Misurare il capitale culturale

Annalisa Cicerchia partendo dall’osservazione che per la cultura e il patrimonio culturale non esiste, diversamente da quanto accade per l’ambiente, un metodo condiviso per valutare il flusso di servizi che essi offrono, illustra un recente documento del Department for Digital, Culture, Media and Sport (DCMS) del Regno Unito che si propone di gettare le basi per dare soluzione a questa mancanza evitando così il rischio che non si tenga conto del valore della cultura e del patrimonio (monetizzato o meno) nei processi decisionali.

Da quasi quarant’anni, l’economia ambientale ha sviluppato metodi e tecniche per misurare il flusso di servizi che l’ambiente fornisce alle società umane in termini di risorse e funzioni fondamentali. Diversa è la situazione per la cultura e il patrimonio culturale: anch’essi forniscono a persone e imprese servizi, ma, dato che non esiste un metodo di valutazione condiviso, a questi servizi è implicitamente attribuito un valore nullo, con conseguenti decisioni sub-ottimali sugli investimenti e sulla manutenzione. I settori della cultura e del patrimonio devono articolare meglio il loro impatto, stimare il valore generato con finanziamenti pubblici e descrivere in modo più chiaro i benefici delle diverse opzioni di investimento.

Parte da qui un programma ambizioso del Department for Digital, Culture, Media and Sport (DCMS) del Regno Unito, un dicastero che si è distinto fino dalla fine del XX secolo per l’intensa attività di produzione e analisi statistica a sostengo delle decisioni, noto soprattutto per essere stato tra i pionieri della mappatura delle imprese del settore culturale e creativo e degli studi sulla intensità creativa di tali imprese.

In un documento diffuso a fine gennaio 2021, Harman Sagger, Jack Philips e Mohammed Haque gettano le basi per elaborare un approccio formale alla valutazione del capitale costituito dalla cultura e dal patrimonio culturale.

Si parte dalla classica tripartizione economica delle forme di capitale: fisico, umano e naturale. Le tre forme di capitale condividono due caratteristiche di base: 1) A differenza di un puro bene di consumo, uno stock di capitale fornisce un flusso di rendimenti nel tempo che possono essere finanziari o non finanziari; 2) Il capitale può deprezzarsi, e questo deprezzamento può ridurre il valore attuale dei rendimenti futuri attesi.

Il programma Capitale culturale e patrimonio culturale del DCMS fa parte di un più ampio lavoro che punta a individuare e a misurare i “capitali mancanti”, sulla falsariga degli altri capitali.

Cosa non secondaria, l’esercizio va nella direzione di applicare le metodologie prescritte dal Libro Verde del Ministero del Tesoro, una guida su come esaminare e valutare progetti e programmi, perché anche gli investimenti siano evidence based. Cosa forse ancor più importante, il Libro Verde segue un approccio di welfare, il che significa che l’obiettivo della politica pubblica è accrescere il benessere sociale. Le sue basi teoriche annoverano i concetti di fallimento del mercato e di analisi sociale dei costi e dei benefici. Questo approccio di welfare incoraggia quindi a valutare i benefici e i costi di ogni tipo, non solo i benefici finanziari e strettamente economici, come i posti di lavoro o altre misure standard di produzione economica.

La definizione di capitale culturale. Throsby (“Cultural Capital”, Journal of Cultural Economics, 1999) definisce il capitale culturale come “un bene che incorpora, conserva o genera un valore culturale, in aggiunta al valore economico che può possedere”. Il valore economico è spesso associato alla capacità di generare utilità attraverso la soddisfazione di bisogni; il valore culturale aggiunge una dimensione di apprezzamento che trascende la mera funzionalità, come accade, ad esempio, negli oggetti di design o nelle opere d’arte. Sagger, Phillips e Hacque parlano di gallerie d’arte o edifici storici, che forniscono servizi al pubblico come luoghi di ricreazione, apprendimento e conservazione dell’identità locale. Questi servizi sono vantaggiosi per l’individuo e la società nel suo complesso e quindi creano valore. Si tratta tanto di beni tangibili e fisici (edifici o oggetti), quanto di beni intangibili, non fisici (il cosiddetto patrimonio immateriale, come folklore, costumi, credenze e tradizioni.

