L’Italia e la Policy Coherence

Senza dubbio l’Italia è fra i potenziali attori principali nel campo della Policy Coherence (PC), sia nella sua promozione nell’ambito del dibattito internazionale che nell’implementazione concreta di politiche di sviluppo congiunte e sinergiche. Questo è in primo luogo dovuto al ruolo centrale giocato dal paese in tutte le principali dimensioni di integrazione economica tra paesi ricchi e paesi in via di sviluppo (PVS). Infatti, le relazioni che legano l’Italia a molti dei principali paesi destinatari della sua cooperazione allo sviluppo si estendono oltre la dimensione dell’aiuto, ed includono la migrazione, il commercio, gli investimenti diretti esteri (IDE) e le politiche di sicurezza.

 Per quanto riguarda l’aiuto, nonostante i deficit rispetto agli impegni presi in sede internazionale, nel 2008 l’Italia era l’ottavo paese donatore sui 23 membri del DAC – anche se diciannovesimo in termini relativi – a conferma del suo ruolo primario per lo sviluppo globale (OECD, 2009). Inoltre, in virtù del suo sviluppo economico, della sua posizione geografica – crocevia tra il Magreb, i Balcani e l’Europa continentale – e delle implicazioni economiche del suo invecchiamento demografico, negli ultimi vent’anni l’Italia è diventata una destinazione primaria per i migranti dei PVS. L’Italia Ë anche un importante partner commerciale per molti PVS, verso i quali esporta un’ampia gamma di beni d’investimento strategici a fronte di importazioni di materie prime e di una crescente quota di manufatti e servizi. In aggiunta, a seguito della grande crescita degli investimenti esteri delle sue imprese negli anni 90, l’Italia è tra i 10 maggiori esportatori netti di capitale, e la sua collocazione facilita l’accesso degli investitori nazionali ai mercati africani e mediorientali (OECD, 2004). Infine, a cominciare dagli anni 80, alle truppe italiane sono state affidate numerose operazioni internazionali di peacekeeping, e l’Italia è oggi tra i primi finanziatori del budget di peacekeeping delle Nazioni Unite.

 

            E’ chiaro che questa intensa e multidimensionale interazione con i PVS pone in teoria l’Italia in una posizione ottimale per comprendere i benefici di un approccio più esteso allo sviluppo, che comprenda l’ampia gamma di politiche che coinvolgono, direttamente o indirettamente, i paesi beneficiari della sua cooperazione internazionale. Inoltre, l’Italia è un membro di alcune organizzazioni sovranazionali – come l’Unione Europea (UE) e l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economica (OCSE) – le cui politiche hanno un forte impatto sui PVS. Sebbene ciò sia generalmente visto come un limite all’autonomia dei singoli stati membri, tali organizzazioni sono in grado di vincolare gli stati ad un quadro normativo definito, a meccanismi istituzionali nonché ad organismi di coordinamento, e rappresentano pertanto un’opportunità per incrementare la coerenza tra le politiche dei paesi sviluppati. Tuttavia, quello della Policy Coherence  è un tema complesso, e richiede l’armonizzazione di numerosi componenti della politica economica. Un’integrazione estesa con i PVS rappresenta quindi semplicemente un’opportunità, un potenziale miglioramento, per la cui realizzazione è necessario un impegno sostanziale. Proprio come altri membri del DAC, infatti, anche l’Italia incontra molte difficoltà nel migliorare la PC poiché questa coinvolge gruppi di interesse e agenzie governative con responsabilità ed obiettivi primari che tendono a divergere da quelli della cooperazione allo sviluppo. Come è ovvio, ciò accade anche al livello dell’UE, e suggerisce che l’impegno rispetto alla PC deve essere preso sia sul fronte nazionale che a livello internazionale.

 

Priorità geografiche

 

Da un punto di vista geografico, l’Italia mostra alti livelli di integrazione reciproca con il suo “near abroad”, in particolare con il Nord Africa e con le economie in transizione dell’Est Europa. Oltre al suo considerevole volume, tale integrazione è anche estesa – riguarda cioè tutte le dimensioni di integrazione menzionate sopra – e crescente col tempo. Ciò rappresenta pertanto un importante spazio per l’implementazione congiunta di politiche sinergiche che, oltre ad incrementare il grado di coerenza, può determinare l’acquisizione di expertise nel campo della PC da parte dei policymakers italiani. Alla luce dell’attuale scarsità di solide analisi di PC basate su casi studio concreti, tale expertise può inoltre risultare di particolare importanza nell’indirizzare il dibattito internazionale sul tema. L’Italia mostra importanti livelli di integrazione anche con i paesi dell’Africa sub sahariana in quanto, data la limitata dimensione di tali economie, le transazioni aventi luogo con l’Italia assumono un peso importante su scala domestica. Certamente questo  rappresenta un’ulteriore opportunità a disposizione della politica italiana per promuovere la PC in una delle regioni meno sviluppate del globo (Divanbeigi, forthcoming).

