Mobilità interna e migrazioni internazionali: un recente Rapporto dell’Istat

Iacopo Gronchi esamina i dati contenuti nell’ultimo Rapporto ISTAT sulle migrazioni interne ed internazionali e sottolinea che quei I dati mettono in luce soprattutto tre fenomeni: la persistenza della dinamica migratoria inter-regionale lungo la direttrice Mezzogiorno-Centro/Nord; l’incremento tendenziale e la mutazione in termini di composizione dei flussi in ingresso di cittadini stranieri; l’aumento tendenziale dei flussi in uscita di cittadini italiani e, in particolare, dei giovani diplomati e laureati.

Il recente Report dell’Istat sulle migrazioni interne e internazionali della popolazione residente permette di conoscere l’intensità e la direzione dei flussi migratori che incidono sulla composizione socio-demografica della popolazione italiana. A tal riguardo, i dati relativi all’anno 2017 mettono in luce la persistenza di tre fenomeni.

Il primo riguarda il fronte interno e concerne una dinamica residuale rispetto all’intensità degli altri flussi ma persistente di migrazione inter-regionale, con trasferimenti che vanno prevalentemente dal Mezzogiorno al Centro-Nord. Sul fronte esterno, si evidenziano due fenomeni: un aumento tendenziale sia dei flussi in ingresso di cittadini stranieri sia dei flussi in uscita di cittadini italiani e, in particolare, dei giovani diplomati e laureati. Il primo è inedito sotto il profilo della composizione dei flussi, il secondo costituisce una conferma.

A muovere dalle evidenze contenute nel recente Rapporto ISTAT, questo Focus propone un approfondimento dei tre fenomeni appena delineati, discutendo brevemente anche le loro implicazioni di politica economica. Prima di procedere è opportuno ricordare che le evidenze empiriche contenute nel Rapporto ISTAT si riferiscono ai dati relativi alle iscrizioni e cancellazioni anagrafiche per trasferimento di residenza, compilate dalle Anagrafi comunali o dagli Uffici di Statistica dei Comuni. Non includono, pertanto, i fenomeni di immigrazione ed emigrazione irregolare o passeggera.

Per quel che riguarda la mobilità interna, il volume complessivo del flussi (un milione e 335 mila trasferimenti) risulta sostanzialmente invariato sia rispetto all’anno precedente (+0,2%) sia rispetto alle tendenze storiche che hanno caratterizzato il ventennio 1997-2017. Il dato, disaggregato in trasferimenti inter-regionali, inter-provinciali e intra-provinciali, rivela tuttavia alcuni dettagli non privi di interesse. I trasferimenti inter-regionali rappresentano 24,2% del totale, pari a 322.867 in valore assoluto Circa 110.000 di essi hanno seguito la tradizionale direttrice dal Mezzogiorno (Sud e Isole) al Centro-Nord mentre quelli in direzione opposta sono stati circa 56.000. La perdita netta per la ripartizione meridionale è quindi di circa 54.000 residenti, in linea con una tendenza che da circa 20 anni – se si escludono i picchi raggiunti alla fine degli anni Novanta (1999-2000) e all’avvio della crisi economica (2012) – produce circa 50.000 trasferimenti netti annui dal Mezzogiorno al Centro-Nord.

Questo dato potrebbe apparire marginale, ma nel periodo 1997-2017 ha portato a uno spostamento netto complessivo decisamente significativo: oltre un milione di residenti. Coerentemente, in tale periodo le regioni del Centro-Nord hanno registrato flussi netti dal Mezzogiorno costantemente positivi (per un totale di oltre 311.000 unità in Emilia-Romagna, oltre 260.000 in Lombardia e 602.000 nelle altre regioni del Centro e del Nord) mentre le regioni meridionali hanno registrato flussi netti esclusivamente negativi (con l’unica, significativa eccezione dell’Abruzzo, il cui trend migratorio è stato caratterizzato dalla discontinuità legata agli eventi del terremoto che ha colpito L’Aquila nel 2009). È opportuno sottolineare come questi dati non tengano conto di chi, pur non trasferendo la propria residenza, compie a cadenza regolare il medesimo percorso per ragioni di studio universitario o di lavoro stagionale, a loro volta legate alle maggiori opportunità offerte dal tessuto socio-economico del Centro-Nord.

Al livello di dettaglio intra-provinciale, il dato saliente è quello che riguarda la distribuzione territoriale dei movimenti. Su un totale di circa 807.000 trasferimenti avvenuti nel 2017, ben 606.000 (75%) si sono svolti all’interno delle province del Centro-Nord: una mobilità relativamente più intensa dovuta, in larga parte, a un dinamismo delle strutture produttive che invece non sembra aver toccato in modo analogo le aree del Mezzogiorno.

Considerando infine la migrazione inter-provinciale, a fronte di una certa stabilità del fenomeno (circa 528.000 trasferimenti, -0,3%), è interessante rilevare la forte caratterizzazione dei profili dei migranti in oggetto. La distribuzione tra i generi è pressoché paritetica (con una lieve maggioranza di migrazione maschile, pari al 50,6% sul totale) e l’età sembra essere un fattore particolarmente influente sul comportamento migratorio. Ben il 49% degli spostamenti inter-provinciali hanno infatti coinvolto soggetti nella fascia d’età compresa tra 15 e 39 anni.

