Ne valeva la pena? Sugli effetti delle misure di contenimento del contagio

Morales Sloop si chiede se le misure di contenimento del contagio introdotte nelle scorse settimane dal Governo siano state opportune. Osservando l’andamento dei decessi in 1084 Comuni, fino al 21 marzo, Morales Sloop mette in evidenza, pur con le necessarie cautele, che i dati mostrano un incremento significativo dei decessi rispetto agli anni 2015-2019; da ciò desume che le misure di contenimento hanno impedito alla pandemia di avere effetti devastanti e perciò vanno guardate con favore, malgrado le loro conseguenze economiche e sociali.

“Die, my dear doctor! That’s the last thing I shall do!”

Lord Palmerstone, 1784-1865

 

Le misure per il contenimento del contagio adottate in Italia in queste settimane sono state molto discusse, sia per i risvolti in termini di limitazione di diritti, garanzie e controllo democratico, sia per le conseguenze sul tessuto produttivo e sui redditi dei cittadini. Secondo le stime dell’ISTAT condotte sui DPCM dell’11 e del 22 marzo 2020, nonché del decreto del Ministero delle attività produttive del 25 marzo, le imprese che, in base all’attività prevalente, rientrano nei settori sospesi rappresentano il 48,8% del totale (quasi 2,2 milioni), con un’occupazione di 7,3 milioni di addetti (circa il 44% del totale), un fatturato superiore a 1.000 miliardi (il 43%), un valore aggiunto di 321 miliardi (il 41%), ed esportazioni per 280 miliardi (il 65%).

Ne valeva la pena? Per rispondere a questa domanda nel seguito cercheremo di fornire elementi utili per valutare la strategia seguita in Italia cercando di evidenziare, con tutte le dovute precauzioni, quali sarebbero stati gli effetti di una espansione incontrollata della malattia sul tessuto socio economico del Paese ed in particolare sulle fasce di età più anziane.

La maggior parte delle informazioni che circolano sull’aggressività della malattia non consente di stabilire se le misure eccezionali di blocco degli scambi e della produzione fossero opportune; infatti, il numero limitato di test effettuati rende incerte le valutazioni sulla espansione della pandemia in Italia e sui tassi di letalità. Né i dati che giungono da altri paesi appaiono sempre esaustivi e coerenti tra di loro.

Per l’Italia si passa da una rilevazione obiettiva, ma incompleta, di poco più di 100.000 individui positivi al test a fine marzo, alla stima dell’ISPI, relativa al 24 marzo scorso superiore di un ordine di grandezza rispetto al numero dei positivi rilevati nello stesso giorno, a quella dell’Imperial College pari a 5,9 milioni di casi (ma con un ampio intervallo di confidenza, da 1,9 a 15,2 milioni). Il tasso di letalità (decessi/contagiati in un periodo di tempo) varia a seconda del denominatore. Malgrado le dimensioni del numeratore appaiano plausibilmente più affidabili, anche su questo sono stati espressi dubbi, da un lato per la possibilità che i numeri dichiarati contengano decessi di soggetti portatori di COVID-19 dovuti in realtà ad altre cause, dall’altro per l’eventualità che una parte dei decessi da COVID non sia considerata nelle statistiche, magari perché non si è verificato un ricovero in ospedale.

Rapportando comunque il numero quotidiano di decessi da COVID-19 rilevato nel 2020 in Italia al totale dei deceduti nello stesso giorno del 2019 (incidenza dei deceduti da COVID-19), e ricordando che il 21 febbraio 2020 l’Istituto superiore di sanità ha confermato il primo caso autoctono diagnosticato all’Ospedale Sacco di Milano, si ottiene (v. Figura 1) una prima misura della drammaticità dell’emergenza sanitaria.

L’incidenza, molto contenuta negli ultimi giorni di febbraio, a partire dalla seconda decade di marzo ha assunto sempre maggior vigore, raggiungendo il valore massimo il 27 marzo (55,3%), per poi intraprendere una graduale discesa che sembra rafforzarsi con l’ultimo dato disponibile relativo al 5 aprile. Questa è una prima indicazione che senza le misure di contenimento adottate l’andamento sarebbe stato peggiore.

Informazioni maggiori, non influenzate quindi dall’incerta misurazione dell’estensione del contagio della nuova patologia e della relativa letalità, possono essere tratte dai dati sul numero di decessi complessivi, dunque per qualunque causa (non solo dovuti a COVID-19), distinti per comune e fasce di età, degli scorsi anni e dei primi mesi del 2020, da poco rilasciati dall’Istat.

E’ utile sin da subito considerare la possibilità che una quota dei decessi, che potremmo definire collaterali, sia stata determinata dalle difficoltà incontrate dalle strutture sanitarie nella fase di maggiore emergenza nella gestione delle criticità non direttamente riconducibili al COVID-19. Questo potrebbe spiegare perché, per alcune realtà, l’aumento del numero dei deceduti risulta superiore a quello ufficialmente attribuito al virus, insieme ad una eventuale sottostima di quest’ultimo dato.

I dati fanno riferimento a 1.084 comuni (dei 5.866 aderenti al sistema dell’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente), che sono quelli “con un numero di decessi che, nel periodo 1° gennaio – 21 marzo 2020, è risultato superiore o uguale a 10 unità e che nel mese di marzo del 2020 hanno presentato, rispetto alla corrispondente media del quinquennio 2015-2019, un incremento della mortalità pari ad almeno il 20%”.

