Ma vedi di crescere! E, soprattutto, di includere. L’Europa e la crescita inclusiva in un recente Rapporto della Commissione Europea

Frateblu presenta i risultati contenuti in un recente Rapporto della Commissione Europea sul grado di inclusività della crescita economica in Europa nel decennio 2007-2017. Il Rapporto documenta come la crescita aggregata sia stata poco inclusiva poiché di essa hanno beneficiato soprattutto le fasce di popolazione più benestanti. Il Rapporto auspica, quindi, politiche che siano in grado di distribuire più equamente i frutti della crescita tra tutte le fasce di reddito almeno nel medio periodo.

La crescita economica tiene banco come oggetto centrale di dibattito nella stampa, nella ricerca economica e nella discussione politica. Quando vengono pubblicati, sui bollettini statistici, i dati relativi ad aggregati quali il prodotto interno lordo (PIL) o il reddito nazionale, i governi in carica si affrettano a intestarsi i meriti per gli aumenti, anche se esigui, oppure ad attribuire a errori di chi li ha preceduti gli eventuali decrementi. Nonostante il tasso di crescita relativamente modesto negli ultimi anni, caratterizzati in generale da stagnazione secolare – e, in Italia, da un prolungato declino – la crescita rimane, almeno nelle dichiarazioni ufficiali, l’obiettivo centrale dell’azione di politica economica. Ed è, infatti, indubbio che una crescita del prodotto nazionale si traduce in maggiori redditi che, laddove siano distribuiti equamente alla popolazione, concorrono a migliorarne diffusamente il benessere materiale.

Sarebbe, però, errato ritenere che la crescita economica è una condizione sufficiente per il progresso sociale. Purtroppo in questo errore cadono in molti, ad iniziare dai mezzi di informazione e comunicazione. La semplice certificazione dell’aumento del prodotto non dà alcuna informazione di carattere distributivo su quali siano le fasce di popolazione che beneficiano dei maggiori redditi ed in che misura. Senza tenere conto di questi aspetti, la crescita del PIL rischia di essere portatrice di benefici sociali ben più limitati di quelli che le vengono normalmente ascritti dalla narrativa dominante e di risultare persino dannosa.

Soprattutto in tempi in cui la crescita economica è flebile e volatile, la valutazione, anche da parte dell’opinione pubblica, del progresso associato alla crescita dipende dall’individuazione dei beneficiari del maggiore reddito. È verosimile che, in quegli strati di popolazione che sperimentano stagnazione o peggioramento delle proprie condizioni di reddito, la soddisfazione con cui la stampa dà notizie dell’avvenuta crescita provochi malcontento e anche diffidenza verso le élite che ne beneficiano e, a loro volta, esaltano la crescita. Alla luce di questo, si comprende perché si vada affermando, come unità di analisi e bussola delle decisioni di politica economica, il concetto di crescita inclusiva, ovvero di crescita che interessa tutte le fasce di popolazione, specie quelle meno abbienti, come è stato già chiarito sul Menabò.

In questa prospettiva, il recente rapporto della Commissione Europea “Employment and Social Developments in Europe” presenta nel capitolo 3 un’analisi di come la crescita economica nell’ultimo decennio si sia distribuita tra le varie classi di reddito e permette di stabilire se le traiettorie di crescita economica sperimentate dai paesi dell’Unione siano o meno state inclusive.

Senza entrare nel merito dei limiti intrinseci del PIL come misura del progresso economico (di cui il Menabò si è occupato) il primo problema che si pone è individuare l’aggregato più idoneo a dar conto del grado di inclusività della crescita nell’UE. Gli autori del rapporto scelgono il reddito nazionale netto poiché rispetto al più noto PIL è depurato dal deprezzamento del capitale e tiene conto dei redditi ricevuti dai residenti all’estero al netto di quelli percepiti nel paese da soggetti stranieri. Rappresenta quindi un aggregato che meglio cattura la totalità dei redditi nazionali di cui si vuole esaminare l’incremento e la distribuzione. Il capitolo quindi presenta le diverse dinamiche di crescita, raggruppando i paesi sulla base della crescita nel decennio 2007-2017 proprio del reddito nazionale netto (RNN).

Grafico 1. Crescita totale del reddito nazionale netto e suoi livelli iniziali (migliaia EUR PPP) 2007-2017

I redditi dei paesi dell’allargamento ad est sono cresciuti nell’insieme più del 20%, con punte del 40% per Polonia e Bulgaria, testimoniando la parziale convergenza delle loro economie con quelle a reddito più elevato (Grafico 1). Alcuni paesi mitteleuropei e i paesi a forte integrazione economica con la Germania, come Ungheria e Repubblica Ceca, mostrano una crescita aggregata del RNN intorno al 10% mentre nei paesi francofoni e in quelli nordici il reddito aggregato ha conosciuto una crescita modesta se non anche una sostanziale stagnazione. Infine, nei paesi della periferia meridionale insieme a Irlanda, Lussemburgo e Finlandia si è, invece, registrata una caduta del reddito aggregato. Ma, come si è detto e come si afferma nel rapporto, all’analisi della crescita aggregata dei redditi deve seguire una valutazione del modo in cui gli incrementi (o decrementi) di reddito si sono distribuiti tra le diverse fasce di popolazione.