 

Aiuto e beni pubblici globali

Analogamente a quanto avvenuto negli altri paesi donatori, negli ultimi 20 anni anche l’aiuto Italiano ha perso importanza rispetto alle altre transazioni aventi luogo con i PVS. Eppure, sebbene sia ormai chiaro che anche politiche diverse dalla cooperazione internazionale possono contribuire in modo decisivo alla lotta alla povertà nei PVS, l’aiuto può ancora giocare un ruolo vitale per lo sviluppo. Ciò è principalmente legato alla iniqua distribuzione internazionale degli emergenti flussi di capitale privato, che tendono a non essere diretti verso quei paesi e quei settori che più ne hanno  bisogno. Diversamente, i flussi di aiuto hanno sempre rappresentato la principale fonte di capitale per i più poveri tra i PVS, incapaci di attirare risorse private. Per di più, i flussi privati sono difficilmente attratti dal settore dei cosiddetti “beni pubblici globali” – ovvero quei beni che hanno un impatto positivo non solo su un singolo PVS o una sua regione ma simultaneamente su un gruppo più ampio di paesi. Questi includono l’ambiente, la salute, l’istruzione e l’acqua. L’offerta di tali beni migliora la redistribuzione dei benefici verso le fasce meno abbienti ed ha un effetto egualizzante sulle condizioni di vita delle persone. Inoltre, miglioramenti nel settore sanitario e dell’istruzione determinano l’accumulazione di capitale umano, requisito chiave per la crescita di lungo periodo (Kaul et al., 1999). Per poter intervenire in modo effettivo in questo settore è evidente la necessità di una forte coordinazione con i programmi pluriennali dei governi locali, che a sua volta impone sostanziali miglioramenti nel coordinamento tra donatori. Una soluzione efficace in tal proposito consiste nel concentrare la politica di cooperazione internazionale sul sostegno al budget settoriale (Sector Budget Support – SBS), ovvero offrire finanziamenti pluriennali ai budgets di alcuni ministeri chiave – quelli coinvolti nella produzione dei beni pubblici globali – dei paesi beneficiari. Oltre ad accumulare risorse pubbliche, il SBS è anche in grado di attrarre progressivamente risorse private provenienti da ONG e fondazioni, anche se richiede l’implementazione di adeguate misure per ridurre fungibilità e dipendenza dall’aiuto in settori così strategici (Koeberle et al., 2006).

 

Complementarità tra aiuto ed altri flussi

L’aiuto internazionale può anche giocare un ruolo fondamentale nell’attrarre altri – e ben più consistenti – flussi di capitale verso quei PVS che generalmente non beneficiano di tali risorse. Infatti, questi risulta di particolare utilità nel finanziare la realizzazione di grandi progetti infrastrutturali – come reti di comunicazione e trasporto o collegamenti con stati limitrofi – che non sono generalmente attraenti per gli investitori privati ma che assicurano afflussi di capitali privati nel lungo periodo aumentando le opportunità di business e la produttività degli investimenti, nonchè riducendo i costi di produzione ed informazione.

Una prima dimensione in cui l’aiuto è in grado di fare ciò è quella del commercio, dove i PVS incontrano grandi difficoltà nell’espandere e diversificare le proprie esportazioni, nell’adattarsi alla liberalizzazione del settore e nello sfruttare i potenziali benefici derivanti da un maggiore accesso ai mercati internazionali (OECD, 2006). L’aiuto può contribuire a rimuovere i vincoli all’offerta dei PVS tramite lo sviluppo della capacità produttiva, l’avanzamento infrastrutturale e la promozione delle importazioni attraverso il miglioramento dell’intermediazione finanziaria e dei servizi di informazione e comunicazione (ICT) (Mann, 2007). Inoltre, concentrandosi sull’istruzione secondaria e superiore, l’aiuto può indurre l’accumulazione di capitale umano specializzato, ed aumentare così l’abilità dei PVS nel creare ed impiegare nuove tecnologie (DFID, 2008). Infine, la cooperazione internazionale può assicurare che i benefici del commercio siano estesi ai più poveri promuovendo l’integrazione dei mercati locali, nazionali e regionali. Questo ha l’effetto di connettere i contadini a catene del valore aggiunto più profonde e competitive, come caso dell’espansione del settore agroalimentare generata dalla crescita del commercio internazionale in alcuni PVS (Bonaglia et al., 2006).

