Ombre sulla cooperazione economica internazionale

Luciano Marcello Milone esamina alcuni recenti sviluppi del sistema delle relazioni commerciali internazionali e sostiene che il quasi fallimento del Doha Round, la proliferazione di accordi preferenziali e le spinte protezionistiche in atto in varie aree del mondo sono preoccupanti manifestazioni del progressivo indebolimento della cooperazione internazionale negli scambi commerciali. Secondo Milone il rilancio del multilateralismo, da molti auspicato, presuppone un’incisiva riforma della governance dell’Organizzazione Mondiale del Commercio.

E’ ampiamente condivisa l’opinione secondo la quale il sistema della cooperazione economica internazionale nato dagli Accordi di Bretton Woods del 1944, pur con alcuni limiti evidenziati da una vasta letteratura, abbia contribuito sensibilmente al processo di apertura delle economie, alla crescita e alla stabilità finanziaria che ha caratterizzato i primi decenni del periodo postbellico. Tale sistema, fondato sui principi del multilateralismo, si è avvalso dell’operato di importanti istituzioni internazionali quali il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e il GATT (General Agreement on Tariffs and Trade), poi sostituito nel 1995 dall’ OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio). Esso aveva tra i suoi obiettivi prioritari quello di evitare il ripetersi di un contesto simile a quello generatosi tra i due conflitti mondiali allorché il propagarsi di pratiche commerciali restrittive e discriminatorie e il disordine valutario scaturito da una gestione dei tassi di cambio condotta secondo un’ottica strettamente nazionale – in un clima di esasperato protezionismo e diffuso nazionalismo economico – attivarono un processo involutivo nelle relazioni internazionali, sia commerciali che finanziarie, che contribuì ad amplificare i costi sociali della “Grande Crisi”.

Negli anni recenti si sono tuttavia manifestati numerosi sintomi di un progressivo indebolimento del sistema di collaborazione internazionale istituzionalizzata del secondo dopoguerra. In proposito, tre aspetti appaiono particolarmente problematici riguardo specificatamente la sfera delle relazioni commerciali.

Un primo aspetto è dato dalle crescenti difficoltà manifestatesi nel corso degli anni a procedere sulla strada della liberalizzazione degli scambi all’interno del sistema dei negoziati multilaterali del GATT-OMC. Gli esiti alquanto limitati, e comunque deludenti rispetto alle aspettative, dell’ultimo negoziato multilaterale avviato nel 2001, noto come Doha Round, avrebbero secondo molti intaccato la credibilità stessa dell’OMC quale efficace istituzione di governo dell’economia globale in materia di commercio internazionale.

Un secondo aspetto, spesso indicato nella letteratura come espressione dell’indebolimento della cooperazione tra i paesi all’interno delle regole dell’OMC, è costituito dalla proliferazione di accordi discriminatori su base bilaterale e regionale, verificatasi a partire soprattutto dagli inizi degli anni novanta del secolo scorso. Da ciò è scaturito il progressivo ridimensionamento della quota degli scambi mondiali disciplinati dalla clausola della nazione più favorita che, come è noto, caratterizza il sistema multilaterale degli scambi. Gli accordi commerciali preferenziali, pari a poche decine alla fine degli anni ottanta, hanno raggiunto il ragguardevole numero di 284 nella seconda metà del 2017. Di fatto, la totalità dei paesi membri dell’OMC attualmente partecipa ad uno o più di questi accordi. Nel corso degli anni, oltre ad essersi accresciuto il numero degli accordi preferenziali, si è altresì ampliato al loro interno il numero delle misure sottoposte a regolamentazione, sino ad investire alcune politiche tradizionalmente considerate di esclusiva competenza interna le quali tuttavia, per le loro ripercussioni internazionali, si prestano ad essere deliberatamente impiegate da un paese – in alternativa ai tradizionali interventi di politica commerciale quali i dazi, i contingentamenti e i sussidi alle esportazioni – per il perseguimento di finalità strettamente protezionistiche. Tali misure rappresentano i cosiddetti ‘nuovi temi’ del commercio internazionale: tra esse si collocano, ad esempio, la tutela della concorrenza, gli investimenti esteri, i diritti di proprietà intellettuale, gli standard tecnici, le norme sanitarie, la salvaguardia dell’ambiente. Si tratta di temi che non rientrano tra quelli in passato inseriti nell’agenda dei negoziati multilaterali oppure per i quali sinora si è comunque rivelato assai difficoltoso procedere sulla strada di un loro efficace coordinamento a livello globale (Cfr. S. Urata, “Mega-FTAs and the WTO: Competing or Complementary?”, International Economic Journal, 2016).

L’affermarsi del regionalismo nell’attuale scenario mondiale ha alimentato un complesso e controverso dibattito sulle sue possibili implicazioni per il sistema multilaterale degli scambi. In particolare, si confrontano due posizioni. La prima è rappresentata da coloro i quali ritengono che multilateralismo e regionalismo siano legati tra loro da un rapporto di complementarità, in relazione all’obiettivo comune di una progressiva liberalizzazione degli scambi mondiali. Tra le principali argomentazioni a sostegno di tale orientamento si osserva che gli accordi bilaterali o regionali possono costituire una soluzione appropriata per estendere il processo di integrazione tra i paesi membri ad aree di intervento, come quelle appena ricordate, per le quali al momento non risultano esservi le condizioni per una loro regolamentazione ed armonizzazione attraverso negoziati multilaterali. Su queste aree di intervento si ritiene altresì che il preventivo raggiungimento di intese a livello regionale, e quindi a carattere discriminatorio, accresca le prospettive di successo di futuri negoziati nell’ambito dell’OMC mirati al loro coordinamento a livello globale.

