Lo stato di salute della sanità italiana

Tommaso Langiano e Paolo Di Loreto, alla luce dei dati contenuti nel più recente Rapporto sullo stato della salute in Europa, indicano i punti di forza e le criticità del nostro Servizio Sanitario Nazionale. Decisamente positivi sono i dati relativi alle condizioni generali di salute della popolazione mentre le più gravi criticità riguardano il finanziamento pubblico del SSN e la dotazione di posti letto e di personale sanitario. Su queste due criticità, sostengono gli autori, occorre intervenire con urgenza.

La pandemia da COVID-19 avrà un impatto a lungo termine sui sistemi sanitari di tutta l’Europa: ha evidenziato carenze nella dotazione di personale sanitario che devono essere affrontate con urgenza; d’altro canto, le innovazioni digitali introdotte nel corso ed a causa della pandemia possono produrre effetti permanenti positivi. L’aumento della domanda di servizi ed una maggiore capacità di risposta alle emergenze richiederanno investimenti adeguati per consentire le appropriate risposte da parte dei sistemi sanitari.

Sono queste le principali conclusioni del Rapporto sullo stato della salute nell’UE redatto dall’ OCSE e dall’ OEPSS (Osservatorio europeo delle politiche e dei sistemi sanitari) (Il Rapporto, che è accompagnato dai profili sanitari dei singoli Paesi dell’UE, più la Norvegia e l’Islanda, è molto utile non soltanto per comprendere lo stato di (im)preparazione del nostro sistema sanitario nell’affrontare la pandemia, ma soprattutto perché evidenzia le criticità che devono essere affrontate per rafforzare il Servizio sanitario nazionale, approfittando del PNRR.

La sanità italiana ed europea. I dati relativi al 2020 indicano che l’Italia è in una situazione peggiore, rispetto alla media europea, per gli aspetti demografici e socioeconomici. Il tasso di fecondità è 1.3 (media europea: 1.5); il PIL pro capite è 28 002 euro (UE 29 801); il tasso di povertà è 20.1 % (UE: 16.5 %); il tasso di disoccupazione è 9.2 (media UE: 7.1).

Invece, quanto agli indicatori di salute della popolazione, sono migliori rispetto ai valori medi europei i dati italiani di aspettativa di vita, proporzione di persone in buona salute, tasso di mortalità prevenibile, mortalità riconducibile ai servizi sanitari e sopravvivenza dopo diagnosi di tumore.

Malgrado il forte calo registrato nel 2020 a causa del COVID-19, laspettativa di vita in Italia (82.4 anni) è stata di quasi due anni più lunga rispetto alla media UE (80. 6).

Anche in Italia, si registrano nell’aspettativa di vita disuguaglianze legate alla situazione socio economica: gli uomini con istruzione inferiore vivono in media 3.6 anni meno degli uomini con istruzione superiore; per le donne l’analoga differenza è di 1.5 anni. Sebbene attenuate dalla pandemia, le disuguaglianze geografiche nell’aspettativa di vita penalizzano fortemente il Sud: prima della pandemia l’aspettativa di vita nelle regioni settentrionali era di quasi tre anni superiore rispetto alle regioni meridionali.

La proporzione di adulti italiani che nel 2019 riferivano buone condizioni di salute (73%) è stata leggermente superiore alla media europea (69%).

Nel 2018 l’Italia ha registrato il più basso tasso di mortalità prevenibile (per patologie ischemiche, tumori polmonari, suicidi, consumo di alcool, incidenti) nella UE (104 morti standardizzate per età per centomila abitanti contro un valore medio europeo di 160).

Anche per la mortalità riconducibile ai servizi sanitari l’Italia si colloca in ottima posizione, con un tasso di mortalità standardizzato per età di 65 per centomila abitanti, mentre la media europea è 92.

L’appropriatezza dei ricoveri ospedalieri italiani è testimoniata dalla bassa frequenza, rispetto ai valori medi europei, dei ricoveri ospedalieri evitabili per malattie croniche (asma, Bpco, diabete, insufficienza cardiaca).

Sono sensibilmente migliori rispetto ai valori medi europei anche i dati italiani relativi ai tassi di sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi dei tumori più comuni (prostata, seno, utero, colon-retto, leucemia infantile).

La proporzione di popolazione vaccinata con almeno una dose nell’agosto 2021 risultava 70% in Italia e 62% nella UE.

Tuttavia, fino all’agosto 2021 l’epidemia da COVID-19 aveva causato in Italia 129 000 morti; il tasso di mortalità dovuto a COVID-19 è stato in Italia più elevato di circa 35% rispetto alla media UE.