Anche nell’ambito degli IDE  ( investimenti diretti esteri) la cooperazione internazionale può attirare risorse verso i PVS. Questo può avvenire attraverso aiuto settoriale alle infrastrutture, finalizzato alla realizzazione di migliori network di comunicazione, trasporto e trasferimento energetico. Questi fattori, infatti, rendono un paese una migliore destinazione per gli investimenti internazionali, ed assicurano quindi maggiori flussi di capitale privato (Kapfer et al., 2007). In aggiunta, dato che buone istituzioni costituiscono un’ulteriore attrattiva per gli IDE e che una buona governance aumenta la produttività attesa degli investimenti, una cooperazione tecnica finalizzata a costruire efficienti istituzioni a livello nazionale e regionale potrebbe essere attirare gli investitori stranieri (Mayer, 2006). Questo è ancora più decisivo se si considera che gli IDE, con i  loro alti costi irrecuperabili, sono particolarmente vulnerabili rispetto all’incertezza, che nei PVS è ampliata dall’inefficienza dei governi, da frequenti rovesciamenti politici e da una limitata protezione dei diritti di proprietà (Kaufman et al., 1999).

Infine, nonostante aiuto e migrazione siano generalmente considerate politiche sostitute verso i PVS, i flussi migratori internazionali possono offrire occasioni per efficaci interventi di cooperazione, ed azioni politiche congiunte in questi ambiti possono dar luogo ad importanti complementarità. In particolare, dato che le rimesse rappresentano una principale fonte di risorse per molti PVS, l’aiuto può agire nel migliorarne l’impiego nei paesi di origine dei migranti. Un aspetto critico in proposito riguarda le frequenti imperfezioni dei mercati finanziari di questi paesi, ambito nel quale l’aiuto puÚ incidere in modo decisivo. Esso, infatti, può essere determinante nel accumulare le risorse spedite dai migranti ed incanalarli verso progetti di investimento sociale ed economico finalizzati alla produzione di beni pubblici. Inoltre, dato che i fallimenti di mercato generalmente penalizzano i poveri, l’aiuto può incrementarne l’accesso al credito agendo come garanzia e canalizzando le rimesse verso il finanziamento dei loro progetti imprenditoriali. Numerose esperienze a livello microeconomico ispirate dal dibattito sul co-sviluppo offrono esempi concreti di tali complementarietà. Tra queste, il più citato in letteratura Ë il programma messicano “tres por unos”, finalizzato a stimolare le associazioni di migranti messicani ad impiegare le proprie rimesse verso progetti di sviluppo attraverso un sistema di matching funds. In particolare, per ogni dollaro destinato da un’associazione ad un progetto di sviluppo in Messico, il governo centrale, quello statale ed il comune in cui il progetto è realizzato allocano ciascuno un dollaro in più, contribuendo cosÏ a mettere insieme una massa critica di risorse in grado di realizzare progetti di forte impatto sociale (World Bank, 2005). Un esempio ulteriore è fornito dal progetto Migration for Development in Africa dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM). Questo Ë un programma di capacity-building che ha l’obiettivo di mobilizzare le competenze acquisite dai migranti africani a seguito dell’esperienza migratoria ed impiegarle a favore dello sviluppo dell’Africa. Ciò viene realizzato sostenendo le attività economiche dei migranti tramite programmi di formazione, assistenza tecnica e supporto nell’accesso al credito (IOM, 2006).

 

I limiti dell’aiuto italiano

Quanto detto sottolinea come l‘aiuto, adattandosi all’attuale globalizzazione, possa avere un ruolo chiave nel promuovere lo sviluppo dei PVS. Come visto, ciò può avvenire sia in modo diretto – stimolando la produzione dei beni pubblici globali – che in modo indiretto – attraendo altri flussi e migliorandone l’impatto. L’aiuto italiano  allo sviluppo è notevolmente al di sotto del livello richiesto dall’ONU – 0,77% del PIL – ed anche di quello, meno ambizioso, stabilito dal Consiglio Europeo a Barcellona nel 2002 – 0,33% del PIL. Tale basso livello dell’aiuto italiano è stato spesso giustificato con le sfavorevoli condizioni economiche – alto debito pubblico, deficit di bilancio permanenti, breve storia coloniale – ma è principalmente dovuto alla bassa priorità attribuita dalla politica alla cooperazione internazionale. Inoltre, alcune caratteristiche dell’aiuto italiano ne compromettono profondamente l’efficacia. In primo luogo, esso  è estremamente instabile ed i ritardi nell’erogazione dei fondi assegnati sono continui. In più, esso è frammentato in progetti amministrati da ONG piccole e non coordinate, il che aumenta i costi di gestione e riduce la scala degli interventi. Infine, gran parte dell’aiuto italiano risulta ancora oggi legato. Nonostante la generale riduzione di tale fenomeno a seguito dell’impegno collettivo preso dai paesi del DAC nel 2001, l’Italia ha infatti ottenuto la peggior performance, mantenendo legato circa il 50% del suo aiuto bilaterale negli anni successivi (Bertoli et al., 2008).