Un programma per indirizzare le politiche di gestione del capitale culturale. L’approccio del Capitale culturale e patrimonio culturale è pensato per fornire un quadro comune di riferimento e ridurre significativamente il rischio che il valore della cultura e del patrimonio (monetizzato o meno) sia ignorato nel processo decisionale. Questo è possibile se ai decisori vengono forniti strumenti per un’analisi costi-benefici e una valutazione dei rischi più complete, per monitorare e valutare le perdite e i guadagni nel tempo della cultura e del patrimonio; per valutare il valore dei servizi futuri forniti da un bene; per orientare gli investimenti e informare le decisioni in materia di risorse e gestione; per rendere espliciti i legami con l’attività economica e le pressioni sui beni culturali e sul patrimonio e comprendere i legami tra i diversi tipi di capitale.

La misurazione secondo l’approccio proposto può essere utile in circostanze come la realizzazione di un nuovo spazio culturale, ad esempio un teatro, un museo, un auditorium; oppure quando ci si interroga sull’adeguatezza delle modalità di tutela, manutenzione o conservazione di un bene; quando ci si domanda quale potrebbe essere l’impatto di una determinata politica –di tipo fiscale, monetario o finanziario – sul patrimonio e sui servizi culturali, o si discute come regolamentare il settore, o parte di esso, se con riforme dell’attuale assetto o con l’introduzione di nuove norme; e, infine, quando si deve valutare la priorità di uno o più interventi.

La tavola 1 illustra, attraverso definizioni ed esempi, I beni culturali che sono stati inclusi nell’esercizio promosso dal DCMS, in riferimento a cinque ambiti: l’ambiente storico edificato, i paesaggi e l’archeologia, le collezioni e il patrimonio mobile, le arti performative e i loro spazi e i beni culturali digitali. Restano per il momento fuori, perché particolarmente difficili da stimare in termini monetari, nonostante il fatto che anch’essi creano valore, i beni immateriali non fisici (il folklore, i costumi, le credenze e le tradizioni), la proprietà intellettuale e il soft power, cioè il servizio fornito da una risorsa attraverso l’aumento dell’attrattiva dell’area in cui si trova.

Gli Autori osservano che spesso i beni culturali fisici e tangibili forniscono servizi che tengono in vita molti beni immateriali e intangibili. Pertanto, il loro valore sarà almeno in parte restituito attraverso le stime fornite dal Capitale della cultura e del patrimonio culturale. Per quanto riguarda la proprietà intellettuale, che non viene considerata come a sé stante, il suo valore sarà intrinseco a molti dei valori della disponibilità a pagare per lo spettacolo dal vivo.

Esempi di come l’approccio del DCMS considera i beni e le attività culturali possono essere gli oggetti di una collezione d’arte o un edificio storico: questi sono lo “stock”, mentre i servizi che creano benefici alla società sono considerati “flussi”. Usi non corretti o non sostenibili possono influenzare negativamente i servizi forniti da un bene e la domanda di quei servizi. Interventi di gestione, input aggiuntivi e politiche efficaci possono avere, al contrario, un effetto positivo.

Si tratta quindi di stimare i valori monetari per questi flussi, e, in base ad essi, è possibile approssimare il valore di un bene nel suo complesso attraverso previsioni in un periodo di tempo dato.

Purtroppo, mentre le linee guide del Tesoro richiedono che i benefici siano stimati in termini monetari, molte delle evidenze ad oggi sono di tipo qualitativo. Pertanto, per esprimere il valore della cultura e del patrimonio è necessario uno sforzo supplementare di ricerca che vada oltre la preferenza individuale manifestata soprattutto attraverso il valore di uso (visitare un monumento, ammirarlo da lontano, leggerne su internet o semplicemente sapere che si ha la possibilità di visitarlo). Nei settori della cultura e del patrimonio, sono importanti anche altri valori, come quelli di non-uso (valore di esistenza, valore altruistico, o valore di lascito).