Le province dei grandi centri urbani del Centro-Nord sono, invece, caratterizzate da un doppio fenomeno: da un lato, il trasferimento inter-provinciale netto positivo nella fascia d’età tra 18 e 24 anni; dall’altro, il trasferimento inter-provinciale netto negativo per gli adulti sopra i 65 anni. Sempre in termini di mobilità interna, si rileva infine la persistente superiorità del tasso di mobilità dei cittadini stranieri (4,6% sulla popolazione residente straniera) sul tasso di mobilità dei cittadini italiani (2% sulla popolazione residente italiana). Una dinamica riconducibile agli sviluppi del processo di integrazione, spesso associato a precarietà delle condizioni di vita e ad una ricerca persistente del luogo ottimale di lavoro e residenza nonché ad un minore legame con i luoghi di primo approdo/residenza che tende a rendere i cittadini stranieri verosimilmente più inclini alla mobilità se comparati ai cittadini italiani.

Per quanto concerne il secondo ed il terzo fenomeno presi in esame (flussi in ingresso di cittadini stranieri e flussi verso l’estero di cittadini italiani), l’evoluzione tendenziale dei flussi è caratterizzata da una grande variabilità quantitativa e qualitativa. Dal punto di vista quantitativo, ai picchi di iscrizioni raggiunti nel 2003 (440.301; incremento delle regolarizzazioni anagrafiche) e nel 2007 (527.123; allargamento dell’Unione Europea a Romania e Bulgaria) ha fatto seguito un lento declino, poi contrastato dall’aumento dei flussi provenienti dai Paesi che si affacciano sul Mediterraneo (2014) fino al dato più recente del 2017 di 343.400 iscrizioni anagrafiche dall’estero (+14% sul 2016), di cui l’87,7% riferite a individui aventi cittadinanza straniera.

In virtù di questo trend, il tasso di intensità dell’immigrazione straniera (ovvero il rapporto tra iscrizioni dall’estero di cittadini stranieri e popolazione media residente, per mille) è pari a 5 immigrati stranieri ogni mille abitanti: il valore più alto registrato negli ultimi 5 anni. Questo dato, tuttavia, contribuisce a spostare solo marginalmente l’Italia dalla posizione occupata nella graduatoria europea per quel che riguarda l’intensità dell’immigrazione (secondo i dati del 2016, l’Italia risulta essere 22° nella classifica europea dei paesi membri ordinati per intensità dell’immigrazione). Dal punto di vista qualitativo, è invece possibile disaggregare la composizione dei flussi in ingresso rispettivamente per cittadinanza, età, genere e destinazione.

Per quanto riguarda la cittadinanza, nel 2017 la componente preponderante rimane (pur in calo del 4% rispetto al 2016) quella dei cittadini rumeni (circa 43.000), seguito da un grande aumento dei cittadini nigeriani (circa 23.000, +58,4%), marocchini (circa 16.000, +7,25) e brasiliani (circa 16.000, +49,5%). Al contempo, seppure ancora limitati in termini assoluti, si registrano forti aumenti nelle iscrizioni anagrafiche di cittadini provenienti da nazioni africane: Senegal (11.000, +27,4%), Gambia (9.000, +31,2%), Mali (7.000, +30,6%), Costa d’Avorio (7.000, +84,6%) e Ghana (6.000, +45,8%). Al contrario, diminuiscono i trasferimenti da nazioni asiatiche quali Cina (11.000, -9%) e India (8.000, -22%).

Interpretando questi dati alla luce degli sviluppo socio-economici che segnano la storia recente dei Paesi di provenienza considerati, emerge un parziale mutamento nella natura dei flussi migratori provenienti dall’estero: da un’immigrazione legata principalmente alla ricerca di lavoro o al ricongiungimento familiare, sembra affermarsi un’immigrazione maggiormente legata ad emergenze umanitarie. Il dato relativo all’età media dei cittadini immigrati, in calo rispetto al dato del 2012 (da 30,4 a 28,1 per gli uomini; da 33,5 a 32,4 per le donne), rende plausibile l’ipotesi di una immigrazione sempre più legata ad emergenze umanitarie rispetto alle motivazioni lavorative o familiari, per quanto tale affermazione meriti ulteriori approfondimenti; e anche il dato relativo alla distribuzione per età delle iscrizioni dall’estero è coerente con la tendenza descritta (il 57% delle stesse si concentra nella fascia di età tra i 18 e i 36 anni), promossa dall’aumento relativo ma sostanziale delle iscrizioni di cittadini nord-africani la cui età media si attesta sui 25 anni.

