Minori rom apolidi: dall’invisibilità giuridica alla cittadinanza italiana?

Elena Rozzi si occupa dei minori rom apolidi che, pur essendo figli di persone nate in Italia o residenti da noi da decenni, non sono cittadini italiani né hanno un titolo di soggiorno o un documento di identità. Rozzi descrive la drammatica situazione di questi minori ai quali sono negati i diritti – alla salute, all’istruzione e a condizioni di vita adeguate – riconosciuti dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia del 1989 e auspica che la Strategia d’Inclusione dei Rom approvata dal Governo nel 2012 modifichi la situazione.

Si stima che in Italia vi siano circa 15.000 minori rom apolidi o a rischio di apolidia, figli di persone che, pur essendo nate nel nostro paese o soggiornandovi da decenni, risultano prive di un titolo di soggiorno (Commissione per i diritti umani del Senato, Rapporto conclusivo dell’indagine sulla condizione di Rom, Sinti e Caminanti in Italia, 2011). I genitori o i nonni della maggior parte di questi bambini fuggirono dalla guerra in ex Jugoslavia negli anni ’90, mentre alcuni nuclei familiari giunsero in Italia già tra gli anni ’60 e ’80. Malgrado le loro famiglie vivano in Italia da diverse generazioni, questi minori non solo non risultano cittadini italiani, ma non hanno un titolo di soggiorno né alcun documento di identità.

Nei confronti di questi bambini e adolescenti si registrano oggi in Italia gravi violazioni di quei diritti – alla salute, all’istruzione e a condizioni di vita adeguate – che la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989, ratificata e resa esecutiva con legge n. 176/91, riconosce a tutti i minori, senza discriminazioni fondate sulla nazionalità o sulla regolarità di soggiorno.

La normativa vigente, infatti, non stabilisce esplicitamente il diritto all’iscrizione al Servizio Sanitario Regionale per i minori figli di genitori privi di permesso di soggiorno. L’Accordo Stato-Regioni “Indicazioni per la corretta applicazione della normativa per l’assistenza sanitaria alla popolazione straniera da parte delle Regioni e Province Autonome italiane” del 2012, interpretando la legge alla luce della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, ha chiarito che tutti i minori stranieri presenti sul territorio a prescindere dal possesso di un permesso di soggiorno, devono essere iscritti obbligatoriamente al SSR. Ad oggi, tuttavia, l’Accordo è stato recepito solo in una parte delle Regioni italiane. I minori non iscritti al SSR non possono avere un pediatra o un medico di libera scelta e accedono solo alle cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative, per malattia ed infortunio e ai programmi di medicina preventiva, come gli adulti irregolarmente soggiornanti.

A differenza del diritto alla salute, il diritto all’istruzione è garantito dalla normativa vigente a tutti i minori, a prescindere dalla regolarità del soggiorno. Nella prassi, tuttavia, i minori privi di documenti non di rado incontrano difficoltà nell’iscriversi alla scuola secondaria superiore o a corsi di formazione professionale e nel conseguire il titolo conclusivo del corso di studi.

Questi minori, inoltre, spesso vivono in condizioni di grave povertà ed emarginazione sociale, in quanto i loro genitori, non avendo un permesso di soggiorno, non possono lavorare regolarmente, affittare un alloggio né accedere all’edilizia residenziale pubblica. L’accesso alle misure di assistenza sociale, incluse quelle specificamente previste per i minori, è loro precluso. Il timore di essere espulsi, inoltre, spesso allontana i genitori irregolarmente soggiornanti da ogni contatto con i servizi sociali o con altre istituzioni.

Mentre la legge vieta l’espulsione del minore straniero (salvo il diritto a seguire il genitore espulso), non appena compiuti i diciotto anni, il giovane irregolarmente soggiornante può ricevere un provvedimento di espulsione ed essere trattenuto in un Centro di Identificazione ed Espulsione. Ragazze e ragazzi nati e cresciuti in Italia, che si sentono italiani, spesso figli di persone a loro volte nate e cresciute nel nostro paese, rischiano così di essere espulsi nel paese d’origine dei loro genitori o nonni, dove in genere non sono mai stati, in cui non hanno alcun legame familiare o sociale, e di cui non parlano la lingua.

Come si può spiegare la presenza, in Italia, di un numero così elevato di minori rom privi di alcun documento ad eccezione del certificato di nascita?

Secondo la legge italiana sulla cittadinanza, fondata sul principio dello ius sanguinis, i bambini nati in Italia da genitori che non siano cittadini italiani non acquistano la cittadinanza italiana alla nascita, a meno che i genitori siano stati formalmente riconosciuti come apolidi (legge n. 91/92, art. 1). Questi minori possono diventare cittadini italiani dopo aver raggiunto la maggiore età, se dimostrano la residenza legale dalla nascita fino all’età di 18 anni, senza interruzioni, e se entro il diciannovesimo anno presentano una dichiarazione di volontà in tal senso al Comune ove risiedono (legge n. 91/92, art. 4, co. 2). I figli di cittadini stranieri irregolarmente soggiornanti, tuttavia, non possono dimostrare la residenza legale e dunque non possono esercitare questo diritto.

