Non lasciare indietro nessuno. Occupati e protezione sociale

Manlio Calzaroni interviene nel dibattito sui provvedimenti straordinari di tutela sociale resi necessari dal COVID1-9 e propone di misurare la vulnerabilità dell’occupazione privata di fronte allo shock pandemico in base a due distinte dimensioni: il grado di stabilità del contratto di lavoro e il grado di resilienza dell’impresa nella quale si è occupati. Secondo Calzaroni ciò permetterà di valutare la probabilità che hanno gli occupati di perdere il proprio posto di lavoro.

L’attuale crisi sanitaria costituisce uno shock per tutto il sistema produttivo e il mondo del lavoro ne sarà colpito più o meno direttamente. Il Forum Disuguaglianze Diversità insieme a Cristiano Gori ha di recente elaborato una proposta di protezione sociale la cui caratteristica principale è quella di non lasciare indietro nessuno, intercettando tutte le tipologie di occupati messe in difficoltà dalla crisi in atto.

La proposta utilizza una ripartizione dell’occupazione privata, in cui la vulnerabilità di fronte allo shock viene valutata in base a due distinte dimensioni: il grado di stabilità del contratto di lavoro e il grado di resilienza dell’impresa di appartenenza. Ne scaturisce una ripartizione originale in quattro categorie, che può essere di utilità nel valutare la probabilità di perdita del posto di lavoro e che è stata, infatti, impiegata nella formulazione della proposta.

In questa nota, ci si propone di: i) esplicitare le fonti informative e le ipotesi utilizzate per la quantificazione delle quattro categorie, per trasparenza e per facilitare ulteriori riflessioni; ii) quantificare gli occupati delle quattro categorie presenti nelle Attività economiche essenziali e non (MISE, DL 25 marzo 2020). L’’ipotesi è che gli occupati in attività non essenziali siano ancor più penalizzati dalla crisi economica e quindi possano essere i primi ad avere necessità di protezione sociale. Inoltre, questa quantificazione può essere utile alla stima del costo degli interventi che si stanno predisponendo.

Al fine di considerare tutti gli occupati, indipendentemente dal tipo di contratto e dalla sua stessa esistenza, si è scelto di utilizzare come insieme di riferimento l’occupazione stimata dall’Istat in base al Regolamento europeo sul Sistema Europeo dei Conti economici. Questo garantisce l’esaustiva delle stime dell’occupazione e la sua coerenza con gli aggregati economici di Contabilità Nazionale (CN). Gli occupati risultano pari a 25,1 milioni, di cui 19,1 dipendenti e 6 di indipendenti.

La nota del ForumDD individua, come detto, quattro categorie di lavoratori: 1. Lavoro non regolare e saltuario; 2. Lavoro dipendente e autonomo di piccole e medie imprese non resilienti; 3. Lavoro dipendente precario; 4. Lavoro dipendente stabile e autonomo di piccole, medie e grandi imprese resilienti. Queste descrivono gli occupati in base alla qualità, crescente, del posto di lavoro, dove la qualità è definita in base alla capacità di tenuta di fronte ad una crisi economica e alla presenza di ammortizzatori sociali.

Per quantificare il numero dei lavoratori non regolari si sono utilizzate le stime di CN, che rispondono a definizioni e classificazioni dell’Ue. Per l’anno 2017, abbiamo 3,3 milioni di occupati non regolari, di cui 2,4 dipendenti e 0,9 indipendenti.

Fra i lavoratori saltuari dipendenti si sono inclusi i Lavoratori domestici regolari che lavorano meno di 23 ore settimanali, che rappresentano il gruppo con la maggiore probabilità di perdere il lavoro. Sulla base dei dati disponibili, si tratta di 374 mila occupati (MLPS, ISTAT, INPS, INAIL, ANPAL. Il Mercato del Lavoro. Verso una lettura integrata, 2019), a fronte di un totale di 810 mila soggetti.

