Lotta all’evasione e sviluppo

Dopo anni di opacità nella lotta all’evasione fiscale, nonché addirittura di politiche che hanno legittimato tale fenomeno di illegalità – il riferimento è chiaramente rivolto alla stagione dei condoni promossa dall’ultimo governo di centro-destra -, finalmente un segnale chiaro e forte di controtendenza e discontinuità rispetto a tale scenario di paradossale legittimazione dell’illegalità, è dato dal nuovo governo di centro-sinistra, che ha avviato una campagna seria e ferma di contrasto al fenomeno, facendo della lotta all’evasione fiscale uno dei capisaldi e caratteri distintivi dell’azione di governo. Da quest’azione derivano conseguenza importanti sia sul piano economico che sociale, ed i risultati di questo impegno stanno iniziando a dare visibilmente i loro frutti.

Secondo stime recenti, in Italia una proporzione tra il 27 e il 48 per cento del Pil ufficiale viene nascosto al fisco. In un Paese, come il nostro, in cui vi è una forte dinamica della spesa pubblica ed in cui bisogna fare costantemente i conti con un deficit tra i più alti d’Europa (alimentato dagli interessi da pagare sul debito pubblico), il carico fiscale per i contribuenti rischia di essere molto elevato.

Ed infatti l’Italia risulta il paese dell’Unione Europea che nel 2006 ha fatto registrare il maggior incremento nell’incidenza del prelievo fiscale e contributivo rispetto al Pil (+1,7%) attestandosi così ad un livello di pressione fiscale del 42,3% (tra i più alti in Europa).

Recuperare la parte di ricchezza occultata, equivale da un lato, ad avere la disponibilità di maggiori risorse tali da consentire una riduzione del fardello fiscale per il “popolo degli onesti” e dall’altro – non meno importante – ristabilire un principio di legalità ed equità.

Le nuove misure antievasione ed il rafforzamento dei controlli – anche attraverso lo strumento degli studi di settore – hanno come fine ultimo l’affermazione di questi due obiettivi, ed hanno già consentito il prodursi di un extra gettito a favore dello Stato di proporzioni straordinarie e senza precedenti. Per comprenderne le dimensioni, è opportuno guardare al gettito Iva, cui si deve gran parte delle maggiori entrate registrate nel 2006. Nel 2006 il gettito Iva è cresciuto dell’8,8 per cento, con un aumento di 9,3 miliardi di euro rispetto al 2005. Il miglioramento del gettito Iva è stato particolarmente marcato in alcuni dei settori considerati a più alto rischio di evasione e in cui si è creata una forte discrepanza tra andamento del gettito e dinamica della base imponibile. Ad esempio nei settori delle costruzioni e dei servizi immobiliari, il gettito è cresciuto su base annua tra il 13 e il 15 per cento, a fronte di una crescita degli investimenti per costruzioni del 5,2 per cento. Ma anche nel caso del commercio, sia al dettaglio sia all’ingrosso, nel 2006 il settore ha fatto registrare tassi di crescita del gettito Iva tra il 7 e il 9 per cento, ben al di sopra dei consumi finali (4,3 per cento) (fonte Istat). La discrepanza, unita ai numerosi interventi in chiave antievasione implementati in questi settori nel corso dell’anno, fa presupporre una forte emersione di base imponibile, con il miglioramento della cosiddetta tax compliance.

Va anche notato come questi andamenti abbiano portato l’Italia ad ottenere nel 2006 maggiori livelli di efficienza nella raccolta dei tributi, ed in linea con quelli registrati in altri paesi europei, recuperando un gap di performance ormai storico. L’efficiency ratio (il rapporto tra gettito in percentuale al Pil e aliquota standard Iva), spesso usato nei confronti internazionali per comparare la capacità di raccolta relativa dei diversi paesi, è aumentato di due punti rispetto all’anno precedente, raggiungendo un livello pari a circa il 39 per cento. In pratica, ciò significa, che per ogni punto percentuale di aliquota, nel 2006 è stato raccolto lo 0,39 per cento del Pil.

La questione chiave è ora capire se questi miglioramenti avranno il carattere della strutturalità o meno: se così non fosse potrebbe prodursi un effetto boomerang, per cui aumenti di spesa finanziati dalle maggiori entrate di oggi (i meglio noti “tesoretti”) potrebbero tradursi in maggiori deficit futuri. Per ora, i tassi di crescita registrati nel primo semestre del 2007 segnalano che il fenomeno continua, ma l’esperienza passata insegna che solo un impegno costante potrà garantire che i mutamenti recenti siano duraturi.

Sia per motivi di equità che di efficienza, l’azione di contrasto all’evasione va perseguita con impegno costante. Al contempo però si dovrà operare con una riduzione della pressione fiscale per ridare fiato ad un economia che rischia l’implosione, in presenza di una dinamica del Pil molto modesta, seppur in crescita. Le parole del Governatore della Banca d’Italia sono emblematiche: nelle “Considerazioni finali” alla Relazione del 2007 – ha dichiarato che “livello eccessivo del prelievo, variabilità e complessità delle regole fiscali scoraggiano l’investimento in capitale fisico e umano”. Pertanto, l’obiettivo da perseguire è che alla riduzione dell’evasione debba poi corrispondere un alleggerimento percepibile della pressione fiscale su cittadini ed imprese, per ridare slancio e fiducia ai consumi e agli investimenti. Allo stesso tempo, la spesa dello Stato dovrebbe essere tenuta sotto controllo, attraverso una oculata strategia programmatica di medio-lungo periodo, per evitare che gli sforzi fatti e i risultati ottenuti sul versante della lotta all’evasione fiscale siano poi sprecati.

L.M.

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