Network o abilità? La diseguaglianza intergenerazionale a parità di istruzione

Michele Raitano torna sul tema della diseguaglianza intergenerazionale soffermandosi sul ruolo del capitale umano e delle connessioni sociali come cause dell’ associazione tra reddito dei genitori e dei figli. Basandosi su analisi condotte con altri colleghi, Raitano sottolinea il ruolo rilevante che le connessioni sociali hanno in Italia e spiega perché un’efficace strategia per l’eguaglianza di opportunità non può limitarsi alle sole politiche per l’istruzione ma deve preoccuparsi del concreto funzionamento dei mercati, in particolare quello del lavoro.

Nello scorso numero del Menabò si è introdotto il tema della diseguaglianza intergenerazionale e si è sottolineato come in Italia l’elevata correlazione fra le retribuzioni di genitori e figli sia solo in minima parte attribuibile al diverso titolo di studio conseguito da figli che provengono da origini socio-economiche differenziate. Tale evidenza contrasta con quanto tipicamente suggerisce la letteratura economica mainstream, che vede nell’accumulazione di capitale umano il principale, se non unico, snodo del processo di trasmissione intergenerazionale di vantaggi e svantaggi.

Nel nostro paese la diseguaglianza intergenerazionale si trasmette principalmente per “via diretta”, ovvero attraverso meccanismi non mediati dai livelli di istruzione raggiunti dai figli. Partendo da tale evidenza, l’obiettivo di questo articolo è duplice: i) mostrare se anche in altri paesi europei i figli di genitori con migliore status socio-economico conseguono più elevate retribuzioni a parità di titolo di studio; ii) valutare se un eventuale vantaggio a parità di istruzione sia attribuibile a migliori abilità “non osservate” o alle migliori connessioni sociali di cui dispone chi proviene da un background più favorevole.

Diversamente da quanto abbiamo fatto per il caso italiano, il confronto fra paesi europei non può essere effettuato stimando l’elasticità intergenerazionale “beta”, ovvero l’associazione tra le retribuzioni dei figli e quelle dei loro genitori quando i primi erano adolescenti, dato che nessuna base dati registra per più paesi, e in modo omogeneo, i redditi passati dei genitori. In assenza di queste informazioni si può però stimare l’associazione fra alcune caratteristiche socio-economiche dei genitori più facilmente rilevabili (istruzione, tipo di lavoro, condizione economica percepita) e le retribuzioni dei figli.

Facendo uso dei micro-dati di alcune annate dell’indagine EU-SILC che rilevano in dettaglio redditi e caratteristiche dei figli e alcune informazioni sui loro genitori quando i primi avevano all’incirca 14 anni, in una serie di lavori (cfr. Franzini, Raitano e Vona, Rivista Italiana degli Economisti ,2013; Raitano e Vona, Manchester School, 2015) abbiamo stimato la correlazione fra le retribuzioni annue dei figli e lo status occupazionale più elevato (in base alla classificazione ISCO) del padre o della madre. I figli (maschi e femmine) sono stati osservati nella fascia d’età 35-49, per non incorrere nelle imprecisioni delle stime tipiche di quando si considerano figli troppo giovani, di cui si è discusso nello scorso numero del Menabò (nelle analisi si è controllato per età, anzianità lavorativa, genere, condizione di salute, stato civile, area di residenza e condizione contrattuale dei figli).

I modelli teorici e le analisi empiriche spesso indagano la persistenza intergenerazionale dei redditi senza distinguere gli effetti che il background familiare può esercitare nella fase formativa dei figli (l’effetto “indiretto”) e, a parità di istruzione, in quella lavorativa (l’effetto “diretto”). I lavori prima richiamati cercano, invece, di verificare se, e in quale misura, l’associazione fra condizioni socio-economiche dei genitori e redditi da lavoro dei figli persiste anche a parità del titolo di studio di questi ultimi.

