L’Europa, la risposta alla crisi e un destino ancora da decidere

Alessandra Cataldi, Mattia De Crescenzo e Bianca Giannini tornano a descrivere gli interventi anti-crisi decisi a livello europeo, approfondendo le misure approvate e le decisioni del Consiglio europeo del 23 aprile. Gli autori si soffermano, in particolare, su quella che può essere considerata la più interessante, è cioè la proposta di lavorare alla istituzione di un Fondo comune per la ripresa economica, Recovery Fund, su cui, però, rimangono da definire aspetti essenziali.

Prosegue il lavoro delle istituzioni europee per disegnare strumenti di risposta comune alla pandemia di COVID-19. Il 9 aprile i Ministri delle Finanze dell’area euro (l’Eurogruppo) avevano raggiunto un accordo su un pacchetto di misure basato su tre strumenti: una cassa integrazione europea per contrastare il rischio di disoccupazione, lo “SURE”; i fondi della Banca europea per gli investimenti (BEI) per sostenere le imprese; il ricorso ad una linea di credito del Meccanismo europeo di stabilità (MES) per finanziare i costi sanitari legati alla pandemia. Oltre a ciò, era stata accolta la proposta (della Francia, supportata dall’Italia) di lavorare alla creazione di un fondo finanziato da obbligazioni comuni per il rilancio dell’economia, il Recovery Fund. Il 23 aprile, il Consiglio europeo (i capi di Stato o di Governo dell’Unione europea) ha approvato l’accordo dell’Eurogruppo sui primi tre strumenti, chiedendone l’operatività a partire dal 1 giugno 2020. La proposta relativa al Recovery Fund, invece, non è stata concretamente elaborata, ma il Consiglio ne ha demandato alla Commissione la formulazione entro inizio maggio. Mentre i primi tre strumenti prevedono sostanzialmente supporto economico nella forma di prestiti o garanzie agli Stati membri o alle imprese, il Recovery Fund potrebbe, stando alle prime indiscrezioni, prevedere una quota di trasferimenti a fondo perduto, che quindi non andrebbero a gravare sui bilanci degli Stati membri.

In quanto segue, si intende descrivere gli elementi essenziali di questi strumenti, pur nella consapevolezza che molti aspetti, in particolare relativi al funzionamento del Recovery Fund, sono ancora da chiarire. Per quanto concerne il funzionamento del “SURE”, si rimanda all’articolo al riguardo pubblicato dagli stessi autori sul Menabò del 15 aprile.

Fondo di garanzia della BEI. Facendo seguito alle indicazioni dell’Eurogruppo del 9 aprile, il c.d.a. della BEI ha approvato il 16 aprile la creazione di un Fondo di garanzia europeo da 25 miliardi.

La BEI è dal 1958 uno dei bracci finanziari dell’Unione europea. La banca raccoglie risorse emettendo obbligazioni sui mercati dei capitali ed eroga prestiti a condizioni favorevoli per progetti che sostengono obiettivi della UE, tra cui favorire l’occupazione e la crescita, sostenere le iniziative volte a mitigare i cambiamenti climatici e promuovere le politiche della UE al di fuori dei suoi confini. L’istituto ha un capitale sottoscritto da tutti gli Stati dell’Unione europea di oltre 200 miliardi di euro. Al momento l’Italia detiene il 19,2% delle partecipazioni.

Il Fondo europeo di garanzia COVID-19 consentirà al Gruppo BEI di potenziare il sostegno alle imprese europee fino a 200 miliardi. È previsto un contributo al Fondo di garanzia da parte di tutti i 27 Stati membri della UE, ma sarà aperto anche ai contributi esterni, come ad esempio al bilancio comunitario e sarà operativo ufficialmente non appena un gruppo di Stati membri che rappresentino almeno il 60% del capitale della BEI avrà assunto i necessari impegni. Il Fondo sarà istituito utilizzando la Piattaforma di partenariato per i fondi (PPF), una struttura della BEI, sulla base di quadri normativi esistenti e di procedure standardizzate; ciò dovrebbe permettere l’attivazione del Fondo entro giugno, come richiesto dal Consiglio. Il Fondo di garanzia servirà a finanziare le imprese europee che si trovano ad affrontare carenze di liquidità e sosterrà diversi tipi di operazioni, tra cui il finanziamento di strumenti di garanzia e controgaranzia a favore di banche commerciali e di istituti di credito nazionali, il sostegno a favore di PMI e aziende quotate di media capitalizzazione con risorse provenienti da fondi di capitale di rischio, l’acquisto dalle banche di titoli garantiti da attività per consentire loro di erogare più prestiti alle PMI e gli interventi di finanziamento per le imprese a forte crescita, comprese quelle operanti nel settore farmaceutico.