A differenza della maggior parte dei figli di cittadini stranieri, molti bambini rom di origine slava non acquisiscono neanche la cittadinanza dello Stato d’origine dei genitori e dunque non possono ottenere il passaporto o altro documento di identità estero. Perché un minore sia riconosciuto come cittadino ad esempio della Serbia o della Bosnia, è necessario che il genitore risulti in possesso di tale cittadinanza e registri il figlio entro la maggiore età presso il Consolato serbo o bosniaco. In alcuni casi, tuttavia, i genitori decidono di non registrare il figlio presso il Consolato dello Stato d’origine, al fine di renderne più difficile l’espulsione dopo il compimento della maggiore età: in caso di verifica dell’irregolarità del soggiorno da parte delle autorità competenti, infatti, il figlio maggiorenne potrà essere trattenuto in un CIE ma, se non è riconosciuto come cittadino da alcuno Stato, difficilmente l’espulsione potrà essere eseguita.

In alcuni casi, poi, i genitori non sono in grado di registrare il figlio presso il Consolato, né di ottenere il passaporto del bambino, perché non conoscono le procedure o non possono permettersi di pagare i relativi costi (tasse, spese di viaggio ecc.). Inoltre, alcuni Consolati non consentono l’espletamento di tali procedure ai cittadini irregolarmente soggiornanti in Italia.

Vi sono poi casi in cui il bambino non può acquistare la cittadinanza dello Stato da cui emigrarono i loro genitori o nonni, in quanto i genitori stessi non risultano cittadini. Molti rom che vivono in Italia, infatti, non hanno mai acquisito la cittadinanza di uno dei nuovi Stati derivanti dalla disgregazione della Jugoslavia. Talvolta i genitori non possono neanche provare il legame con alcuno di tali Stati perchè non sono stati registrati alla nascita o i registri anagrafici della città di nascita sono andati distrutti durante la guerra (CIR, Rapporto “In the sun”, 2013).

In attuazione della Convenzione relativa allo status degli apolidi del 1954, le persone che non sono considerate cittadini da alcuno Stato dovrebbero essere riconosciute come apolidi da parte delle autorità italiane. Accedere alla procedura per il riconoscimento dell’apolidia è tuttavia molto difficile. Il Ministero dell’Interno, infatti, richiede alla persona che voglia presentare una domanda in tal senso di dare prova dell’iscrizione anagrafica e di un permesso di soggiorno (D.p.r. n. 572/93, art. 17). Ma per ottenere un permesso di soggiorno e l’iscrizione anagrafica è in generale necessario avere un passaporto valido, documento di cui gli apolidi sono privi: di conseguenza, il procedimento amministrativo risulta, in pratica, inaccessibile per quasi tutti i richiedenti.

La domanda di riconoscimento dello status di apolide può essere presentata anche in via giudiziaria, al Tribunale di Roma. Il procedimento risulta tuttavia piuttosto costoso e di non facile accesso, soprattutto per coloro che non vivono nella capitale.

Va infine considerato che alcune domande sono rigettate dal Ministero dell’Interno o dall’autorità giudiziaria sulla base di motivazioni che non risultano conformi alla Convenzione sul riconoscimento dello status di apolide del 1954, da interpretarsi secondo le Linee guida sull’apolidia dell’UNHCR, agenzia delle Nazioni Unite competente in materia.

Per tali motivi, pochissimi apolidi riescono a ottenere uno status riconosciuto e, di conseguenza, un permesso di soggiorno e un documento d’identità. La maggior parte delle persone che non sono riconosciute come cittadine da alcuno Stato restano in Italia senza uno status e prive di documenti, trasmettendo questa loro condizione ai figli, che avrebbero invece diritto, ove entrambi i loro genitori venissero correttamente riconosciuti come apolidi, di acquistare la cittadinanza italiana alla nascita.

La legge italiana prevede alcuni casi di rilascio di permesso di soggiorno in deroga alle disposizioni ordinarie in materia di ingresso e soggiorno degli stranieri. Ad esempio, ove sussistano gravi motivi connessi allo sviluppo psico-fisico del minore, il Tribunale per i minorenni può autorizzare al soggiorno i genitori irregolarmente soggiornanti (D.lgs. n. 286/98, art. 31, co. 3). Il questore può inoltre rilasciare un permesso di soggiorno per motivi umanitari alle persone che non possono essere espulse per seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano (D.lgs. 286/98, art.5, co. 6). Tali disposizioni, tuttavia, sono poco applicate nella prassi, sia perché molti dei potenziali destinatari le ignorano, sia perché le autorità competenti spesso adottano un’interpretazione restrittiva della legge.

Per promuovere la regolarizzazione del soggiorno e l’acquisto della cittadinanza italiana da parte dei minori rom privi di documenti, sarebbero necessari da una parte campagne informative rivolte alle comunità rom e agli operatori che lavorano con questa minoranza (si veda ad esempio il progetto OUT OF LIMBO), e dall’altra parte la modifica delle norme e delle prassi sopra citate. Un miglioramento radicale potrebbe essere conseguito solo attraverso riforme legislative rilevanti in materia di cittadinanza, come quella promossa dalla campagna “L’Italia sono anch’io”; tuttavia, si potrebbero ottenere notevoli passi avanti grazie all’applicazione meno restrittiva della normativa vigente, in particolare riguardo al rilascio di permessi di soggiorno per motivi umanitari, al riconoscimento dello status di apolide e all’acquisto della cittadinanza italiana per i minori nati in Italia dopo il compimento della maggiore età.

Nel 2012, attraverso la Strategia Nazionale d’Inclusione dei Rom, Sinti e Caminanti, il Governo italiano si è impegnato a risolvere il problema dell’“apolidia di fatto” dei rom. E’ auspicabile che si dia seguito al più presto a tale impegno, al fine di promuovere l’inclusione sociale di questa minoranza e la tutela dei diritti dei rom, con particolare attenzione proprio ai bambini e agli adolescenti.

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