Grazie ai dati messi a disposizione dal World Inequality Lab attraverso il progetto Distributional National Accounts è possibile ricostruire come la crescita delle diverse fasce di reddito abbia contribuito alla crescita aggregata. Infatti, l’ammirevole lavoro svolto dal WIL attraverso la combinazione di diverse fonti di dati, quali le inchieste a campione di reddito, dati fiscali e la correzione con altre informazioni su redditi da capitale, ricchezza e spese collettive, permette di ricostruire l’aggregato di crescita dei conti nazionali a partire da una distribuzione di redditi individuali. Si tratta, quindi, della fonte di dati più adatta per individuare come gli aumenti o le diminuzioni di reddito nazionale si sono distribuiti tra la popolazione distinta per fasce di reddito. Va però ricordato che questa banca dati, in assenza di una struttura longitudinale, non può tenere conto della mobilità di individui e famiglie, nel corso del tempo, tra le varie fasce di reddito.

Pur senza avanzare una precisa definizione, il rapporto considera la crescita inclusiva quando crescono i maggiori redditi di tutte le fasce della popolazione. Al contrario, una crescita non inclusiva che consista in un aumento dei redditi delle fasce più abbienti non potrà che esacerbare le disuguaglianze esistenti.

Grafico 2. Crescita del reddito nazionale netto pro capite per quintili di reddito. 2007-2017

 

Nota: paesi ordinati sulla base della crescita del reddito nazionale pro capite

Le traiettorie di crescita nei paesi in cui si è avuta una sostenuta espansione economica (Grafico 2: pannello superiore) sembra che abbiano avvantaggiato soprattutto il 20% più ricco della popolazione. Si notino i casi estremi di Bulgaria e Malta, in cui l’incremento di reddito del 20% più ricco è stato da solo superiore a quello relativo a tutte le altre fasce di reddito. Appare chiaro che l’elevata crescita economica dei paesi dell’allargamento ad est, e in generale di quelli con tassi di crescita sopra la media, è soprattutto frutto di modelli che hanno avvantaggiato in misura spropositata le fasce più alte di reddito durante due lustri.

Di converso, nei paesi a bassa crescita o addirittura a crescita negativa, tutte le classi di reddito hanno visto la stessa dinamica, con le uniche eccezioni di Irlanda e Spagna (Grafico 2: pannello inferiore). Nei paesi dove la crescita aggregata del reddito è stata più contenuta la ripartizione degli incrementi di reddito è stata, invece, più equa. Infine, nei paesi in cui il reddito è diminuito, la ripartizione delle perdite si è ripartita in modo quasi proporzionale. È questo il caso della Grecia e del Lussemburgo.

A ulteriore conferma della rilevanza degli aspetti distributivi connessi alla crescita del reddito aggregato, il capitolo del rapporto presenta i risultati del confronto tra la crescita del reddito del 40% più povero della popolazione e quello del 10% più ricco nel decennio 2007-2017.

Grafico 3. Tasso di crescita (annuale composto) per il top 10% e il 40% più povero (in termini di reddito). 2007-2017

 

Il Grafico 3 mostra che per un ampio numero di paesi la crescita dei redditi per il 40% più povero della popolazione è stata inferiore alla crescita dei redditi per il 10% più ricco. In paesi come Spagna o Danimarca, il 40% più povero ha addirittura visto decrescere il proprio reddito a fronte di incrementi per il 10% più benestante. Infine, anche nei paesi maggiormente colpiti dalla recessione del 2009, Italia e Grecia, la perdita di reddito per le fasce più deboli è stata maggiore dei decrementi subiti dal 10% più ricco.

In breve, l’enfasi sulla crescita, svuotata dei suoi aspetti distributivi, trasmette l’impressione che l’aumento dei redditi finisca per beneficiare tutta la popolazione. Naturalmente non è così e la percezione che non sia così è forse più acuta in questa fase storica, in cui la fiducia nella capacità dei processi automatici di mercato di redistribuire il maggior prodotto creato è messa ampiamente in discussione, sia tra il pubblico che tra gli economisti.

Il rapporto della Commissione Europea con i suoi dati e la sua impostazione può contribuire a correggere la tendenza a rappresentare la crescita del Pil, senza altre qualificazioni, come l’obiettivo più desiderabile da raggiungere per promuovere il benessere. La crescita da perseguire è quella inclusiva, che assicuri aumenti generalizzati di redditi per larghe fasce di popolazione e, soprattutto, per il 40% più povero della popolazione, come implicitamente raccomandato dall’obiettivo 10 di sviluppo sostenibile dell’agenda 2030 delle Nazioni Unite.

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