Sono nettamente inferiori rispetto alla media europea i valori relativi alla spesa sanitaria ed alla dotazione strutturale e di personale della sanità italiana.

Nel 2019 la spesa sanitaria in Italia ha assorbito l’8.7% del Pil, mentre la media europea è risultata 9.9%. La spesa pro capite (2 525 euro) è stata nello stesso anno del 25% inferiore rispetto alla media UE (3 523 euro). Anche la quota di spesa pubblica (74%) rispetto alla spesa sanitaria totale è stata in Italia inferiore alla media UE (80%).

In particolare, la spesa per l’assistenza residenziale e semiresidenziale in Italia è risultata nettamente inferiore alla media europea, sia come proporzione della spesa sanitaria totale, sia come spesa pro capite. Invece, la spesa destinata alla prevenzione è stata superiore alla media UE (119 euro pro capite in Italia, 102 euro in media UE). Nel decennio 2008-2019 è costantemente aumentata la differenza fra la spesa sanitaria in Italia e in UE. A causa della pandemia COVID-19, il finanziamento del SSN nel 2020 è aumentato di 3,3% e nel 2021 di 1,7%.

In Italia le famiglie sostengono direttamente il 23.2 % della spesa sanitaria, molto più rispetto alla media europea (15.4 %). La quota più elevata della spesa sanitaria direttamente sostenuta dalle famiglie è destinata all’assistenza ambulatoriale (45%), seguita dai farmaci (30%) e dall’assistenza residenziale.

Prima della pandemia, il numero di posti letto ospedalieri in Italia (3.2 per mille abitanti) era nettamente inferiore alla media europea (5.3 per mille). Nel 2019 l’assistenza ambulatoriale in Italia ha assorbito più risorse (32% della spesa sanitaria totale) rispetto all’assistenza ospedaliera (30%).

Il numero di medici in Italia (4.1 per mille abitanti) è leggermente superiore alla media UE (3.9 per mille). Si sta riducendo, tuttavia, il numero di medici che in Italia lavorano negli ospedali pubblici e nella medicina di base.

Il numero di infermieri in Italia (6.2 per mille abitanti) è inferiore del 25% alla media UE.

Prima della pandemia da COVID-19 in Italia il numero di posti letto nelle unità di terapia intensiva era pari a 8.6 ogni centomila abitanti, una dotazione nettamente inferiore rispetto a quella della maggior parte dei paesi europei. Il nuovo standard di 14 posti letto ogni centomila abitanti, che è stato definito dal Ministero della salute nell’aprile 2020, nel marzo 2021 non era ancora stato raggiunto da tutte le regioni.

Gli effetti della pandemia da COVID-19. Gli effetti negativi della pandemia non sono soltanto immediati: la speranza di vita nella UE è diminuita di oltre otto mesi, da 81.3 a 80.6 anni; oltre il 25 per cento dei pazienti ricoverati in ospedale per COVID-19 sono nuovamente ricoverati entro i successivi sei mesi; nei paesi europei per i quali sono disponibili dati, i tempi di attesa sono aumentati in media di circa due mesi nel 2020, a causa del rinvio dei trattamenti); la prevalenza dei disturbi d’ansia e depressivi è aumentata in media del 23 per cento nei paesi della UE nel 2020).

La pandemia da COVID-19 ha determinato anche un forte incremento nell’utilizzo di strumenti digitali in sanità. La quota di cittadini dell’unione europea che ha avuto un consulto a distanza (online o telefonico) con un medico di base dall’inizio della pandemia è aumentata di 10 punti percentuali. In Italia si è verificato un incremento analogo sebbene partendo da un livello nettamente inferiore. Durante la pandemia, le tecnologie digitali sono state usate per il tracciamento dei contatti; i consulti a distanza con i medici di base; il monitoraggio domiciliare dei pazienti con sintomi lievi; il monitoraggio in tempo reale della capacità ospedaliera; l’automatizzazione delle segnalazioni dei contagi; la distribuzione e il riconoscimento del certificato digitale Covid europeo.

 

Il personale sanitario. La pandemia ha evidenziato carenze nella disponibilità di operatori sanitari, il cui benessere è stato compromesso per i carichi di lavoro eccessivi e per il forte stress emotivo. È diventato evidente che durante le emergenze sanitarie è necessario disporre di una capacità aggiuntiva di assistenza per far fronte alle ulteriori necessità di ricovero mantenendo allo stesso tempo i servizi essenziali.

In gran parte dei paesi europei, la pandemia ha evidenziato carenze di personale che hanno causato problemi nella qualità dell’assistenza erogata. Nel 2019 in media nell’Unione Europea c’erano 3.9 medici e 8.4 infermieri ogni mille abitanti. Rispetto alla media europea, la situazione italiana si caratterizzava in quello stesso anno per una dotazione leggermente maggiore di medici e fortemente inferiore di infermieri.