 

La non coerenza delle politiche

Per concludere, le politiche italiane di cooperazione internazionale sono raramente concepite in sinergia con gli interventi in altri ambiti collegati allo sviluppo come il commercio, gli IDE e la migrazione. Al contrario, l’integrazione italiana con i PVS attraverso politiche diverse dall’aiuto tende spesso ad essere incoerente con gli obiettivi della sua cooperazione internazionale.

L’esempio più noto di questo riguarda la politica commerciale relativa ai prodotti agricoli. Se da un lato, infatti, gli agricoltori italiani sono tra i maggiori beneficiari dei sussidi della PAC, dall’altro molti dei PVS più danneggiati da quest’ultima risultano tra i principali partner della cooperazione italiana. A causa della PAC, infatti, molti dei beni esportati da questi paesi vengono venduti sui mercati internazionali a prezzi ben al di sotto dei costi di produzione, spingendo i produttori dei PVS fuori dal mercato. Coerentemente con la propria politica di cooperazione, l’Italia dovrebbe impegnarsi a livello europeo nell’ottenere un migliore accesso ai mercati dell’UE per i suoi partner in via di sviluppo. Un incentivo ad agire in questo senso può essere costituito dallo sviluppo di ulteriori collegamenti, a monte ed a valle, tra l’Italia – e l’UE – ed i produttori dei PVS per le fasi produttive di trasformazione e raffinamento (OECD, 2004).

 

Anche il settore degli IDE richiede un intervento. Infatti, nonostante l’importante volume di IDE italiani in uscita e la strategica posizione geografica del paese, la quota di IDE italiani diretti fuori dall’area OCSE è ancora molto inferiore a quella di altre economie. Questo Ë dovuto all’inadeguatezza degli esistenti meccanismi di promozione degli investimenti nei PVS, principalmente fondati sul linee di credito ed agevolazioni fiscali. In linea con le strategie internazionali per lo sviluppo del settore privato nei PVS, la politica italiana in materia dovrebbe spostarsi verso un approccio orientato alla domanda, volto a promuovere un ambiente favorevole nei PVS per gli investitori stranieri. A tal fine, in piena sinergia con la politica di cooperazione, l’Italia potrebbe contribuire ad indirizzare il quadro legale ed istituzionale dei PVS, sostenere la creazione di istituzioni finanziarie locali ed offrire assistenza tecnica ed imprenditoriale alle imprese locali.

La cooperazione italiana guarda con crescente attenzione alle opportunità generate dai processi migratori. Inoltre, i soggetti della cooperazione decentrata e numerose ONG stanno implementando interventi innovativi, volti a promuovere il co-sviluppo supportando i migranti di ritorno nell’avvio di piccole e medie imprese nei paesi di origine. Tuttavia, la politica migratoria italiana si dimostra incapace di gestire la crescente pressione migratoria sospinta da continui incrementi nella domanda di lavoro straniero. Basse quote di entrata – ben al di sotto delle esigenze del mercato del lavoro – e procedure di accesso limitanti hanno alimentato l’immigrazione clandestina sia dal lato della domanda che da quello dell’offerta, portando a 6 programmi di regolarizzazione degli immigrati clandestini negli ultimi 20 anni. Questo ha indebolito il controllo istituzionale del fenomeno e moltiplicato le tensioni sociali associate a crescenti flussi migratori. La politica fortemente restrittiva dell’Italia nei confronti dei principali destinatari dei suoi flussi di aiuto rappresenta un esempio chiaro di incoerenza (Barthèlemy et al., 2009). Alla luce dei mutui benefici che la migrazione è in grado di generare per l’Italia e per i PVS, la politica migratoria italiana dovrebbe invece mirare ad aumentare il controllo istituzionale attraverso meccanismi di regolazione più efficienti e, con l’aiuto della cooperazione allo sviluppo, migliorare l’impatto di tale forma di integrazione economica sia in Italia che nei paesi di origine dei migranti.