L’analisi mostrata di seguito riguarda 7 paesi europei caratterizzati da diversi livelli di diseguaglianza intergenerazionale – che, si ricordi, è minima nel Nord Europa e massima nei paesi Anglosassoni e del Sud Europa – e appartenenti a diversi regimi di Welfare state: Danimarca, Finlandia, Germania, Francia, Regno Unito, Spagna e Italia. In tutti questi paesi le nostre analisi rilevano una forte e significativa influenza delle caratteristiche dei genitori sulla probabilità dei figli di conseguire titoli di studio più elevati segnalando, dunque, che un meccanismo indiretto di trasmissione intergenerazionale delle diseguaglianze è in atto ovunque.

Differenze emergono, tuttavia, quando si stimano, a parità di istruzione, i divari nelle retribuzioni dei figli a seconda dell’occupazione dei genitori (sintetizzata mediante tre macro-categorie: dirigenti, impiegati e operai; il confronto viene fatto rispetto ai figli di questi ultimi; figura 1 dove i colori tenui indicano assenza di significatività statistica). L’associazione fra background familiare e redditi da lavoro dei figli rimane forte e significativa in tutti i paesi eccetto quelli del Nord Europa e, parzialmente, la Germania, dove non si osservano divari salariali statisticamente significativi, a parità di istruzione, fra figli di impiegati e operai (mentre i figli dei dirigenti guadagnano significativamente di più di quelli degli operai). Pertanto, in Danimarca e Finlandia, e in misura minore in Germania, la diseguaglianza intergenerazionale sembra esclusivamente legata all’influenza del background familiare sull’investimento in istruzione, mentre nei restanti paesi una forte correlazione fra origini familiari e retribuzioni persiste anche a parità di titolo di studio dei figli. Ad esempio, in Italia e nel Regno Unito il figlio di un dirigente guadagna in media, all’anno, a parità di istruzione, il 17% e il 26%, rispettivamente, in più del figlio di un impiegato (le retribuzioni sono al netto delle imposte personali in Italia, al lordo nel Regno Unito).

 

Fig. 1: Divario percentuale nei redditi annui lordi da lavoro per occupazione dei genitori (rispetto ai figli di operai), controllando per istruzione dei figli (di età 35-49).

Una correlazione “residua” fra background e salari, a parità di istruzione, segnala che la trasmissione dei vantaggi fra genitori e figli dipende da altri fattori oltre il titolo di studio che potrebbero consistere anche in abilità individuali – cognitive e non cognitive – correlate col background, diverse dall’istruzione formale e remunerate nei mercati. Assumendo che i datori abbiano modo di venire a conoscenza di tali abilità, solitamente non osservabili nelle analisi empiriche, e in base a queste attribuiscano i diversi livelli occupazionali, abbiamo aggiunto fra le covariate l’occupazione dei figli (qui consideriamo i tre macro-gruppi definiti in precedenza, ma i risultati non cambiano se si considerano categorie “più fini”). Le differenze fra paesi, tuttavia, non scompaiono – anzi, si accentuano – quando nella stima si controlla anche per l’occupazione dei figli (figura 2): mentre in Francia e Germania la relazione fra salari e background diviene non significativa, essa resta larga e significativa in Spagna, Italia e Regno Unito. A parità di istruzione e occupazione, in Italia e nel Regno Unito il figlio di un dirigente guadagna rispettivamente il 9,6% e il 14,8% in media, all’anno, più del figlio di un impiegato.

 

Fig. 2: Divario percentuale nei redditi annui lordi da lavoro per occupazione dei genitori (rispetto ai figli di operai), controllando per istruzione e occupazione dei figli (di età 35-49).

L’esistenza di una correlazione “residua” fra background familiare e salari a parità di istruzione e occupazione, seppur molto evocativa, non basta però a provare che essa non dipenda da abilità “non osservabili” legate al background anziché dal mero effetto di network e connessioni sociali che consentono a chi ha origini migliori di occupare i posti di lavoro più prestigiosi e remunerativi. La letteratura rileva, infatti, che chi proviene da contesti familiari più avvantaggiati, oltre a conseguire in media un’istruzione più elevata, più spesso beneficia di istruzione di migliore qualità, di attività extra-scolastiche ed è in possesso di soft skills più remunerative e non basta controllare per il tipo di occupazione svolta per riuscire a tenere conto di tutti questi aspetti.