Incidentalmente, si segnala che fra tutti i paesi analizzati dal Rapporto europeo, la Norvegia presenta la più elevata dotazione di medici e infermieri. La Norvegia è l’unico, fra quelli stessi paesi, che non ha fatto registrare un incremento complessivo di mortalità durante la pandemia.

Può essere interessante analizzare i provvedimenti che sono stati adottati nei diversi paesi della UE per aumentare la disponibilità di personale sanitario: coinvolgimento degli studenti di medicina e infermieristica con compiti di supporto; procedure di assunzione semplificate; redistribuzione del personale sanitario nelle aree maggiormente colpite dall’emergenza; creazione di équipe medico-infermieristiche mobili; creazione di “riserve sanitarie”, ovvero di professionisti in pensione richiamabili durante le emergenze; programmi di formazione rapida per poter operare nelle terapie intensive; incremento della retribuzione per il lavoro straordinario; possibilità di esercizio per i professionisti formati all’estero.

Bisogna inoltre tenere conto degli effetti nel tempo che la pandemia sta producendo sugli operatori sanitari: secondo uno studio condotto nel marzo 2020, in Italia il 49% degli operatori sanitari ha riportato sintomi da stress post traumatico.

In conclusione, il necessario processo di rafforzamento del Servizio sanitario nazionale e le modalità appropriate di utilizzo delle risorse rese disponibili dal PNRR devono affrontare e risolvere prima di tutto i problemi evidenziati dalla pandemia:

  • forti squilibri territoriali: prima della pandemia l’aspettativa di vita nelle regioni settentrionali era di quasi tre anni superiore rispetto alle regioni meridionali;
  • ritardi negli screening e conseguente accentuazione del “ disease burden” dovuto ai tumori;
  • elevato tasso di fumatori fra gli adolescenti; la percentuale di bambini e adolescenti in sovrappeso e obesi è superiore rispetto alla media europea; sovrappeso e obesità sono più frequenti nelle famiglie in condizioni socio economiche svantaggiate;
  • una quota crescente di spesa sanitaria negli ultimi anni è stata pagata dalle famiglie;
  • il tasso di mortalità cumulativo in Italia dovuto al COVID-19 nell’agosto 2021 era di circa il 35% superiore alla media europea;
  • la dotazione di posti letto ospedalieri, in particolare nelle terapie intensive, si è rivelata clamorosamente inadeguata;
  • le carenze quantitative del personale sanitario sono drammaticamente evidenti: pochi medici in ospedale e pochissimi infermieri.

Il Servizio sanitario nazionale si conferma, anche alla luce dei dati riportati nel Rapporto europeo qui citato, come una storia di successo: malgrado un finanziamento nettamente inferiore alla media europea, il SSN garantisce alla nostra popolazione risultati di salute che sono ai primi posti in Europa per durata della vita, proporzione di italiani in buona salute, tasso di mortalità prevenibile, mortalità riconducibile ai servizi sanitari e sopravvivenza dopo diagnosi di tumore.

La pandemia, tuttavia, ha evidenziato le difficoltà del SSN ad affrontare le emergenze perché sottofinanziato e quindi con una insufficiente dotazione di posti letto, di personale e di strutture per l’emergenza.

Non vi è dubbio che sia indispensabile un sostanziale rafforzamento del SSN sia per renderlo in grado di affrontare più efficacemente le future emergenze; sia per affrontare i maggiori carichi assistenziali che deriveranno dalle conseguenze della pandemia; sia per colmare le gravi disuguaglianze sociali e territoriali che persistono malgrado l’universalità del servizio.

I dati e le analisi del rapporto europeo evidenziano che il processo di rafforzamento del SSN deve partire dal superamento delle carenze nella dotazione e composizione del personale sanitario. L’attuale stesura del PNRR relativa alla sanità non affronta sostanzialmente questo problema, la cui soluzione richiede più ancora che maggiore spesa, nuove regole e diversa distribuzione della spesa.

È necessario, quindi, elaborare delle strategie specifiche per affrontare questa vera crisi del personale sanitario, attraverso un insieme di soluzioni: migliorare le condizioni di lavoro e la remunerazione; rivalutare le previsioni sul fabbisogno futuro di personale sanitario, anche attraverso la radicale revisione della programmazione delle specializzazioni; aumentare gli investimenti in formazione; incrementare la diffusione delle tecnologie digitali per semplificare ed alleggerire il lavoro degli operatori sanitari; realizzare la piena ed effettiva partecipazione degli specializzandi alle attività del SSN.

 

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