Nuove frontiere della cura. L’arte nelle prescrizioni mediche

Annalisa Cicerchia ci ricorda che da più di 35 anni nel Regno Unito e nei paesi scandinavi è diffusa la Prescrizione sociale, una forma di integrazione delle terapie convenzionali, per alcune patologie, con programmi regolari di attività fisica (exercise on prescription) o di lettura (books on prescription). Questi nuovi approcci alla cura includono la fruizione di attività artistiche che si sta sperimentando anche in Italia con un progetto di teatro per bambini prescritto dai pediatri con ricetta da presentare in farmacia.

Dalla metà degli anni Novanta, nel Regno Unito, ai medici di base è consentito di integrare le loro prescrizioni terapeutiche (soprattutto farmacologiche) con altre, di natura sociale. Con una prescrizione sociale, i sanitari indirizzano alcuni tipi di pazienti – in genere, con disturbi legati alla depressione – verso servizi o fonti di supporto offerti dalla comunità locale, che propongono programmi di attività fisica (exercise on prescription) o di lettura (books on prescription).

In modo analogo operano anche i progetti di Arts on Prescription (AoP), che dall’inizio del nuovo millennio sono andati moltiplicandosi. Il primo caso di prescrizione sociale legata all’arte, l’AoP Stockport, avviato nel 1994, offriva a persone con ansia o depressione lieve o moderata una varietà di attività creative allo scopo di aumentare il loro benessere mentale. A quelli di Stockport sono seguite decine di programmi simili, nel Regno Unito, nei paesi scandinavi, in Canada, in Australia, e in Belgio.

A partire dal riconoscimento che la salute di un individuo è determinata, oltre che da fattori biofisici, anche da una serie di fattori sociali, economici e ambientali, l’AoP è un modo di affrontare i bisogni di benessere dell’individuo in modo, se non proprio olistico, almeno integrato. L’Arte su ricetta medica, va sottolineato, non è arte terapia, ma è un aiuto non medico multidisciplinare per recuperare una condizione psicofisica soddisfacente.

Un programma-tipo dura dieci settimane e offre ai partecipanti con problemi di salute mentale (stress, ansia, depressione da lieve a moderata) diverse attività artistiche e culturali, di solito due volte a settimana per circa due ore, in gruppi di 8-12 persone. Le attività variano da programma a programma e possono consistere in pittura, modellazione, collage e altre creazioni manuali, musica e canto, teatro, visite a musei o gallerie, ecc. Mentre nel Regno Unito la maggior parte dei programmi di AoP sono animati da artisti, nel modello scandinavo (A. Jensen, W. Torrissen, T. Stickley, “Arts and public mental health: exemplars from Scandinavia“, WHO Public Health Panorama, 2020) si fa più frequentemente affidamento su organizzazioni e istituzioni museali e culturali. Studi internazionali, cresciuti anch’essi in modo sensibile dalla metà degli anni Novanta, hanno documentato effetti positivi nel benessere e nella salute mentale di coloro che hanno preso parte ai programmi di AoP, in riferimento a diversi parametri,  come l’aumento dei livelli di energia e della gioia di vivere, il miglioramento delle relazioni sociali e delle proprie competenze, l’aumento dell’autostima, il miglioramento della motivazione, della comprensione dei propri bisogni e della capacità di coping. Ne beneficiano sempre più frequentemente anche le persone che prestano le proprie cure ad altri, per motivi professionali o familiari, soprattutto nei casi in cui i caregiver sono esposti a grandi carichi emotivi e a volte a fenomeni di esaurimento o burnout. Sebbene alcune – pochissime, per la verità – valutazioni di analisi costi-benefici eseguite nel Regno Unito abbiano sollevato dubbi circa la possibilità che i programmi di AoP rappresentino un risparmio significativo per la finanza pubblica, la loro efficacia per la salute appare invece acclarata. Una sintesi autorevole dei loro risultati è stata pubblicata alla fine del 2019 in una scoping review di oltre 3000 studi, commissionata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Anche in Italia la pratica di indirizzare programmi artistici e culturali alla promozione della salute, alla prevenzione delle malattie e alla gestione e al trattamento di condizioni patologiche anche degenerative si sta progressivamente affermando. Abbiamo già parlato sul Menabò delle iniziative, offerte ormai regolarmente da decine di musei, soprattutto in Toscana, alle persone con demenza e ai loro curanti. Altri progetti consolidati sono quelli di danza per le persone con Parkinson, o quelli di lettura per i neonati. Tutti questi programmi, promossi da organizzazioni culturali e artistiche, coinvolgono in varie forme i medici, sia come consulenti, sia come valutatori.

Ma per trovare un vero e proprio programma di AoP, occorre andare in Emilia-Romagna, dove la Regione, per iniziativa di ATER Fondazione, ha varato da pochi mesi un progetto per la salute dei più piccoli che si chiama Sciroppo di Teatro, e che mette insieme 153 pediatri di base, 236 farmacie, e una rete di 36 teatri e di compagnie specializzate nel teatro per bambini e ragazzi.

