L’integrazione scolastica delle seconde generazioni: l’esperienza di un comune del Lazio

Silvia Lucciarini illustra una buona pratica di integrazione scolastica delle seconde generazioni di immigrati: l'istituzionalizzazione di un corso di cultura e lingua rumena a Ladispoli, medio-piccolo comune del Lazio. Dopo aver ricordato che si tratta di un progetto congiunto tra istituzioni rumene e italiane, Lucciarini sottolinea l’importanza sia del ruolo di agency della componente rumena svolto dalle istituzioni scolastiche sia della lunga tradizione di accoglienza, che ha portato a vedere l’immigrato come risorsa e non come problema.

1. L’Italia, in quanto paese europeo di più recente immigrazione, si sta confrontando da poco con le sfide dell’inclusione delle seconde generazioni. La loro integrazione scolastica è come noto un momento cruciale nel percorso di inserimento nella società. Maggiore è la distanza in termini di conoscenza e capitale umano tra nativi e immigrati, e maggiore è la probabilità di esclusione sociale, di marginalità, con gli associati costi in termini di mancato utilizzo delle risorse (C. Bonifazi, L’immigrazione straniera in Italia, Il Mulino, 1998).

A partire dagli anni Novanta è possibile individuare tre approcci idealtipi dell’integrazione scolastica in Italia: assimilazionismo, multiculturalismo e intercultura (A. Santero, L’inserimento scolastico degli alunni migranti in Italia, paper presentato a Espanet Italia, 2011). I curricola assimilazionisti presentano un elevato grado di uniformità, centrato sulla cultura dei nativi e principalmente orientati alla negazione delle differenze (E. Besozzi, “Insegnare in una società multietnica”, in Allievi in classe, stranieri in città, a cura di G. Giovannini, Angeli, 1998). Quelli multiculturalisti operano una scissione tra sfera pubblica e privata, relegando le manifestazioni culturali legati alla comunità di origine in quella privata, e sono finalizzati alla condivisione di norme e istituzioni del paese di accoglienza. Infine i curricula interculturali intendono la relazione educativa come co-costruzione e negoziazione (A. Santero, op. cit.) e si basano su dinamiche di scambio culturale, di tradizioni, di norme, ecc. tra le diverse nazionalità. Analizzare singole politiche e pratiche per l’integrazione delle seconde generazioni di immigrati permette di evidenziare criticità e individuare opportunità delle azioni messe in campo: il caso che qui presentiamo è una buona pratica per l’integrazione delle seconde generazioni in un comune medio-piccolo del Lazio.

Ci sono alcuni elementi peculiari, che caratterizzano il caso italiano rispetto a altre nazioni europee. Certamente la presenza di un triplice livello normativo, di indirizzo delle policies e delle logiche di azione implementate: nazionale, locale e del singolo plesso, che rende estremamente difficile ricomporre un modello generale di politiche di integrazione scolastica. La frammentazione che ne deriva, da un lato lascia intravedere una grande capacità di innovare a livello locale, ma dall’altro lascia scoperti interrogativi legati ai diritti di cittadinanza, troppo dipendenti da dove si risiede piuttosto che ispirarsi a criteri di universalità. Questa frammentazione è aggravata dalle profonde differenze territoriali di tipo strutturale e socio-economico, dalle quali dipende anche una maggiore o minore disponibilità in termini di capacità di investimento e spesa in education (come in genere nei servizi sociali). A questo si aggiunge una ulteriore polverizzazione dei modelli di immigrazione territoriale legati alle vocazioni produttive nelle diverse aree del paese, che determina ampie differenze nella composizione delle migrazioni, del progetto migratorio, delle risorse materiali e immateriali che gli immigrati possono mettere in campo a livello locale (M. Ambrosini, Sociologia delle migrazioni, Il Mulino, 2005).

Un altro elemento che aumenta la complessità del fenomeno è l’elevato numero dei paesi di provenienza degli immigrati, soprattutto nelle aree urbane, che rende più difficile la messa a punto di servizi e progetti di integrazione proprio per la balcanizzazione delle nazionalità. A questo quadro si aggiunge, a partire dai primi anni Duemila, la difficoltà derivata dal processo di retrenchment della spesa pubblica in politiche sociali e educative, a fronte di un aumento del bisogno sociale e della complessità della domanda di inclusione, che lascia gli Enti locali –che vivono un nuovo protagonismo derivato dal processo di decentramento e dall’aumento delle proprie competenze a partire dalla modifica del Titolo V della Costituzione nel 2001- sprovvisti delle risorse necessarie per far fronte a vecchi e nuovi bisogni. In questo contesto, il caso si Ladispoli appare estremamente interessante: per il tipo di policies scolastiche implementate, per gli attori coinvolti, e in particolare per il ruolo di agency che la scuola ha svolto nei confronti delle seconde generazioni di immigrati.

2. Ladispoli riassume alcuni elementi di particolare rilievo per quanto riguarda il fenomeno dell’integrazione scolastica delle seconde generazioni. Un forte boom nelle presenze straniere negli ultimi 15 anni e una tipologia migratoria di stampo familiare pesa in particolare nella composizione delle classi di primo e secondo grado. L’incidenza della componente straniera su quella autoctona è superiore al 13%, in particolare la nazionalità maggiormente presente è quella rumena, che da sola pesa per oltre il 9% (dati demo.istat.it). Questi elementi fortemente sfidanti in termini di coesione della comunità locale, uniti alla rapidità con la quale sono avvenuti e al generale impianto di tipo emergenziale con il quale si implementano le politiche per gli immigrati in Italia (Cfr. European integration policy, a cura di T. Hammar, Cambridge University Press, 1985; C. Bonifazi, op.cit.) sono stati gestiti a livello locale con una certa lungimiranza che ha guidato logiche di azione di tipo inclusivo, coinvolgendo una numerosa serie di attori –sia nazionali che internazionali- nella messa a punto di progetti di inclusione scolastica e sociale.

