Nuovi modi di regolare il lavoro che cambia: una riflessione sullo Smart Working

Luisa De Vita discute il nuovo modello di gestione delle risorse umane nell’ambito delle organizzazioni noto come Smart Working o lavoro agile. Dopo una breve disamina delle caratteristiche di questo modello, De Vita illustra le potenzialità e i limiti dei sistemi di Smart Working e richiama l’attenzione sulla necessità di un approccio che sia in grado di integrare in modo efficace i diversi modelli di funzionamento aziendale, gli impatti differenziali sulle forze di lavoro e le condizioni di utilizzo.

Le profonde trasformazioni che stanno interessando sia il mondo delle imprese che i sistemi occupazionali e di protezione sociale stanno completamente riarticolando i modi, i tempi e anche le aspettative legate al lavoro.

Sul fronte delle imprese la rivoluzione introdotta dalle nuove tecnologie ma anche le spinte su scala globale per innovare (i prodotti, i processi, l’utilizzo dei dati e delle informazioni) e garantire una produzione flessibile, customizzata   e anche sostenibile stanno spingendo verso l’adozione di modalità sempre più flessibili e de-spazializzate di concepire l’impresa e i luoghi di lavoro.

Sul fronte dei lavoratori invece sono soprattutto le competenze richieste ad essere profondamente mutate con una messa la centro di quelle capacità, conoscenze ma anche caratteristiche individuali che consentono di analizzare e gestire processi complessi, dinamici e fortemente interconnessi. Nei nuovi sistemi industriali e di servizio non è solo indispensabile padroneggiare il complesso dei saperi e delle tecniche ma è anche fondamentale usare le proprie competenze per generare soluzioni, risolvere i problemi, modificare gli assetti.

In questo scenario appare evidente la necessità di sviluppare modelli organizzativi più dinamici che, attraverso la collaborazione emergente, la flessibilità delle condizioni di lavoro, la riconfigurazione degli spazi, l’innovazione diffusa e l’aumento del grado di autonomia dei singoli lavoratori siano in grado di coniugare innovazione e competitività senza trascurare l’inclusione.

Questi sembrano dunque essere le motivazioni alla base della diffusione del cosiddetto Smart Working, un nuovo modello organizzativo che riconsiderando spazi, orari e strumenti di lavoro, grazie ad una maggiore libertà e responsabilizzazione dei lavoratori sembra poter rispondere alle nuove sfide della New Digital Economy. L’obiettivo, oltre alla flessibilità dei luoghi e dei tempi di lavoro, è anche nell’adozione di una nuova modalità di lavoro basata sugli obiettivi, in cui il dipendente può manifestare la sua creatività, contribuendo in modo determinante ai valori aziendali e quindi alla mission dell’impresa. Queste nuove modalità sono ovviamente strettamente connesse alla diffusione di una serie di dispositivi (pc, smartphone, tablet) che oltre a consentire di lavorare agevolmente da remoto, facilitano i processi di comunicazione tra le diverse componenti dell’organizzazione (colleghi, clienti, collaboratori, responsabili), agevolando la condivisione delle informazioni e aumentando le possibilità di trovare soluzioni alle difficoltà connesse al proprio lavoro attraverso forum, chat, intranet, etc.

Se si guardano ai dati recentemente diffusi dall’Eurofound e dell’Organizzazione Mondiale del Lavoro sul lavoro a distanza affidato alle nuove tecnologie, emerge come la diffusione di queste tipologie variano moltissimo nei diversi Paesi oscillando da un minimo del 2% ad una massino che arriva fino al 40% dei lavoratori dipendenti. In Europa tra i maggiori utilizzatori abbiamo la Danimarca (che raggiunge quasi il 37%), seguita da Svezia, Paesi Bassi, Regno Unito, Lussemburgo e Francia. Nel complesso in UE la media di lavoro a distanza eseguito principalmente attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie è circa del 17% con l’Italia che è per presente tra gli ultimi posti sia rispetto ai dipendenti che lavorano a distanza (prevalentemente da casa), sia in generale rispetto all’utilizzo delle tecnologie digitali.

Anche nel nostro Paese però diverse sono le imprese che stanno avviando le prime sperimentazioni (Tim, Enel, Intesa San Paolo ecc) e l’osservatorio Smart Working della Bocconi, che monitora le prime evidenze sulle iniziative implementate, evidenzia come siano non pochi i vantaggi:

  1. da una riduzione della rigidità degli orari di lavoro, ad un abbassamento dello stress dovuto ad un miglior equilibrio lavoro-vita privata e in generale all’aumento dei livelli di commitment (cioè dell’impegno e della dedizione al lavoro) mutando la produttività basata sul face time cioè il tempo passato in ufficio, a sistemi di valutazione basati esclusivamente sui risultati raggiunti.
  2. da un unico luogo di lavoro spazialmente definito e delimitato, alla possibilità di scegliere dove lavorare, in quali spazi e contesti sulla base delle esigenze e delle necessità di volta in volta più utili per i lavoratori, anche con importanti impatti in termini di sostenibilità ambientale legati per esempio alle minori emissioni di CO2.