Dal gennaio 2022, in ventidue comuni, i bambini e le bambine dai 3 agli 8 anni, assieme ai loro accompagnatori, possono andare a teatro con un voucher fornito da pediatri e farmacisti, per soli due euro a spettacolo. L’obiettivo del progetto è contribuire alla costruzione di politiche di welfare culturale a partire dal teatro e, in particolare, dal teatro per bambini e famiglie. Al 4 aprile, su 70 spettacoli già andati in scena, ATER Fondazione ha registrato 11.540 presenze, di cui 6.068 entrate con il voucher Sciroppo di teatro. Ciò a fronte di una popolazione dai 3 agli 8 anni di età, di 59.652 bambini e bambine e 8.103 posti a sedere complessivi nei 23 teatri coinvolti (24.309 per 3 spettacoli). Dopo la chiusura dei teatri del 2020/2021 e in una situazione pandemica che tra dicembre 2021 e febbraio 2022 ha colpito in particolare i bambini, il progetto ha permesso di coprire il 47% circa di posti disponibili.

Si è scelto, decisamente controcorrente, di investire nella cultura delle nuove generazioni partendo dai più piccoli. Sulla scelta ha pesato anche la consapevolezza degli effetti della pandemia sui bambini, che, come ricorda il report delle Nazioni Unite sull’impatto del Covid-19, “non sono i più colpiti da questa pandemia, ma rischiano di essere le sue più grandi vittime”. I lunghi periodi di interruzione della frequenza scolastica, la riduzione drastica dell’interazione fisica di gioco fra coetanei, l’impossibilità dedicarsi ad attività sportive, extra-scolastiche e culturali, soprattutto nelle fasce più fragili della popolazione, hanno causato danni nella sfera cognitiva e nell’apprendimento e una carenza di esperienze positive sul piano sociale ed emotivo. Povertà educativa e marginalizzazione rischiano di crescere ancora di più.

Se paragonato ai suoi equivalenti inglesi o svedesi, l’impatto atteso di Sciroppo di Teatro riguarda soprattutto il sollievo a breve termine di una situazione di sofferenza significativa da parte dei più piccoli. Strumenti mirati di valutazione potranno in futuro rilevare effetti sulle life skills nel medio periodo, soprattutto dei bambini che avranno potuto prendere parte all’intero ciclo di spettacoli.

La sperimentazione è importante anche su un altro livello, che è quello della creazione di un rapporto istituzionale orientato al welfare culturale fra mondo della sanità pubblica e privata e mondo della cultura. In prospettiva, e includendo, oltre ai bambini, anche gli adulti e gli anziani, nelle modalità ad essi più confacenti, le potenzialità delle ‘arti su ricetta medica’ per l’Italia sono interessanti.

Nel 2019, nel nostro Paese, poco più di 2 milioni 500mila persone (circa il 5% della popolazione) soffrivano di almeno un disturbo di tipo depressivo. La percentuale tra le persone con più di 65 anni era il 10,6% e tra quelle dai 75 anni in poi il 16,2%. Questi disturbi sono più diffusi tra le donne, con una media generale del 6,4%, del 13,3% tra le donne dai 65 anni e addirittura del 19,9% tra le ultrasettantacinquenni. Secondo il Ministero della Salute, sempre nel 2019, la spesa lorda complessiva per i farmaci antidepressivi in regime di assistenza convenzionata è stata di oltre 391 milioni di euro, con un numero di confezioni superiore a 37 milioni. Per la categoria degli antidepressivi in distribuzione diretta, la spesa lorda complessiva è stata pari a 1 milione di euro con 496.762 confezioni. Se per l’Italia dovessero valere le stesse proporzioni che sono state calcolate per il Regno Unito, almeno un terzo delle richieste di assistenza per disagio psicologico da lieve a moderato che vengono rivolte ai medici di base potrebbero trovare una risposta almeno parziale e complementare nei programmi di AoP.

C’è poi l’esercito dei prestatori, professionali e non professionali, di cure, con il loro carico quotidiano da portare spesso in solitudine. Senza contare gli operatori sanitari, tra i quali la pandemia ha moltiplicato, soprattutto nel 2020, lo stress e l’esaurimento, quasi il 30% dei cittadini residenti forniscono cure o assistenza, soprattutto a familiari. Un terzo di queste persone, circa 2,4 milioni, lo fanno per almeno 20 ore a settimana. L’onere principale ricade sulle donne; in particolare sono più di un milione le donne di età compresa tra i 45 e i 74 anni che si impegnano per più di 20 ore alla settimana. La maggiore intensità di caregiving si registra peraltro fra le donne con più di 75 anni, il 55% delle quali presta continuativamente assistenza, di solito al marito. Si tratta di una popolazione che meriterebbe, attraverso una accurata programmazione, una cura ricostituente artistica e culturale – uno sciroppo per adulti di teatro, musica, bellezza – prescritta dal medico e spendibile, per esempio, nei quasi 5.000 musei, piccoli e grandi, del Paese, nelle circa 9.000 biblioteche, o nei teatri (quelli, beninteso, che non hanno chiuso nel frattempo). Il confronto tra i livelli di soddisfazione per la vita in generale (controllando tutte le altre variabili) delle persone con una vita culturale vivace e quelli delle persone in condizioni di esclusione culturale mette in luce una differenza di oltre dieci punti percentuali a vantaggio delle prime.

E si può aggiungere che oltre a migliorare l’umore e la soddisfazione per la vita, l’arte prescritta dal dottore sarebbe anche un modo per dare ossigeno al settore culturale, e soprattutto al comparto dello spettacolo dal vivo, che, già in sofferenza prima del 2020, ha pagato alla pandemia un prezzo molto alto in termini di introiti e occupazione.

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