Per i saltuari indipendenti si è utilizzata una classificazione introdotta nel rapporto sul Mercato del lavoro già citato, che divide gli indipendenti in quattro componenti: Contractor, Autonomi, Familiari coadiuvanti, Datori di lavoro. Il “Contractor” è stato introdotto dall’ILO per tenere conto delle nuove caratteristiche del Mercato del Lavoro e corrisponde a “occupati formalmente autonomi ma di fatto vincolati da rapporti di subordinazione con un’altra unità economica (cliente o committente) che ne limita l’accesso al mercato (prezzi, tariffe, ecc.) e l’autonomia organizzativa”. L’ipotesi adottata per individuare i saltuari indipendenti più a rischio deriva dal Rapporto stesso, che indica come più “deboli” i Contractor e gli Autonomi che hanno un solo committente, anche perché, sempre secondo il Rapporto, “svolgono più spesso professioni esecutive o non qualificate”. Si tratta, rispettivamente, di 227 mila e 472 mila occupati.

Anche per individuare le imprese non resilienti, si sono utilizzate analisi prodotte nell’ambito della Statistica ufficiale (Istat, Rapporto competitività delle imprese, ed. 2017). Il Rapporto divide le imprese in base alla “diversa sostenibilità delle condizioni di redditività, solidità e liquidità” in a) imprese “in salute”, ovvero quelle che presentano piena sostenibilità in tutti e tre gli ambiti; b) imprese “fragili”, cioè quelle con redditività sostenibile ma con solidità e/o liquidità non sostenibili; c) imprese “a rischio”, ovvero quelle con redditività non sostenibile. Ai nostri fini, abbiamo identificato come imprese non resilienti quelle a “rischio”. Nell’anno 2007, prima dell’inizio della crisi economica, queste rappresentavano il 24,8% dell’occupazione delle imprese (3,2 milioni di occupati).

Per distinguere tra dipendenti e indipendenti si è proceduto individuando come proxy delle imprese non resilienti quelle che occupano solo lavoratori Part Time (550 mila dal Rapporto competitività) e si è supposto che ad ogni impresa corrispondesse un solo indipendente. I lavoratori dipendenti si ottengono sottraendo dal totale, oltre ai 550 mila indipendenti, anche i lavoratori a Tempo Determinato (TD) che, nello schema utilizzato, sono collocati in altra categoria. Per stimare i TD si è utilizzato il loro peso nelle imprese con meno di 10 dipendenti, pari al 16% (Istat, Registro Asia delle imprese attive, anno 2017). Si ottengono così 2,3 milioni di dipendenti a Tempo Indeterminato (TI) nelle imprese non resilienti.

Tra gli indipendenti si è ritenuto di aggiungere, ai 550 mila già individuati, una ulteriore quota, valutando che un altro 10% di indipendenti (385 mila), di fatto microimprese, sia a forte rischio di sopravvivenza. Complessivamente si ha un totale di 935 mila indipendenti “non resilienti”.

Il dato sui lavoratori precari è ricavato dall’Osservatorio INPS sui lavoratori dipendenti. Questo individua oltre 2,3 milioni di occupati a TD e 223 mila lavoratori stagionali, che si valuta siano da includere tra i precari, pervenendo ad un totale di 2,6 milioni.

Per i lavoratori precari questa analisi è certamente parziale. Viste le diverse tipologie di contratti esistenti, ognuna con sue specifiche normative, è indispensabile una analisi più dettagliata. Si ritiene che l’obiettivo debba essere identificare gli occupati e le relative forme di “tutela” per ogni tipologia di lavoratore precario.

La quantificazione del lavoro dipendente stabile e autonomo in imprese resilienti, si ottiene sottraendo dai totali di CN le stime delle tre categorie più fragili richiamate in precedenza e i 3,4 milioni di occupati nella P.A. (da non considerare ai nostri fini): 8 milioni di dipendenti e 3,6 di indipendenti.

Infine, si sono distinti gli occupati impiegati o meno nelle “attività essenziali”. Per individuare questi due sottoinsiemi, si è utilizzato il dettaglio di Attività economica (Istat, classificazione ATECO 2007) con cui, nel DL citato, sono individuate le “Attività economiche essenziali”. Utilizzando sempre gli occupati di CN come universo di riferimento, si ottengono, complessivamente, 9 milioni di occupati nelle attività essenziali (escludendo i 3,5 della PA): 6 milioni dipendenti e 3 indipendenti.