 

Un’architettura istituzionale per la PC in Italia

Intraprendere azioni che promuovano la PC implica spesso scontrarsi con interessi politici divergenti. Per questo, un alto grado di consapevolezza pubblica ed un dibattito attivo nella società civile rappresentano due condizioni necessarie per poter agire in tale ambito. In proposito il Parlamento può giocare un ruolo chiave nel portare la PC al centro del dibattito politico tramite mozioni, risoluzioni ed interrogazioni volte ad indurre il governo a prendere una posizione ufficiale sul tema e mantenere i suoi impegni formali a riguardo – come la dichiarazione ministeriale OECD sulla PC del 2008 o il Consenso Europeo per lo Sviluppo del 2005. Ovviamente anche le ONG italiane hanno un’importante funzione di advocacy da esercitare stimolando la domanda pubblica per una politica nazionale pi_ coerente con gli obiettivi di sviluppo, anche se ad oggi un numero relativamente limitato di queste si dimostra attiva sul tema (OECD, 2009).

Un ulteriore requisito per una migliore PC è costituito dalla presenza di efficaci meccanismi di coordinamento e valutazione delle politiche, che permettano alle diverse componenti del governo di confrontarsi e risolvere eventuali conflitti o incoerenze. Come in molti membri del DAC, anche in Italia manca un organo istituzionale ad hoc per promuovere la PC a livello interministeriale. Tuttavia, questo non costituisce un limite particolarmente grave, in quanto molti organi già esistenti possono prestarsi efficacemente a tale funzione. In particolare, un disegno istituzionale effettivo potrebbe coinvolgere il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE) come responsabile della coerenza d’insieme delle attività ministeriali, mentre il Servizio Studi del Parlamento potrebbe valutare l’impatto sulla PC della legislazione in fase di elaborazione. Inoltre, data la necessità di una specifica capacità analitica per identificare e valutare le incoerenze (ibidem), il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL) potrebbe agire come supporto scientifico del CIPE. Tale funzione del CNEL potrebbe anche essere estesa alla società civile approfondendo e sottoponendo al CIPE le istanze sollevate dai cittadini e dagli istituti di ricerca in merito alla PC. Infine, alla Corte dei Conti potrebbe essere riconosciuta la responsabilità di individuare quelle incoerenze tra obiettivi dei diversi dipartimenti lesivi dell’efficienza dell’investimento pubblico italiano per lo sviluppo globale.

Tuttavia, l’assenza di una specifica dichiarazione politica sulla PC da parte del governo italiano rappresenta un ostacolo fondamentale per stabilire nuove responsabilità istituzionali in materia di coordinamento e monitoraggio (DGCS, 2009). Per questo, come primo passo verso una maggiore coerenza delle politiche italiane con gli obiettivi di sviluppo, il governo deve elaborare una dichiarazione ufficiale in merito alla PC. Tale dichiarazione deve essere formulata sulla base degli impegni presi dall’Italia in ambito internazionale, e deve contenere azioni chiaramente definite in termini di priorità e di tempistica, nonchè precisi mandati istituzionali.

 

Raccomandazioni

Per incrementare il grado di coerenza tra le proprie politiche cosÏ da contribuire in modo più effettivo e con un miglior impiego delle risorse pubbliche agli obiettivi di sviluppo globale riconosciuti dalla comunità internazionale, dall’Unione Europea e dal proprio ordinamento, l’Italia dovrevbbe :

 

  1. Incrementare l’efficacia della propria cooperazione internazionale adottando modalità che, come il SBS, ne riducano la frammentazione e ne incrementino la scala d’intervento.
  2. Ridurre sostanzialmente la quota di aiuto legato sul totale dell’aiuto bilaterale italiano.
  3. Impegnarsi a livello europeo nell’ottenere un migliore accesso ai mercati dell’UE per i suoi partner in via di sviluppo.
  4. Promuovere la creazione di un ambiente favorevole agli IDE nei PVS, sostenendo la creazione di istituzioni finanziarie ed offrendo assistenza tecnica ed imprenditoriale alle imprese locali.
  5. Regolamentare l’immigrazione attraverso meccanismi di regolazione più efficienti ed in linea con le esigenze reali del mercato del lavoro e che puntino a formare unskilled migrants.
  6. Adottare una dichiarazione ufficiale in merito alla PC che comprenda azioni chiaramente definite in termini di priorità e di tempistica e conferisca precise responsabilità istituzionali.

 

 

* L’autore desidera ringraziare il prof. Giovanni Andrea Cornia e ActionAid per la loro preziosa collaborazione

 

 

 

Bibliografia

 

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