Modelli di sviluppo per le aree interne

Carmela Giannino dopo avere spiegato cosa si intenda per “aree Interne” illustra le ragioni per le quali esse rappresentano una rilevante opzione strategica per la programmazione dei Fondi comunitari relativi al periodo 2014-2020. In particolare, Giannino spiega perché si tratti di una nuova opportunità in grado di assicurare a queste aree – con la mobilitazione del privato e del pubblico, anche attraverso politiche nazionali – una maggiore accumulazione di capitale infrastrutturale, sociale ed economico.

Le aree interne rappresentano una parte molto ampia del nostro paese – circa tre quinti del territorio e poco meno di un quarto della popolazione – e sono molto diversificate al proprio interno oltre che distanti dai grandi centri di agglomerazione e di servizio. Esse rappresentano una rilevante opzione strategica per la programmazione dei fondi comunitari 2014-2020 che mirano allo sviluppo economico e sociale del paese.
In sintonia con la scelta operata dal documento Metodi e obiettivi per un uso efficace dei fondi comunitari 2014-2020 e dall’Accordo di partenariato per la nuova programmazione dei Fondi strutturali 2014-2020, le aree interne sono concepite come territori da federare intorno a temi comuni e da indirizzare verso traiettorie di sviluppo.
L’“area interna” non è necessariamente un’”area debole”; infatti, la strategia identifica nella “lontananza” dai servizi essenziali la sua principale caratteristica. D’altro canto, una lettura completa delle caratteristiche e dei diversi percorsi di sviluppo territoriale richiede l’esame della dinamica della struttura demografica e socio-economica delle aree individuate.

Costruire un progetto per le aree interne del paese può consentire di raggiungere tre distinti ma interconnessi obiettivi generali [1. Cfr.: Sabrina Lucatelli, Aree interne, riflessioni di policy, in Urbanistica Informazioni n. 252/2013]:

  •  mettere in sicurezza il territorio;
  •  promuovere la diversità naturale e culturale;
  •  concorrere a una nuova stagione di sviluppo.

 Riguardo al primo obiettivo, occorre evidenziare che la tutela del territorio e della sicurezza degli abitanti delle aree interne è oggi assai inadeguata. Si interviene in modo occasionale ed emergenziale sui suoli e sulle risorse fisiche territoriali, trascurando la manutenzione ordinaria, degli invasi e corpi idrici, dei versanti, delle aree boschive, di quelle incolte e degli insediamenti (agricoli, ma anche dei borghi antichi e dei piccoli insediamenti), determinando a un tempo: rischi idrogeologici elevati, costi molto alti per gli interventi di recupero, perdita di occasioni di reddito e di vita per la popolazione residente.
Il secondo obiettivo, riferito alla singolare biodiversità climatica e naturale delle aree interne, consente di favorire la diffusione e la sopravvivenza di paesaggi e produzioni agricole diversi. Questa duplice diversità, naturale e antropica, si è mescolata nei singoli luoghi con la diversità di lingue, culture e tradizioni, determinando diversità dei luoghi e policentrismo urbano che assumono, quindi, un ruolo crescente come opportunità di sviluppo. Sotto questo profilo, la presenza di popolazioni demograficamente diverse (giovani e vecchi, residenti fissi e temporanei, nati nei luoghi, immigrati di ritorno, immigrati o “globali”) è garanzia del risultato.
Il terzo obiettivo, lega le opportunità di sviluppo alla convenienza di vivere in questi territori, in modo permanente o per una parte della propria vita, in modo da assicurare manutenzione e promozione della diversità.
Per sviluppo deve intendersi sia crescita, sia inclusione sociale (ossia accesso del maggior numero di persone a livelli socialmente accettabili di servizio e di opportunità di vita). Una valorizzazione adeguata delle aree interne, dei loro boschi, valli, fiumi, cime, borghi e centri maggiori, può consentire nuove, significative opportunità di produzione e di lavoro nei comparti del turismo, dei servizi sociali, dell’agricoltura (dove l’idealità ecologica può divenire politica agricola positiva), della rivitalizzazione e valorizzazione degli antichi mestieri, dove possono combinarsi saperi stratificati e innovazione.
E’ così possibile identificare nuove interessanti “geografie territoriali di riferimento” per impostare progetti mirati e funzionali alla soluzione delle criticità in atto. In queste aree, da un lato, l’inadeguatezza dei servizi di trasporto, del sistema di welfare, delle condizioni del mercato del lavoro – ancor più per le donne e le giovani generazioni- e, dall’altro, un patrimonio ambientale, culturale e quindi anche economico che, come detto, costituisce un asset fondamentale per l’economia nazionale, generano l’esigenza di un profondo mutamento delle modalità dell’intervento pubblico.