Si tratta dunque di risorse per consentire agli intermediari finanziari di erogare fino a 200 miliardi di finanziamenti, le cui perdite eventuali sarebbero rimborsate dal Fondo di garanzia. È chiaro che questo è uno strumento per sostenere la liquidità nel settore privato, spalmando le perdite dovute alla minore attività di questo periodo su un orizzonte più lungo. La sua efficacia dipenderà in modo cruciale dall’interazione tra aziende, intermediari finanziari e BEI – una triangolazione che però dovrebbe essere sistema di finanziamento già noto agli operatori del settore – e da un ritorno nel medio periodo a condizioni economiche favorevoli che permetta alle imprese di non aver difficoltà nel rimborso dei prestiti.

Linea di credito del MES

Il secondo strumento su cui è stato raggiunto l’accordo riguarda il ricorso al MES, istituzione che nasce nel 2012 per garantire la stabilità finanziaria nell’area dell’euro, con un capitale pari a circa 704 miliardi sottoscritto, pro quota, da tutti gli Stati membri. Il MES gode di un rating a tripla A, emette titoli sul mercato per raccogliere fondi e fornire, ai Paesi che ne facciano richiesta, supporto finanziario quale concessione di prestiti o finanziamenti per la ricapitalizzazione delle istituzioni finanziarie. Come previsto dall’articolo 136 del TFUE e dal Trattato del MES, l’assistenza finanziaria è soggetta a una rigorosa condizionalità, che si traduce nell’attuazione di un programma di aggiustamento macroeconomico variabile a seconda delle condizioni economiche di ogni Paese (e concordato anche con la Commissione europea, il FMI e la BCE) o, comunque, nel rispetto di criteri di ammissibilità ben definiti anticipatamente con ogni Paese.

Organo decisionale del MES è un Consiglio dei Governatori, costituito dai Ministri delle Finanze dell’area dell’euro (l’Eurogruppo) che, salvo casi particolari, decide all’unanimità. Il 9 aprile l’Eurogruppo ha deciso, e il Consiglio del 23 aprile ha approvato, che i Paesi dell’area dell’euro possono, su richiesta, attingere ad una linea di credito (Enhanced Conditions Credit Line, ECCL) del MES per contrastare gli effetti della crisi. La novità rispetto agli usuali prestiti del MES è che la condizionalità è la stessa per tutti i Paesi e richiede solamente che i fondi siano usati per finanziare i costi sanitari diretti ed indiretti dell’epidemia. Ogni Paese può chiedere fino al 2% del Pil del 2019 (circa 37 miliardi per l’Italia).

Il Direttore generale del MES, Klaus Regling, afferma che “la condizionalità concordata all’inizio non cambierà durante il periodo nel quale la linea di credito è disponibile (…); in seguito, tutti gli Stati membri restano impegnati a rafforzare i loro fondamentali in base al quadro di vigilanza europeo. Ma chiaramente non è una condizione per il prestito”. Il prestito sarebbe, quindi, subito disponibile e ad un tasso di interesse inferiore a quello con cui molti Paesi, tra cui l’Italia, si finanziano attualmente sul mercato.

I dubbi verso tale strumento riguardano, in primis, l’opportunità politica di ricorrere ad una istituzione che normalmente eroga prestiti a Paesi in difficoltà finanziaria. L’eventuale stigma associato al MES, che potrebbe avere ripercussioni soprattutto sui mercati finanziari, verrebbe meno qualora più Paesi ne usufruissero contemporaneamente. Alcuni commentatori temono, poi, che elementi di condizionalità possano emergere in un secondo momento, qualora i prestiti siano erogati in più tranche o nella fase di rimborso (si veda Cerniglia e Saraceno sul Sole 24 Ore). Un punto cruciale riguarda, poi, la possibilità che i Paesi beneficiari dei prestiti possano comunque, secondo quanto stabilito dalle norme europee (Regolamento Ue numero 472/2013), essere sottoposti dalla Commissione ad una sorveglianza rafforzata che si può concretizzare nella richiesta di attuare misure correttive (come argomentato da Cottarelli e Moavero su LaRepubblica). Infine, e su questo non ci sono voci discordanti, le risorse a disposizione sono a dir poco limitate, a fronte delle centinaia di miliardi di cui diversi Stati avranno probabilmente bisogno.