In termini di genere, l’immigrazione del 2017 ha visto uno squilibrio a favore degli uomini (58,2%) pur al netto di una forte variabilità entro le diverse cittadinanze (con un tendenziale approfondimento dello squilibrio verso l’immigrazione maschile nel caso dei Paesi africani, bilanciato da una solida maggioranza di immigrazione femminile nel caso dei Paesi est-europei). Per quanto riguarda, infine, la distribuzione regionale dei flussi, accanto al dato saliente della Lombardia (che da sola ne accolte il 19,3%), cui seguono con largo distacco Lazio (9,6%) ed Emilia-Romagna (9,2%), è rilevata la capacità d’attrazione anche di regioni del Mezzogiorno, quali Campania (7%), Sicilia (5,2%), Puglia (4,1%) e Calabria (3,5%).

Il terzo fenomeno descritto, inerente la mobilità esterna in uscita, è infine caratterizzato da un calo delle cancellazioni anagrafiche per l’estero (circa 155.000 unita, pari al -1,2% sul 2016) che tuttavia continuano a superare ampiamente il numero di rimpatri, per un saldo migratorio con l’estero complessivamente negativo di 72.190 unità in meno rispetto all’anno precedente. Il dato evidenzia un tendenza che, rimasta sostanzialmente stabile nel periodo tra 1997 e 2010 (per un saldo medio negativo di 7.000 unità all’anno), vede a partire dal 2011 un’impennata delle cancellazioni a fronte di un numero stabile di iscrizioni, spingendo i saldi migratori verso i valori più bassi degli ultimi venti anni.

La disaggregazione per Paese di destinazione vede il Regno Unito, nonostante le incertezze legate alla Brexit, come meta preferita degli emigrati italiani (circa 21.000 unità), seguito da Germania (quasi 19.000), Francia (circa 12.000) e Svizzera (oltre 10.000). La Lombardia è la regione con il maggior numero di cancellazioni (circa 22.000), seguita a larga distanza da Sicilia e Veneto (entrambe circa 11.000). Gli espatriati italiani hanno un’età media di 33 (uomini) e 30 anni (donne) e sono principalmente composti da uomini (55,8%), per quanto il dato sia attenuato dalla sostanziale sovrapposizione quantitativa dell’emigrazione maschile e femminile entro i 25 anni (circa 18.000 unità a genere).

Infine, la disaggregazione per titolo di studio rivela che oltre la metà degli espatri (52,6%) coinvolge individui in possesso di un titolo di studio medio-alto: ovvero, circa 33.000 diplomati (sostanzialmente stabile sul 2016) e 28.000 laureati (in aumento del 3,9%). Un dato che manifesta la propria portata soprattutto se ampliamo lo spettro temporale rispetto al 2013: in tal caso, l’aumento degli emigrati diplomati è del 32,9%, mentre quello degli emigrati diplomati è del 41,8%. I saldi migratori cumulati nel quinquennio 2013-2017 per la fascia d’età sopra i 24 anni evidenziano così una perdita netta di circa 244.000 unità, di cui il 64% avente un titolo di studio medio-alto. Questi numeri potrebbero essere spiegati sia dall’andamento negativo del mercato del lavoro italiano (che dal 2012 vede gravitare il proprio tasso di disoccupazione intorno o sopra il 10%), sia in base al più ampio fenomeno della globalizzazione (che consente ai più qualificati di investire le proprie competenze in Paesi dove trovare maggiori opportunità di carriera e retributive), sebbene entrambe le ipotesi richiedano separati approfondimenti.

Complessivamente, il primo fenomeno (migrazione interna dal Mezzogiorno al Centro-Nord) e il terzo fenomeno (aumento della mobilità in uscita da parte di cittadini italiani, in particolare di individui in possesso delle maggiori qualifiche di studio) potrebbero essere interpretati come un possibile sintomo dell’indebolimento strutturale che affligge ormai da tempo il nostro Paese.

Il secondo fenomeno (aumento della mobilità in entrata da parte di cittadini stranieri, e in particolare dal Nord Africa) potrebbe essere invece riconducibile a più ampie dinamiche geo-politiche inerenti altri contesti socio-economici, per quanto risulti non meno importante in termini demografici e, data l’assodata sensibilità della polity italiana nei confronti del tema, politici.

A fronte di questi fenomeni, la corretta ricezione e interpretazione di questi dati costituisce una base informativa di cruciale importanza per valutare non tanto la capacità attrattiva del paese e delle sue aree, quanto la rispondenza delle politiche pubbliche rispetto ai mutevoli scenari demografici su cui si desidera che queste abbiano un impatto. Il tema del cambiamento demografico è crocevia per molte delle numerose sfide di policy che caratterizzano il nostro sistema-Paese: dalla riforma dei sistemi di integrazione culturale e sociale alla ricostruzione del sistema di welfare, fino alla disposizione di politiche economiche e industriali capaci di creare occupazione di qualità e rivitalizzare aree produttive lasciate ai margini delle catene del valore nazionali e internazionali.

Se la qualità delle politiche pubbliche è un correlato della qualità della diagnosi dei problemi di tale sistema, prendere atto delle dinamiche descritte in dettaglio nel Rapporto in oggetto non può che essere il necessario passo preliminare per interpretarne le ragioni profonde e, coerentemente, agire strutturalmente su di esse. Ammesso che la politica intenda affrontarle con cognizione di causa, o semplicemente pretenda di farlo.

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