Per stimare il valore della cultura e del patrimonio culturale i prezzi di mercato non bastano; i benefici prodotti spesso non danno luogo a costi e ricavi monetari. Ciò avviene per tre ragioni essenziali: perché esiste il valore di non-uso, perché la fruizione di molti beni è sovvenzionata – cosicché il biglietto di ingresso (a teatri, Opera, musei, ecc. ) non riflette la reale disponibilità a pagare – e, infine, perché molti beni sono godibili senza pagare nulla, come quelli che si ammirano passandoci accanto.

Per catturare i benefici della cultura e del patrimonio culturale, il modello inglese fa riferimento a una pluralità di metodi più o meno legati alla disponibilità a pagare, tra i quali sono noti e largamente applicati:

  • La valutazione contingente, che rileva direttamente la disponibilità delle persone a pagare per ottenere un certo bene, o a essere compensati per rinunciarvi; o la sua versione indiretta, che sono i modelli di scelta fra opzioni alternative;
  • I prezzi edonici, metodo questo che esamina l’influenza di un bene o di un servizio sui prezzi in un mercato correlato, come, per esempio, i prezzi delle case che potrebbero essere influenzati dalla prossimità con i beni culturali;
  • I costi di viaggio, cioè la quantità di tempo e di denaro che le persone sono disposte a impiegare per consumare un bene o un servizio;
  • Il benessere soggettivo e il metodo Quality Adjusted Life Years (QALYs), usato soprattutto in ambito sanitario, la cui unità di misura è il valore di un anno di vita in perfetta salute.

Gli autori osservano tuttavia che la disponibilità a pagare può riflettere una consapevolezza incompleta dei benefici dei servizi della cultura e del patrimonio culturale in termini di salute, benessere sociale ed educazione.

Il progetto del DCMS mira a costruire strumenti per calcolare l’impatto degli interventi – pubblici in primis, ma anche privati – sul valore totale che i beni, lungo il loro intero ciclo di vita, forniscono al pubblico. Questo valore sarà influenzato dalla durevolezza del bene, dalla durata e dalla continuità degli interventi, dall’uso che si fa del bene o dalla qualità dei servizi che fornisce, dal tasso di sconto, e così via.

I prossimi passi promettono di essere molto interessanti. Il DCMS si misurerà con diversi tipi di beni culturali, cercherà di migliorare le metodologie di valutazione, di cogliere le sovrapposizioni fra capitale naturale e capitale culturale, di produrre ponderazioni, di applicare i valori di non-uso, di apprezzare il riuso di beni storici per ridurre gli impatti ambientali e così via.

La visione del DCMS è un motivo di conforto, soprattutto se la si paragona alla miopia dominante in Italia, dove il valore economico della cultura e del patrimonio culturale si riduce ai biglietti venduti o alla moltiplicazione della spesa turistica. Il documento inglese specifica, infatti, che l’oggetto principale della valutazione è il beneficio che le persone traggono da beni e servizi prodotti dalla cultura e dal patrimonio: arricchimento di conoscenze e capacità (le cosiddette life skills) e soprattutto il miglioramento del benessere individuale e sociale.

Tavola 1: Beni culturali e patrimoniali
Definizioni Esempi
Ambiente storico edificato Una struttura storica riconosciuta importante per il suo interesse in termini di patrimonio Edifici e strutture storiche vincolati e non vincolati.
Paesaggi e archeologia Caratteristiche storiche nell’ambiente naturale Siti archeologici, campi di battaglia, canali, giardini, parchi, rovine, relitti di navi
Collezioni e patrimonio mobile Un oggetto che può essere spostato in una collezione o che è mobile Arte, archivi, biblioteche, collezioni di musei, targhe, sculture, trasporti come aerei e treni
Arti performative e loro spazi Contenuto artistico esibito a un pubblico Teatri, cinema, sale da concerto, danza, festival, spazi multiuso, luoghi di musica e altri luoghi di spettacolo
Beni digitali Collezioni virtuali per la fruizione Archivi digitali e collezioni online
Sagger, Philips e Haque, 2021

 

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