La seconda posizione, del tutto contrapposta alla precedente, è quella di coloro che intravedono nella diffusione degli accordi preferenziali una minaccia per il sistema multilaterale degli scambi. Tali accordi, nelle loro varie espressioni, non integrerebbero il multilateralismo, bensì tenderebbero a contrastarlo, ridimensionandone drasticamente il ruolo nella regolamentazione delle relazioni commerciali internazionali. Al tempo stesso, si è osservato che gli accordi a carattere regionale, come eventuale strumento alternativo ai negoziati multilaterali in relazione all’obiettivo di una liberalizzazione degli scambi internazionali, costituirebbero in ogni caso una soluzione subottimale. Ciò in quanto tali accordi – a differenza di quelli basati sul principio di non discriminazione – impediscono il pieno sfruttamento dei vantaggi della specializzazione internazionale, generando effetti distorsivi sui flussi commerciali e sull’allocazione delle risorse dei paesi membri, il cui benessere sociale risulta accresciuto solo nella misura in cui i benefici dovuti alla ‘creazione’ di commercio prevalgano sulle perdite di benessere riconducibili alla ‘inversione’ di commercio. Ricadute di vario segno possono inoltre aversi sul benessere sociale dei paesi esclusi dagli accordi preferenziali (Cfr. P. Sutherland, “Challenges to the Multilateral Trading System”, World Economics, 2007). Anche alla luce dell’esperienza storica, in particolare le vicende della Grande Crisi negli anni trenta del secolo scorso, si è altresì obiettato che sarebbe tutt’altro che remota l’eventualità che la diffusione di accordi commerciali preferenziali, in presenza di una fragilità crescente del sistema degli scambi internazionali gestito dall’OMC, anziché favorire l’apertura delle economie a livello globale, conduca ad una fase critica della collaborazione internazionale, contraddistinta dalla presenza di blocchi commerciali più o meno ampi tra loro contrapposti, tutt’altro che inclini ad assumere un approccio cooperativo verso il ‘resto del mondo’ ed esposti al rischio di guerre commerciali e valutarie (Cfr. U. Dadush e J. Nielson, “Governing Global Trade”, Finance and Development, 2007).

Un terzo aspetto interpretabile come preoccupante sintomo di un ridimensionamento in atto del ruolo dell’OMC quale istituzione centrale del sistema del commercio mondiale è dato dalle spinte protezionistiche in atto nelle varie aeree dell’economia mondiale, accentuatesi soprattutto a partire dalla crisi globale esplosa negli Stati Uniti nella seconda metà del 2007 e poi trasmessasi al resto del mondo nel 2008. Tali spinte si sono concretizzate prevalentemente tramite il ricorso a barriere non tariffarie, ma anche con l’introduzione di dazi doganali – ad esempio, nel caso assai recente degli Stati Uniti su cui si possono vedere gli interventi di De Arcangelis e di De Filippis e Salvatici sul Menabò. Si tratta per lo più di iniziative unilaterali, poste in essere da parte di singoli paesi secondo un’ottica esclusivamente nazionale e quindi al di fuori di una qualsiasi strategia di cooperazione. Assai complessa è la stima degli effetti distorsivi e restrittivi esercitati da queste pressioni protezionistiche, soprattutto per la parte in cui esse consistono nell’applicazione di barriere non tariffarie agli scambi: è tuttavia prevalente l’opinione secondo la quale sinora questi effetti siano stati piuttosto contenuti. Anche in merito alla tendenza del commercio globale, manifestatasi negli anni recenti, a frenare sia in assoluto che in rapporto all’attività economica internazionale, accurati studi rivelano che il fenomeno sia prevalentemente riconducibile ad un insieme di fattori congiunturali e strutturali e solo in parte modesta al ritorno del protezionismo. Più fosche sono invece le previsioni sugli sviluppi futuri per l’economia mondiale nell’ipotesi che le spinte protezionistiche debbano rafforzarsi in uno scenario di progressiva perdita di centralità del sistema multilaterale degli scambi(Cfr. S. Evenett e J. Fritz , FDI Recovers? The 20th Global Trade Alert Report, CEPR Press 2016).

Di fronte ai rischi del consolidarsi di forme di nazionalismo economico socialmente assai costose, in un quadro disordinato di pratiche commerciali e monetarie discriminatorie, da più parti si auspica l’avvio di forti iniziative tese a rilanciare, nelle relazioni commerciali, il processo di collaborazione tra i paesi a livello globale. D’altro canto, una conduzione dell’economia mondiale che sia fondata su forme di più stretta ed efficace cooperazione tra gli Stati nazionali non può prescindere da un rafforzamento delle principali organizzazioni economiche internazionali. Gli sviluppi dell’ampio dibattito sul concreto funzionamento di queste ultime non hanno mancato di evidenziarne insufficienze e limiti di varia natura. Si è sottolineato come i meccanismi decisionali operanti al loro interno di fatto siano stati tali da favorire risultati non di rado tutt’altro che in linea con i reali interessi della comunità internazionale. Tutto ciò ha probabilmente contribuito ad alimentare un clima spesso ostile nei confronti di tali organizzazioni all’interno di vasti strati della società civile, sia nei paesi avanzati che in quelli in via di sviluppo, e a mettere in dubbio l’efficacia della loro azione e la loro credibilità politica. Da queste considerazioni non può prescindersi nella ridefinizione delle responsabilità e dei poteri dell’OMC, come pure delle altre organizzazioni della cooperazione internazionale, nei progetti di riforma della loro governance.

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