Ci si riferisce in particolare all’inserimento obbligatorio della lingua rumena in due scuole elementari del Comune, all’interno del corso di un’ora settimanale “Lingua, cultura e civiltà romena”, al quale può essere aggiunta un’ulteriore ora facoltativa extracurriculare. Il progetto –iniziato nel 2012- è finanziato dal governo della Romania e gestito dall’Ente locale, giovandosi della disponibilità del dirigente scolastico, di un team di mediatori e di volontari della comunità rumena residenti nel comune, e ha sinora coinvolto più di 200 alunni. Questo progetto è solo un ultimo tassello, importante soprattutto se si considera l’obbligatorietà del corso all’interno del programma formativo, che testimonia l’impegno dell’istituto scolastico nell’ambito dell’intercultura.

Ladispoli, infatti, nata come borgo di pescatori, ha sviluppato politiche di accoglienza in due occasioni: ha ospitato quasi centomila ebrei russi in transito per Israele, Stati Uniti, Canada e Australia tra il 1978 e il 1990, a cui si sono aggiunti a partire dagli anni ’80 i flussi di rifugiati e profughi polacchi. Se i primi flussi erano caratterizzati da una elevata temporaneità, i secondi hanno invece operato una scelta di stabilità, anche perché in molti casi si trattava di famiglie con minori. Già alla fine degli anni Ottanta gli istituti scolastici di Ladispoli si sono trovati a accogliere minori stranieri, operando logiche di azioni inclusive anche contra legem: la normativa italiana allora in vigore non permetteva infatti ai bambini stranieri sprovvisti di permesso di soggiorno di iscriversi nelle scuole (D.P.R. 31 Agosto 1999 n.394, poi modificato dal C.M. n°5 del 1994).

La scelta dell’allora dirigente scolastico ha segnato l’inizio di un percorso di inclusione e di intercultura. A determinare tale scelta hanno pesato alcuni elementi: un’amministrazione comunale che ha sostenuto la scelta inclusiva scolastica, avendo capito che il fenomeno migratorio dava al Comune la possibilità di aumentare demograficamente e di rilanciare l’economia locale ancora prettamente legata al turismo stagionale. A pesare anche la presenza di organismi di Terzo Settore che hanno promosso tale processo, come ad esempio la comunità di Sant’Egidio. L’accoglienza e le politiche di integrazione per i migranti erano inoltre già ben presenti nella storia di Ladispoli. Il Comune infatti prima di flussi internazionali è stata meta di migrazioni interne, in particolare di pescatori calabresi e siciliani, che vi si sono trasferiti negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, spinti dalla vicinanza con il comune di Roma –in termini di opportunità di studio e mobilità sociale per le seconde generazioni – e dalla possibilità di mantenere le skills professionali dei first comers. Le istituzioni scolastiche sono diventate cruciali attori di integrazione del territorio anche per la conformazione fisica di quest’ultimo: una lingua urbanizzata che mal si prestava –prima di opere di miglioria dell’ultimo decennio- all’incontro e alla socialità per carenza di spazi pubblici adeguati. Gli edifici scolastici hanno presto aperto le porte a iniziative di incontro e scambio tra i residenti, riuscendo a far parlare e interagire le diverse componenti della popolazione. Nel campo dell’intercultura ad esempio già nella prima metà degli anni Novanta erano attivi corsi di lingua italiana, polacca e rumena, gestiti da ex-insegnanti in pensione e da volontari delle diverse nazionalità. Oltre alla funzione istituzionale, la scuola ha avuto un forte ruolo di agency nel rappresentare e implementare logiche di azione orientate a uno scambio positivo tra autoctoni e immigrati, sostenuta da amministrazioni sensibile a questi temi, riconoscendo una potenzialità di rivitalizzazione alle comunità straniere residenti nel territorio, attraverso la diffusione di iniziative culturali e manifestazioni tradizionali delle diverse nazionalità.

L’impegno dell’amministrazione locale e delle istituzioni scolastiche si è mantenuto vivo e costante nonostante il progressivo taglio dei finanziamenti alla scuola e ai servizi. La capacità di mettere in campo politiche mirate e di stampo strutturale, come sportelli, centri, potendo contare anche sulle reti del volontariato e dell’associazionismo, mostra un buon livello di efficienza e gestione dei singoli interventi, contrastando il depauperamento causato dai tagli e dall’aumento congiunto di residenti e –quindi- della domanda sociale.

3. Il caso di Ladispoli evidenzia un tentativo di implementare quest’ultimo idealtipo di curriculum scolastico, riuscendo a mobilitare una rete di attori istituzionali, associativi (formali e non) in co-gestione con l’attore pubblico. A pesare certamente le legacy politico amministrative, dalla lunga tradizione nell’ambito di pratiche e policies di accoglienza, che hanno interiorizzato una visione dello straniero più come risorsa che come problematicità. Le istituzioni scolastiche inoltre hanno ricoperto negli anni un ruolo importante di agency nei confronti delle comunità immigrate, e costituito non solo il luogo immateriale e culturale dello scambio, ma anche quello fisico, diventando teatro di manifestazioni e incontri tra autoctoni e stranieri.

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