Il Recovery Fund. L’avvio dei lavori per la creazione di un fondo con l’obiettivo strategico di rilanciare l’economia (Recovery Fund) è stato concordato tra i leader europei durante il Consiglio del 23 aprile, confermando l’esito della riunione dell’Eurogruppo di alcune settimane prima. Si è quindi compiuto un piccolo passo nella direzione auspicata nella lettera al Presidente del Consiglio europeo Charles Michel e firmata da nove Paesi (Italia, Belgio, Francia, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Portogallo, Slovenia e Spagna) verso ciò che potrebbe costituire un nuovo strumento di debito comune “garantendo in questo modo il finanziamento stabile e a lungo termine delle politiche utili a contrastare i danni causati da questa pandemia”. Stando alle prime dichiarazioni, il fondo sarà di “entità adeguata, mirato ai settori e alle aree geografiche dell’Europa maggiormente colpiti e destinato a far fronte a questa crisi senza precedenti”: questa la linea ufficiale del Consiglio che si limita, però, a un impegno sulle linee generali, non lasciando intravedere i dettagli sui quali si dovrà attendere la proposta della Commissione.

In primis, sarà da quantificare l’entità delle risorse e l’effetto leva atteso e restano altresì da chiarire alcuni aspetti critici, quali i criteri di attribuzione e la natura stessa del finanziamento che, sulla falsariga dello SURE, potrebbe essere assimilato a un prestito, andando, quindi, a gravare direttamente sul debito dei singoli Stati, o potrebbe contemplare anche quote di trasferimenti privi di condizioni. Su questo ultimo punto, tuttavia, dalle dichiarazioni dei leader a margine dell’incontro, si evince una netta divisione. La Commissione, nei successivi chiarimenti, non si è sbilanciata sull’entità delle risorse, ribadendo che il Recovery Fund sarà parte del complesso di investimenti che varranno “migliaia di miliardi”, come affermato dalla Presidente Von der Leyen, ma le condizioni che lo legheranno al Quadro finanziario pluriennale UE per il periodo 2021-2027, sul quale sono ancora in corso i negoziati, restano da chiarire. Intanto, la Commissione ha lasciato intendere che le risorse da canalizzare nel Quadro finanziario pluriennale, che saranno poi assegnate agli Stati, saranno “risorse nuove” reperite mediante l’aumento della cosiddetta headroom, vale a dire la differenza tra le risorse versate dagli Stati al bilancio della UE e i relativi impegni. Tale headroom verrebbe usata come garanzia per emettere titoli sul mercato finanziario con cui contribuire a finanziare la ripresa nei Paesi europei. Infine, per quanto riguarda le tempistiche, come chiarito da un portavoce della Commissione, la proposta potrebbe essere formalizzata nella prima metà di maggio. Tuttavia, per la piena operatività si dovrà attendere, al netto di soluzioni diverse, il nuovo ciclo di programmazione di bilancio, quindi il 2021, anche perché, se da un lato se ne riconosce la necessità e urgenza, la finalità strategica di questo strumento, va ricordato, è la ripresa dell’economia al cessare delle misure di contenimento e non specificatamente la gestione della fase emergenziale.

L’avvio dei lavori sul Recovery Fund costituisce l’esito forse più interessante del Consiglio europeo del 23 aprile. Nonostante i molti dubbi da chiarire, l’apertura al dialogo potrebbe portare a soluzioni costruttive che prevedano, in un’ottica di sintesi, un mix tra gli strumenti proposti: ad esempio, i prestiti potrebbero esser affiancati da trasferimenti a fondo perduto che, insieme ad un allungamento delle scadenze sui rimborsi, potrebbero alleggerire l’impatto sul debito dei Paesi. Tuttavia, il destino del Recovery Fund è strettamente legato al negoziato sul Quadro finanziario pluriennale, su cui già nella riunione del Consiglio europeo straordinario del 20 febbraio i capi di Stato e di Governo non riuscirono a raggiungere un accordo. Le prossime settimane saranno quindi decisive su entrambi i fronti: la necessità di pervenire a una soluzione in tempi rapidi sembrerebbe essere al momento l’unica certezza.

 

 

* Le posizioni espresse sono degli autori e non coinvolgono le istituzioni di appartenenza.

Schede e storico autori