Per i non regolari, la stima è ottenuta integrando le attività essenziali con gli occupati non regolari (Istat, CN). Poiché le stime dei non regolari sono diffuse con un dettaglio di ATECO minore rispetto a quello utilizzato nel DL, si è proceduto distribuendo, ove necessario, i non regolari in base al peso dei regolari (Istat, Registro Asia delle imprese attive, anno 2017), nell’ipotesi che si distribuiscano analogamente. I non regolari nelle attività essenziali risultano circa 1,1 mln (12% dei lavoratori “essenziali”, escludendo la P.A.). Di questi, un quarto sono connessi al settore alimentare (220 mila in agricoltura e 40 mila nell’industria alimentare), 130 mila e oltre 700 mila lavorano, rispettivamente, nelle altre industrie manifatturiere e nei servizi. La stima dei non regolari nelle attività essenziali è di rilievo, visto il dibattito sull’opportunità di includere i non regolari tra i beneficiari delle nuove misure di protezione sociale. All’interno delle altre voci inserite tra gli occupati saltuari, i lavoratori domestici sono tutti inclusi tra i non essenziali, mentre gli indipendenti sono individuati in base alla quota di indipendenti del Registro Asia (47% nelle attività essenziali).

Anche per gli occupati nelle imprese non resilienti e per i precari, la distinzione è ottenuta utilizzando il Registro Asia. Gli occupati nelle imprese non resilienti presenti nelle attività essenziali si ottengono adottando l’ipotesi che questi si distribuiscano uniformemente al totale delle imprese. Tale ipotesi è accettabile in quanto lo stesso Rapporto Istat che li individua mostra che il loro peso non varia significativamente nei diversi macrosettori (manifattura, costruzioni, commercio, altri servizi). I dipendenti “essenziali” sono il 53% del totale (quindi 1,2 milioni in attività essenziali e 1,1 in quelle non essenziali), mentre gli indipendenti sono il 47% (quindi 440 mila nelle attività essenziali e 500 mila nelle altre).

I lavoratori precari nelle attività essenziali sono ottenuti dal peso dei TD nel Registro Asia (dato prossimo al totale dei precari) e risultano il 57% del totale (1,5 milioni nelle attività essenziali e 1,1 nelle altre).

Sempre come residuo si ottiene il numero di occupati stabili in imprese resilienti: 2,6 milioni di dipendenti e 2 di indipendenti nelle attività essenziali e 5,4 e 1,6 in quelle non essenziali.

Le stime delle quattro categorie di lavoratori, presentate nella nota del Forum DD del 16 marzo, risultano pari a 4,4 mln di non regolari e saltuari; 3,2 di occupati in imprese a “rischio”; 2,6 lavoratori precari e 11,5 occupati stabili in imprese resilienti.

Di questi, in attività non essenziali si hanno 3 milioni di occupati non regolari e saltuari, 1,6 milioni in imprese non resilienti e 1,1 milioni di precari. A questi, riteniamo che siano da aggiungere i restanti 1,4 milioni di occupati non regolari o saltuari presenti in attività essenziali. Essendo i meno tutelati, si ritiene che saranno fin da subito coinvolti dalla crisi economica, ad esempio per le difficoltà che hanno i non regolari a giustificare la propria attività, viste le restrizioni messe in atto. Infine, sono 7 milioni gli occupati stabili in imprese resilienti ma costrette al blocco delle attività che, anche se più tutelati, devono comunque essere oggetto di attenzione, come previsto dal DL Cura Italia con l’estensione dei limiti di applicazione della CIG.

L’approccio utilizzato, facendo riferimento al totale dell’input di lavoro utilizzato nel nostro sistema produttivo, alle modalità con cui ogni lavoratore è inserito nel mondo del lavoro e ad alcune caratteristiche delle imprese che li utilizzano, si ritiene possa essere utile a verificare la copertura e i costi dei provvedimenti in corso di predisposizione. L’obiettivo è fare in modo che “Nessuno resti indietro” e che la crisi in atto non sia la causa di un ulteriore aumento delle disuguaglianze nel nostro Paese.

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