In particolare sembrano essere di grande interesse le opportunità connesse alla maggiore libertà nel modulare il tempo di lavoro e quindi di organizzare con maggiore flessibilità anche il lavoro domestico e di cura. Dal punto di vista delle cosiddette pratiche di work life balance lo Smart Working sembra inoltre anche poter operare verso una ridefinizione dei modelli di genere. Se infatti nelle sperimentazioni analoghe allo Smart Working come ad esempio il telelavoro, queste modalità erano non solo più rigide ma anche associate al lavoro femminile con tutti i rischi connessi all’isolamento, al demansionamento e alle minori chance di carriera, lo Smart Working proprio perché si applica a tutti i dipendenti indipendentemente dal genere sembra poter rappresentare uno strumento utile per conciliare sia per gli uomini che per le donne. Da questo punto di vista quindi, potrebbe aprire ad una maggiore possibilità di accettazione delle istanze di cura anche per i maschi.

Trattandosi però di un approccio all’innovazione integrato che oltre a sfruttare al meglio le tecnologie digitali e a riconfigurare i tempi e gli spazi fisici, implica la necessità di rinnovare radicalmente le policy organizzative, lo Smart Working presenta inevitabilmente una serie di difficoltà e barriere all’adozione.

Per essere effettivamente uno strumento in grado di migliorare il benessere dei lavoratori e garantire al contempo maggiore competitività all’impresa, queste modalità devono essere in primo luogo sostenute da un cambiamento complessivo dei sistemi gestionali dell’organizzazione. Strategico in particolare è il ruolo del top management che soprattutto nelle fasi che precedono l’implementazione vera e propria devono essere affiancati e aiutati nel comprendere e sviluppare i nuovi stili di leadership e di gestione delle persone che consentono di accelerare il processo di cambiamento legato ai nuovi modelli di organizzazione del lavoro.

Dalle ricerche dell’Osservatorio della Bocconi al di là delle difficoltà più prevedibili connesse alla impossibilità di remotizzare alcune attività che prevedono compiti difficili da gestire lontano dalle postazioni di lavoro, alle difficoltà di coordinamento e collaborazione a distanza tra le persone e ai timori che riguardano le norme e i regolamenti sulla sicurezza dei lavoratori, sono soprattutto le resistenze dei manager a rappresentare il maggiore ostacolo. La difficoltà dei manager sono dovute prevalentemente alla paura di perdere il controllo sui propri dipendenti che risulta infatti tra le principali barriere riscontrate nei progetti di Smart Working. Abituarsi a concedere maggiori spazi di delega e autonomia, unitamente alle minori possibilità di monitorare le prestazioni individuali, implica una progettazione maggiormente integrata delle attività e degli obiettivi e una ridefinizione complessiva dei sistemi premianti e di valutazione.

Rispetto invece alle resistenze dei dipendenti l’implementazione di alcuni dei capisaldi dello Smart Working, relativi alla gestione del layout degli spazi, potrebbero non trovare consenso da parte dei lavoratori restii ad abbandonare gli uffici tradizionalmente intesi, che se possono limitare la collaborazione e lo scambio garantisco però un elevato livello di privacy, al contrario degli open space che invece annullano o comunque riducono fortemente le gerarchie e il senso di status.

Anche la possibilità di lavorare in mobilità, secondo orari e in luoghi diversi da quelli della sede aziendale, può far emergere alcune resistenze tra i dipendenti. In questo caso è il rischio e quello di veder dilatato il proprio tempo di lavoro, di dover essere sempre reperibili con negative ripercussioni sui propri spazi personali (famiglia, socialità, tempo libero, partecipazione sociale e politica ecc.).

Oltra a questo le difficoltà nel monitorare un lavoro svolto in un luogo diverso da quello tradizionale, se in alcuni casi può generare, quando si lavora meno osservati, una minore produttività, può soprattutto rappresentare un duplice rischio per i lavoratori legato sia alle maggiori difficoltà di dimostrare il proprio impegno, sia all’esclusione da una serie di dinamiche aziendali con la conseguente riduzione delle possibilità di carriera.

Inoltre il fatto che non tutte le mansioni aziendali possono essere considerate nell’implementazione di un modello di Smart Working, potrebbe generare delle segregazioni tra i lavoratori all’interno dell’organizzazione creando il timore di subire un trattamento di differenziale o addirittura discriminatorio, con l’effetto di ridurre la motivazione e la soddisfazione del personale.

Per concludere se dunque lo Smart Working sembra essere un modello di gestione obbligato per garantire maggiore flessibilità e competitività per le imprese e un miglioramento della qualità del lavoro necessita sicuramente non solo di una solida cornice normativa (di recente è stata infatti approvata la legge 81 del 22 maggio 2017 proprio recante disposizioni per l’articolazione flessibile dei tempi di lavoro), ma anche di una valutazione puntuale dei diversi modelli di funzionamento aziendale, degli impatti differenziali sulle forze di lavoro e quindi sulle condizioni di utilizzo per progettare sistemi di Smart Working realmente in grado di aggiungere valore per l’impresa e per i dipendenti.

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