Per il criterio adottato, i 1084 comuni non sono rappresentativi dell’intero territorio nazionale considerato che poco più del 75% dei comuni oggetto di analisi è localizzato nel Nord ed in particolare in Lombardia (che ad oggi registra circa il 40% dei casi notificati a livello nazionale e oltre il 60% dei decessi); segue l’Emilia Romagna.

Questa selezione risulta, però, utile ai fini del ragionamento qui svolto, poiché descrive uno scenario che potenzialmente avrebbe potuto interessare, entro qualche settimana, l’intero Paese in assenza delle misure di contenimento richiamate inizialmente.

Nel primo periodo del 2020 il numero di morti è stato inferiore alla media degli anni 2015-2019; con il manifestarsi della pandemia il numero dei decessi giornalieri nel 2020 ha avuto una brusca accelerazione (figura 2). Questo è avvenuto in particolare nei comuni del Nord, dove si osservano aumenti considerevoli non solo nei grandi centri, ma anche in quelli minori. Complessivamente, nelle città settentrionali sono state registrate le variazioni più consistenti: in oltre la metà, i decessi sono più che raddoppiati nei soli primi 21 giorni del mese di marzo. In alcune realtà il fenomeno è stato più intenso, ad esempio nella provincia di Bergamo, dove nel solo capoluogo i decessi sono quasi quadruplicati (da una media di 91 casi nel 2015-2019 a 398 nel 2020). Situazioni particolarmente allarmanti si sono avute anche nella provincia di Brescia e nei capoluoghi di Piacenza e Pesaro.

Le evidenze esaminate confermano l’attesa di un maggiore incremento dei decessi nelle persone con più di 74 anni, che implica tra l’altro un cambiamento nella struttura per età della popolazione. Per offrire qualche preliminare informazione sul nuovo possibile quadro demografico, abbiamo realizzato una simulazione, sulla base di ipotesi molto semplificate (non si tiene conto, ad esempio, di fattori stagionali e dell’invecchiamento della popolazione tra il 2019 e il 2020) e quindi senza alcuno scopo previsivo.

Partendo dalla struttura per età della popolazione anziana al 1° gennaio 2019, ultimo dato disponibile per i 1084 comuni in esame, e sottraendo il numero di morti del 2019 (stimati sulla base della media giornaliera dei morti gennaio-marzo 2019 per ogni classe di età di riferimento) si è ricostruita la popolazione al 1° gennaio 2020 (non sono state considerate iscrizioni e cancellazioni per migrazione). Successivamente, sono stati sottratti i decessi effettivamente rilevati fino al 21 marzo del 2020 e, per i restanti giorni dell’anno, è stata applicata la stessa media giornaliera del 2019. Quest’ultima ipotesi è evidentemente ottimistica, perché siamo in realtà ancora ben lontani da un ritorno alla normalità. Tuttavia i risultati che emergono (figura 3) evidenziano che nei territori più colpiti la popolazione anziana subirà un brusco ridimensionamento, più consistente al crescere dell’età (mentre nel resto del paese gli effetti saranno più contenuti).

Modifiche della struttura della popolazione di un simile ordine di grandezza (ma probabilmente maggiori, dal momento che il virus non è ancora stato sconfitto), possono avere effetti di varia natura sull’economia e sul tessuto sociale, che sarebbero stati ben più ampi se non si fosse operato per limitare il contagio. Per quanto riguarda l’età pensionabile, legata alla speranza di vita a 65 anni, in base alla normativa vigente, è escluso un adeguamento al ribasso dei requisiti in presenza di un eventuale valore negativo della variazione della speranza di vita. Tuttavia un tale ridimensionamento del numero di anziani avrebbe effetti sulla spesa previdenziale, sanitaria e per la long term care. L’ultima considerazione, non meno importante, riguarda l’impatto sulla organizzazione familiare che spesso dipende dal sostegno delle persone anziane, anche per le carenze e i limiti del sistema pubblico di servizi all’infanzia. A riguardo è sufficiente ricordare quanto emerge dall’indagine Conciliazione tra lavoro e famiglia. Il 38% dei nuclei familiari con figli fino a 14 anni ricorre regolarmente all’aiuto di parenti o amici per la cura e in nove casi su dieci a dare il supporto sono i nonni (34,4%).

I dati mostrano, in definitiva, che gli effetti della pandemia in corso sono stati drammatici nelle zone più colpite e sarebbero stati devastanti se non si fosse intervenuti per limitare il contagio. Queste evidenze spingono pertanto a considerare con maggior favore le misure eccezionali adottate, malgrado le relative conseguenze economiche e sociali. Peraltro, anche la progressiva assunzione di atteggiamenti più prudenti da parte di altri paesi, i cui governi sembravano inizialmente considerare di poter convivere con il virus senza troppa preoccupazione, in attesa che la diffusione del contagio assicurasse la cosiddetta “copertura di gregge”, suggerisce che si trattava di una scelta difficilmente perseguibile. Altra questione, cui qui non siamo in grado di rispondere, è se si potesse procedere, come alcuni hanno fatto, con strumenti diversi, quali una tracciatura dei contagiati, o l’applicazione delle misure di contenimento solo ai soggetti più a rischio. L’ adozione di sistemi di contenimento diversi, anche sulla base delle esperienze di altri paesi, potrà essere considerata nella fase di uscita dalle attuali limitazioni.

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