Nuove proposte per il sostegno al reddito dei lavoratori autonomi

Claudio Treves si interessa delle misure di sostegno al reddito per lavoratori non dipendenti, in particolare per i titolari di Partita Iva iscritti alla Gestione separata Inps, e mette a confronto due proposte recenti, elaborate rispettivamente dall'apposita Commissione del Cnel e da NIdiL-Cgil (la categoria dei lavoratori non standard). Di tali proposte Treves discute gli approcci e indica gli elementi meritevoli di ulteriore approfondimento, riguardanti in particolare le modalità di erogazione e le fattispecie che danno diritto alla misura di sostegno.

La vicenda della pandemia ha dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio le insufficienze del sistema degli ammortizzatori sociali, da ultimo riformati nel 2015 tramite una delega al cosiddetto Jobs Act (Decreto legislativo 148). Infatti il governo si è visto costretto ad emanare non solo disposizioni che estendono l’ambito degli attuali ammortizzatori – con l’introduzione di una “Cassa integrazione Covid” finanziata dal bilancio pubblico, l’abilitazione a prestazioni analoghe da parte del Fondo Integrazione salariale e dei Fondi di solidarietà alternativi (ampiamente rifinanziati dal bilancio pubblico), e Cig in deroga per le imprese con meno di 5 dipendenti –, ma è stato costretto ad istituire erogazioni una tantum (i cosiddetti bonus più volte rinnovati e modificati) per chi non era lavoratore dipendente. Di qui l’evidenza delle manchevolezze del sistema, e la decisione, risalente a luglio scorso, da parte della Ministra Catalfo di istituire una commissione di esperti con il compito di proporre un sistema di ammortizzatori sociali universale, su cui – sperabilmente presto – si aprirà il confronto con le parti sociali, le Regioni e il Parlamento.

Del resto, che il sistema necessitasse di una profonda riforma la Cgil lo propose nel mezzo della precedente crisi (economica): nel 2010, infatti, venne elaborata e presentata al pubblico una proposta complessiva di riforma, poi integrata nel 2014 sul versante del lavoro non dipendente. Purtroppo, solo poco di quelle idee venne raccolto dal legislatore del 2015, che anzi, sul preconcetto di una supposta ingessatura del mercato del lavoro per effetto del rischio di essere reintegrati nel posto di lavoro in caso di licenziamento dichiarato illegittimo dal giudice, progettò una riforma degli ammortizzatori calibrata nel senso di ridurre e rendere più stringenti i vincoli per ricorrere agli strumenti conservativi del rapporto, avendo al contempo reso meno vincolante e più agevole ricorrere all’indennità di disoccupazione (NASpI). Nei mesi della pandemia, ma anche prima, durante la stagnazione che l’ha preceduta, si erano già sperimentati sulla pelle dei lavoratori i danni di quelle scelte.

Oggi nessuno più nega, almeno esplicitamente, che si debba passare ad un sistema pubblico genuinamente universale. Ma, com’è noto, è sempre difficile passare dalle enunciazioni alle misure esigibili. In particolare ciò è vero riguardo alla popolazione lavorativa non dipendente, la cui condizione sembrerebbe di primo acchito non dover rientrare nella sfera protettiva data la sua riconducibilità all’area del rischio d’impresa. Eppure negli anni si è venuta consolidando nel nostro paese e in Europa una tipologia d’impiego che si può definire “economicamente dipendente”, nel senso che si tratta di figure la cui condizione, pur nell’ambito di un rapporto autonomo, dipende in maniera preponderante dalla continuità delle commesse che ricevono da altri soggetti imprenditoriali (o pubblici). È qui che si è andata consolidando un’area di lavoratori fragili, soggetta a rapporti non paritari rispetto ai committenti, e pertanto caratterizzata da redditi ridotti e altamente variabili.

Il legislatore ha iniziato a definire questo soggetto e a prevedere tutele, ma in ambiti diversi dal reddito; infatti, inizialmente (1995) si è intervenuti sul sistema contributivo e pensionistico; successivamente (1997) sono state previste tutele contro rischi quali malattia, maternità, e infortunio, e nel 2015, è stata introdotta, ma soltanto per i collaboratori coordinati e continuativi, una tutela contro la disoccupazione (con la DIS.Coll). Per i titolari di Partita Iva si è dovuto attendere l’esplodere della pandemia, come ricordato sopra, per l’istituzione di un bonus una tantum, solo in seconda battuta relativamente rapportato quanto all’eligibilità all’andamento negativo del fatturato (inteso come proxy del reddito). E non si può negare che la difficoltà concettuale di concepire uno strumento di tutela per questi lavoratori è davvero seria.

Mentre per i lavoratori dipendenti, o ad essi assimilabili come i collaboratori, l’evidenza di un mancato reddito è immediatamente verificabile dall’andamento dell’impresa e, pertanto, l’intervento dello strumento di tutela è strettamente legato all’evento, la variabilità degli introiti di un lavoratore a P.Iva è il dato strutturale che ne contraddistingue l’attività, e l’attività stessa del lavoratore è soggetta a scelte soggettive che possono avere come effetto un calo e/o una variazione “non subita” degli introiti. Di qui la delicatezza di istituire misure che potrebbero ben prestarsi a comportamenti difficilmente controllabili e/o di azzardo morale.