Lo sviluppo delle aree interne, come richiesto dalla Strategia 2014-2020, è legato alla possibilità di realizzare azioni in aree-progetto, senza distinzioni tra nord e sud, con fortissima attenzione ai singoli contesti territoriali, composte da gruppi di Comuni (anche a cavallo di più Province e Regioni) sulla base di una ricognizione analitica e sul campo dei seguenti profili: trend demografici, utilizzo del suolo, patrimonio naturale e culturale, sistema produttivo e opportunità di sviluppo, stato dei tre servizi essenziali e del digital divide, portafoglio progettuale e capacità di svilupparlo, esperienze di cooperazione inter-comunale (specie in progetti comunitari), esistenza di leadership locale e vivacità del partenariato e dell’associazionismo.
Condizione necessaria per il successo della strategia è il “rafforzamento della struttura demografica dei sistemi locali delle aree interne”, che si può realizzare attraverso la crescita demografica, l’aumento della presenza degli immigrati in età attiva o l’aumento delle classi di popolazione in età lavorativa.
Ciascuno degli obiettivi deve essere perseguito attraverso l’interazione tra interventi nazionali o di respiro nazionale (ad esempio, politica scolastica nazionale, politica sanitaria nazionale e regionale) e interventi locali (progetti di sviluppo locale), in una logica di riequilibrio raccogliendo sui territori le dinamiche nate dalla collaborazione fra cittadini e amministratori, trasformando i conflitti in laboratori verso nuove modalità di relazione fra istituzioni e abitanti [2. Cfr: Filippo Tantillo, Una proposta per le aree interne , in Il Manifesto del 29/01/2014].
Partendo dal riconoscimento della diversità delle aree interne, la strategia intende perseguire un intervento di policy caratterizzato da una doppia dimensione: impegnare il Paese, le Regioni, i Comuni in forma associata e più in generale tutti i soggetti protagonisti a livello territoriale; costruire “una rete di Progetti sul territorio” facendo leva su alcuni ambiti prioritari di intervento e sulla costruzione di meccanismi di collegamento con la politica ordinaria. Tali ambiti privilegiano l’attenzione al miglioramento delle condizioni di cittadinanza degli abitanti e l’affiancamento – accanto ai progetti d’Area della Strategia – di una serie di interventi e impegni sul piano dell’offerta dei servizi di base alla persona (Scuola, Salute e Mobilità).

Il rilancio di queste aree sta già avvenendo ma a macchia di leopardo. Affinché divenga un fattore di sviluppo del Paese occorre sostenerlo e farlo durare. L’Italia ha già accumulato un ricco e diversificato patrimonio di esperienze che, a partire dagli anni ’90, con denominazioni e in contesti diversi, hanno inteso valorizzare capacità ed energie già esistenti sul territorio.
Sulla base dei contributi raccolti a seguito di un seminario “Modelli si sviluppo per le aree interne”, svoltosi a Torino nell’ambito di Urbanpromo 2013, che intendeva documentare esperienze di politiche pubbliche di sviluppo in grado di rappresentare la pluralità e complessità di piani e programmi in atto sul territorio, sono state proposte all’attenzione degli operatori di sviluppo due esperienze che costituiscono un utile riferimento per avviare progetti per le aree interne. Il progetto Hospitis [3. Cfr: Francesco Maiorano, Obsolescenza e cambiamento: il valore di “Hospitis” per le comunità locali delle aree interne, in Urbanistica Informazioni n. 252/2013], che già qualche anno fa anticipava i temi dello sviluppo per le aree interne, attraverso l’offerta di ospitalità diffusa alle comunità locali del Subappenino Dauno e del Salento, da anni in perenne stato di abbandono e isolamento, è incentrato sullo “sviluppo di forme dolci di turismo sostenibile” e indirizzato principalmente ad alcuni piccoli borghi del Subappennino Dauno, delle Murge e del Salento. L’idea guida è quella di valorizzare il territorio e di favorire un turismo consapevole al di fuori dei soliti circuiti, cercando allo stesso tempo di impedire l’abbandono e lo spopolamento dei borghi, promuovendo la creazione di strutture ricettive e di accoglienza all’interno del patrimonio edilizio sottoutilizzato e/o abbandonato. Ciò può avvenire attraverso forme consolidate di “housing sociale”, configurando alcuni immobili pubblici come luoghi di “coworking sociale” ovvero luoghi di aggregazione, di occupazione e di svolgimento di funzioni socio-assistenziali per l’intera comunità locale, incrementando la dotazione di servizi e valorizzando al contempo le pratiche costruttive locali sull’autosufficienza energetica da fonti rinnovabili degli immobili da riutilizzare.
Un’altra interessante sperimentazione è stata avviata nel contesto territoriale della Val Tassaro [4. Cfr: Giuliano Cervi, con il contributo di Marcello Capucci, Il laboratorio integrato di recupero territoriale della Val Tassaro, in Urbanistica Informazioni n. 252/2013], nell’appennino emiliano (nel Comune di Vetto, provincia di Reggio Emilia). Tale area, benché servita da una rete stradale che la collega al sistema produttivo padano-emiliano, ed allo stesso asse viario dell’Autostrada del Sole (in particolare con la recente apertura dell’uscita Terre di Canossa), ha tuttavia risentito in modo assai rilevante degli effetti dell’abbandono. La zona comprende l’intero bacino idrografico del torrente Tassaro: al suo interno sono presenti alcuni borghi di origine medievale, un articolato tessuto di antiche percorrenze viarie, una serie di mulini, una antica chiesa parrocchiale eretta a fianco dei ruderi di una rocca ed una rete diffusa di piccoli opifici (essiccatoi) per la lavorazione delle castagne, che nel passato ebbero grande importanza per l’autonomia economica ed alimentare dell’intera vallata. Con l’intento di creare le condizioni per fermare, ma soprattutto invertire, il processo di decadimento di questo territorio è stata impostata una complessa strategia finalizzata a conseguire il riconoscimento di tutta l’area a sito di importanza comunitaria (SIC). Tale passaggio ha consentito di ottenere alcuni finanziamenti europei del Piano di Sviluppo Rurale, creando le condizioni per avviare una vasto piano di interventi pubblici e privati.

Entrambe le esperienze, assieme ad altre che sono in fase di realizzazione, prefigurano possibili policy per incrementare nel futuro il capitale infrastrutturale, sociale ed economico delle aree interne del Paese, invertendo il processo di decadimento del territorio e attivando un progetto di rinascita e di sviluppo.

Programmazione comunitaria 2014-2020 –
Strategia per le aree interne

Aree interne 2014-2020

 

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