricostruzione parziale di tali luoghi include il Nucleo di Valutazione e Analisi per la Programmazione (NUVAP, incardinato presso il Dipartimento per le Politiche di Coesione della PCM), il Nucleo di Valutazione e Verifica degli Investimenti Pubblici (NUVV, presso il Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica della PCM, al cui interno opera il NUVV-AIR; i NUVV, nati vent’anni fa circa, sono presenti nei ministeri e nelle amministrazioni regionali), il Nucleo di Verifica e Controllo dell’Agenzia per la Coesione Territoriale, gli Uffici AIR e VIR dei Ministeri, talora delle Regioni; i Nuclei di Analisi e Valutazione della Spesa, peraltro, al momento, scarsamente operativi. Sono presenti inoltre, all’esterno del perimetro pubblico una rete e una comunità di enti e di esperti valutatori di significativo livello tecnico e culturale.

Il quadro, assai frammentato, molto sommariamente descritto evidenzia:

  • la presenza, in molti casi (ad es. Nuvap, NUVV e NUVV/AIR della PCM, NVC/ACT, Nuclei regionali), di professionalità di alto livello e con significativa esperienza sul campo;
  • un supporto tecnico di particolare importanza alle attività di programmazione dei fondi europei;
  • l’esercizio, talora, di funzioni di carattere tecnico magari meno legate alle pratiche valutative in senso stretto.

Al tempo stesso va sottolineata:

  • la mancanza di un’istituzione pubblica che costituisca un robusto punto di riferimento per le attività valutative;
  • un grado forse eccessivo grado di frammentazione e di difficile “dialogo“ tra i vari luoghi della valutazione;
  • un inserimento solo limitato, seppure crescente, delle attività di valutazione all’interno dei meccanismi decisionali.

Una situazione così particolare e, nell’insieme, di impatto limitato delle pratiche di valutazione è anche il frutto di una serie di ostacoli e resistenze presenti, con modalità diverse, sia a livello politico che amministrativo.

Per quanto riguarda i livelli di decisione politica, se va dato atto al legislatore di essere intervenuto a più riprese ai fini della costruzione di specifiche strutture tecniche e di attività dedicate alla valutazione (AIR-VIR in primo luogo), non di meno va innanzitutto ancora ribadita l’assenza di un grande “investimento istituzionale” sui temi del controllo sull’impatto delle politiche pubbliche.

In secondo luogo, poiché gli esercizi di valutazione sono comunque parte di una ampia famiglia di attività di carattere tecnico, essi hanno sofferto (soprattutto negli ultimi 15 anni) di una insufficiente consapevolezza relativa all’importanza delle strutture tecniche all’interno delle amministrazioni (è sufficiente pensare alle potenzialità, spesso inespresse, degli uffici di statistica nelle attività di misurazione delle policies). Tale scarsa consapevolezza si è espressa in una attenzione molto limitata all’acquisizione regolare di buone competenze tecniche pur di fronte alla perdita progressiva di elevate professionalità causata dalle rigide regole sul turnover.

Su un piano più sostanziale, e in terzo luogo, le decisioni (non) assunte a livello politico hanno evidenziato una pesante sottovalutazione di quanto sarebbe importante avviare la costruzione di una “memoria” dell’intervento pubblico. Senza la progressiva messa in piedi di una conoscenza approfondita e sedimentata relativa alle scelte assunte in passato, un policy-making privo di capacità di apprendimento rischia di essere scarsamente innovativo e di essere condannato alla reiterazione di errori e soluzioni imperfette.

Forse, si può anche azzardare che la voluta mancanza di una memoria degli interventi pubblici trae alimento da un atteggiamento molto guardingo, talora anche sospettoso di un decisore pubblico quasi spaventato e messo in crisi dall’enorme potenziale di trasparenza che l’evidenza empirica delle attività di valutazione porta “in automatico” con sé. Si può anche aggiungere, in tal senso, che la sfera decisionale in capo a Governo e Parlamento consideri essenziale difendere pienamente l’autonomia della politica dalle “incursioni” della sfera tecnico-amministrativa. Un contesto in cui anche un bias comunicativo che da tempo tende sempre e comunque a enfatizzare le “buone notizie” non sembra pronto a recepire i vantaggi e gli insegnamenti derivanti da buone pratiche valutative.

Una riflessione su ostacoli e resistenze alla valutazione delle policies non può, peraltro, prescindere da alcune considerazioni legate all’atteggiamento delle amministrazioni. Una prima osservazione riguarda i comportamenti delle nostre strutture pubbliche più orientati alla cultura degli adempimenti formali che a quella dei risultati tangibili associabili alle politiche pubbliche.

Se non si riconosce fino in fondo la necessità che il governo delle politiche pubbliche debba essere caratterizzato da un riscontro costante e rigoroso dei prodotti e degli impatti e se, in buona sostanza, si seguita ad avere totale fiducia sulla preminenza dei tradizionali percorsi decisionali basati sull’attuazione della “norma” (e non delle politiche pubbliche), non è una sorpresa se si assiste a uno scarso investimento sulle strutture tecniche delle amministrazioni, a una continua disattenzione rispetto alla selezione delle competenze specialistiche nella fase del reclutamento, se anche le attività formative destinate al personale raramente si basano sull’opportunità di rafforzare le competenze statistiche, di analisi delle policies, di approfondimento dei processi gestionali.

Come si accennava nelle prime righe di questo contributo, il PNRR offre una grande occasione per rivisitare i comportamenti concreti delle amministrazioni. E’ presente in tale documento una forte e ineludibile “domanda“ di evidenza empirica. E’ esplicita una forte enfasi sull’impatto macroeconomico e della sostenibilità delle misure selezionate all’interno del Piano. Anche sulla base della enorme quantità di risorse messe a disposizione, in varie forme, dall’UE, è difficile che i paesi destinatari, Italia ovviamente inclusa, si possano esimere dall’analizzare in maniera più sistematica le conseguenze degli interventi programmati.

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