Per queste ragioni il dibattito ha conosciuto negli ultimi mesi una riviviscenza, con svariati attori che si sono cimentati sul tema: segnaleremo qui due eventi davvero degni di nota. Il primo è un disegno di legge elaborato da un’apposita commissione del Cnel, e indirizzato agli iscritti alla gestione separata Inps, evitando quindi di coinvolgere nella proposta i titolari di P.Iva presenti nelle Casse degli Ordini professionali, le quali in effetti già provvedono a forme assai differenziate di tutela. Il secondo è una proposta lanciata nel luglio scorso da NIdiL, la categoria della Cgil che organizza e rappresenta – tra le altre – le tipologie d’impiego non dipendente. È interessante la parziale convergenza delle suggestioni, pur provenendo da fonti diverse, e che ora passiamo ad illustrare.

La proposta del Cnel rilancia diverse forme di tutela per questi lavoratori, migliorando le tutele previste dall’ordinamento riguardo alla malattia e alla degenza ospedaliera (su cui unitariamente le categorie Felsa–Cisl, NIdiL-Cgil, Uiltemp avevano avanzato proposte molto simili fin dal lontano 2013), e in più propone l’introduzione di un’“Indennità straordinaria di continuità reddituale ed operativa” (ISCRO) in favore di quanti – titolari di P.Iva iscritti alla gestione separata Inps da almeno tre anni– abbiano subito nell’anno precedente a quello in cui si presenta la domanda (all’Inps entro il 28 febbraio di ogni anno) un calo di almeno il 50% del proprio fatturato rispetto alla media conseguita nei tre anni precedenti, e in ogni caso laddove il reddito sia inferiore a 8145 euro. L’importo, che non è soggetto a prelievi a fini fiscali e contributivi e non concorre alla definizione del reddito, è pari al 50% della differenza tra la media di reddito dei tre anni precedenti e quello dell’anno precedente a quello in cui si presenta la domanda, ha una durata massima di sei mesi e un tetto massimo di 6516 euro (cioè l’80% dell’importo che fa scattare automaticamente l’indennità). Una nuova richiesta di ISCRO non può essere avanzata prima che siano trascorsi 5 anni dalla precedente fruizione. La copertura finanziaria della misura è assicurata istituendo una contribuzione dello 0,28% sui redditi, il che porterebbe il carico contributivo non pensionistico all’1% in quanto le prestazioni sociali (malattia, maternità, ecc.) sono già coperte da una contribuzione dello 0,72%.

Mettiamo ora a confronto questa proposta con quella avanzata da NidiL in modo da evidenziare quelli che – a parere di chi scrive – sono i suoi limiti e i problemi tuttora da affrontare. Di seguito, per ragioni di spazio, ci riferiamo solo ai titolari di P.Iva iscritti alla Gestione separata (trascurando, quindi, le ulteriori criticità relative alle altre figure non dipendenti iscritte alla Gestione separata quali i collaboratori e i lavoratori occasionali).

La prima criticità riguarda le modalità temporali di erogazione dell’ISCRO: avere un ristoro l’anno successivo a quello in cui il fatturato ha avuto un andamento negativo è in sé contraddittorio, e ricorda il paradosso dell’indennità di disoccupazione a requisiti ridotti, la cui domanda si depositava a marzo dell’anno successivo, con l’erogazione (di solito a maggio/giugno), spesso coincidente con un nuovo reddito percepito dal lavoratore. In effetti la ragione alla base di un simile procedimento è comprensibile (aspettare la conclusione dell’anno per valutare l’andamento del reddito/fatturato), e tuttavia si corre concretamente il rischio di lasciare la persona in gravi difficoltà. Opportunamente, come propone NIdiL, si potrebbe provvedere ad erogare l’indennità al momento della domanda (a questo punto svincolata da una data fissa ma legata all’evento), salvo conguaglio al termine dell’anno fiscale.

Secondariamente, è sufficiente il raffronto tra l’andamento del fatturato di un anno e quello medio dei tre precedenti dello stesso soggetto? La proposta presentata all’iniziativa di NIdiL prova a declinare più dettagliatamente le fattispecie che potrebbero dare diritto all’indennità individuandone tre: a) quando i redditi (sempre su un arco di tre anni) sono inferiori a una certa soglia calcolata rispetto alla crescita del settore di riferimento, individuato dal codice Ateco; b) quando il settore Ateco segna un andamento difforme dall’intero comparto incluso nella Gestione Separata; c) quando la riduzione è generalizzata per eventi “catastrofici”. È evidente da questa descrizione la maggiore capacità della proposta di tenere conto delle diverse possibilità che si potrebbero presentare. I temi tuttora inesplorati da quali dipende l’efficacia di questa proposta si collegano, da un lato, a concetti e misure da sempre osteggiati dalle rappresentanze datoriali, quali gli “indici di congruità” dei redditi denunciati rispetto alla “normalità” settoriale, e, dall’altro, all’amplissima estensione “settoriale” degli iscritti alla Gestione separata, che rendono il concetto di “media” fortemente problematico. E, ancora, è cogente la necessità di un sistema di controlli davvero assai più efficace dell’attuale.

In conclusione, è importante che la discussione pubblica possa riprendere avendo superato le obiezioni di principio sul diritto in sé ad una tutela del reddito per questi lavoratori, e ci si possa quindi concentrare sull’efficacia delle misure. Da questo punto di vista, il confronto previsto per la fine di settembre con il Ministero del lavoro a valle dell’attività della commissione nominata a luglio sarà un passaggio decisivo per l’introduzione nel nostro Paese di un sistema di sostegno al reddito pubblico genuinamente universale.

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