In assenza di dati che registrino proxy dettagliate delle abilità individuali e del network di appartenenza appare estremamente difficile identificare le fonti della correlazione “residua” fra origini familiari e retribuzioni. Non si deve però incorrere nell’errore di molte analisi mainstream che tendono ad attribuire automaticamente ad abilità individuali non osservabili – dunque a produttività – i vantaggi che non si riescono ad assegnare ad alcun fattore specifico.

Nella consapevolezza di tale difficoltà, in due lavori con Francesco Vona (cfr. Raitano e Vona Journal of Economic Inequality 2015 e Oxford Bulletin of Economics and Statistics 2018) abbiamo suggerito una strategia per riconoscere il premio all’abilità e quello al network, distinguendo fra figli che retrocedono nella scala educativa o occupazionale rispetto ai loro genitori (ad esempio, figli di laureati che si fermano al diploma superiore) o rimangono in una posizione apicale (laureati figli di laureati) e comparando il loro salario con quello di chi possiede il loro stesso grado di istruzione, ma proviene da un’origine familiare meno avvantaggiata (ad esempio, laureati figli di diplomati nella secondaria inferiore o diplomati figli di diplomati).

L’idea è che raggiungere una posizione inferiore a quella dei propri genitori segnali che le abilità non osservabili non sono superiori a quelle di chi raggiunge la stessa posizione partendo da un contesto meno favorevole. Un premio salariale, ad esempio, per un diplomato figlio di laureato rispetto a un diplomato figlio di chi si è fermato alla scuola dell’obbligo genererebbe una sorta di “effetto paracadute” che non dovrebbe, dunque, dipendere da migliori abilità non osservabili e andrebbe imputato soprattutto all’azione dei legami sociali. Non è invece facile stabilire da cosa dipende un possibile “effetto soffitto di vetro”, che si verifica quando chi conserva una posizione apicale (laureato figlio di laureato) guadagna più di chi ha raggiunto la stessa posizione salendo la scala sociale (laureato figlio di diplomato): la differenza potrebbe, infatti, dipendere sia dalle connessioni sociali, sia da migliore istruzione e soft skills.

Questa impostazione permette di stabilire che i meccanismi alla base del premio al background a parità di istruzione differiscono fra paesi. Tale premio nel Regno Unito appare legato principalmente all’esistenza di un “soffitto di vetro” che impedisce a chi proviene da contesti familiari meno avvantaggiati di raggiungere le posizioni apicali. In Italia, invece, esso sembra dipendere anche all’esistenza di un “paracadute” nel mercato del lavoro che permette ai figli dell’élite che non raggiungono l’occupazione o l’istruzione dei genitori di godere di un vantaggio retributivo nei confronti di chi raggiunge lo stesso livello provenendo da un’origine meno avvantaggiata. E mentre il “soffitto di vetro” potrebbe dipendere anche dall’eterogeneità del sistema universitario del Regno Unito che consente ai più abbienti di acquisire un’istruzione di migliore qualità, appare molto dubbio che “l’effetto paracadute” dipenda da migliori abilità.

Il modo in cui funzionano i mercati sembra, dunque, un elemento cruciale per valutare i meccanismi di trasmissione intergenerazionale della diseguaglianza. A conferma di ciò, in un recente lavoro con Maurizio Franzini e Fabrizio Patriarca abbiamo dimostrato come in Italia il premio di background a parità di istruzione cresca nei settori produttivi meno competitivi, così segnalando che parte della diseguaglianza intergenerazionale non dipende dalla trasmissione di abilità produttive, ma dalla possibilità – tanto maggiore quanto meno competitivi sono i mercati – di estrarre rendite a vantaggio di chi appartiene a determinati network sociali.

Questi risultati, sebbene non conclusivi, inducono, dunque, a ritenere che, diversamente dall’opinione prevalente, la questione dell’eguaglianza di opportunità non dovrebbe essere ricondotta unicamente al capitale umano e al diritto allo studio che dia a tutti la possibilità di accumulare istruzione di buona qualità; occorre, infatti, individuare cosa i mercati effettivamente remunerino e intervenire, per ragioni di equità ed efficienza, per contrastare i meccanismi che assicurano vantaggi non dipendenti dalle abilità – e che perciò possono essere considerati rendite – a chi proviene da contesti più favorevoli.

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